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Karan Johar
ANTEPRIMA ROMA 2010: Il mio nome è Khan (My Name Is Khan)
Drammatico, durata: 165' - India
2010
20th Century Fox
di
Davide Marchioni
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Dopo aver promesso alla madre morente di costruirsi una vita felice, il giovane indiano musulmano Rizyad Kahn raggiunge suo fratello in America, a San Francisco. E’ affetto dalla sindrome di Asperger, una sorta di autismo che lo rende un po’ rain main un po’ Forrest Gump. Con i suoi modi di esprimersi e di rapportarsi con gli altri Kahn non solo riesce inizialmente ad integrarsi nel tessuto sociale di quella middle class che continua ad inseguire l’american dream, ma riesce addirittura a far breccia nel cuore di Mandira, splendida ragazza madre indiana di religione indù che per sposarlo prenderà il suo cognome. E sarà proprio quel cognome causa delle tragedie che presto si abbatteranno sulla coppia: perché, se fino al 2001 gli occidentali usavano distinguere la storia in “prima e dopo Cristo”, dopo l’attentato delle Twin Towers la spartiacque storico è mutato in “prima e dopo l’11 settembre”. E da quel giorno nulla sarà più come prima nella vita della giovane coppia.
Dopo l’enorme successo sia di critica che di pubblico che ha addirittura fruttato l’oscar a The Millionaire, Bollywood ci riprova. E anche stavolta, ne sono certo, riuscirà almeno nell’intento di fare cassa al botteghino. Difatti gli ingredienti per attrarre una vasta platea ci sono davvero tutti: vi è l’occhio straniero che scopre l’America nelle sue immagini da cartolina (come quando Khan porta Mandira sopra una piccola collina da cui, spostandosi le nubi con la brezza del vento, si svela una splendida San Francisco che si affaccia sulla baia); vi è la tenerezza ispirata dal diverso, punito dal destino per la malattia, che però lotta per avere una vita degna e le stesse possibilità degli altri; vi è lo sguardo posato su una America multietnica che non ce la fa ad uscire indenne da quella ferita dell’11 settembre, e che si trasforma in una America dalle forti tinte razziste nei confronti dei musulmani. Vi è la psicosi dell’attentato, che si propaga come un virus letale, e vi è infine la grande speranza e la grande voglia di cambiamento che si avvertiva negli USA dopo il secondo mandato mandato del presidente W. Bush e che ha portato all’elezione del primo presidente nero della loro storia.
Insomma, sebbene i temi sopra citati siano troppi e troppo importanti per essere affrontati tutti con il necessario spessore, dobbiamo riconoscere che il melodramma funziona bene: la narrazione non concede una attimo di pausa, incalzata dagli eventi, e la regia furbetta si avvale della maestosità paesaggistica dell’America, che sotto questo aspetto non delude mai. Aggiungeteci la bravura degli attori e delle ottime musiche di accompagnamento quasi costante e il prodotto è pronto per farvi passare 2 ore abbondanti in viaggio attraverso gli USA riflettendo su quelli che sono stati i temi più scottanti e gli atteggiamenti più marcatamente modificatisi non solo in America ma in tutto il mondo occidentale, dopo quel maledetto 11 settembre.
VOTO: 3/5
Articolo del
02/11/2010 -
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