Nuovo album per Steven Brown, polistrumentista e cantante americano, originario di San Francisco, molto noto per essere stato fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta , il “front man” dei Tuxedomoon , gruppo da lui fondato insieme all’amico di sempre Blaine L.Reininger.
Molto tempo è passato da allora , è lontana la furia del “post punk” , così come la spinta creativa del rock di avanguardia. Ciò nonostante Steven Brown non ha mai smesso di fare musica, di pubblicare dischi, sebbene distanti da qualsiasi pressione o esigenza legata alla musica commerciale. Dal 1993 vive a Oaxaca, in Messico, e da allora in poi ha dato vita a progetti paralleli, come i Nine Rain e l’ Ensamble Kafka, o ancora si è dedicato alla sonorizzazione di vecchi film. Dopo la scomparsa di Peter Principle, il bassista dei Tuxedomoon, avvenuta nel 2017 , la band si è praticamente sciolta e Steven Brown ha pubblicato dischi come solista, alcuni dei quali straordinari come questo “El Hombre Invisible”. Il nuovo lavoro comprende undici brani inediti con un filo conduttore unico, una sorta di “concept album” molto autobiografico del quale l’artista si serve per offrirci la sua visione del mondo, lucida e distaccata, passata attraverso tante speranze e altrettante lucide disillusioni.
Lo spunto del disco viene dal libro “The Invisible Man”, un romanzo scritto da Ralph Waldo Ellison nel lontano 1952. Il racconto parlava della vita di un uomo di colore in una società popolata da bianchi e di come questa persona decida di rendersi “invisibile” perché non accettata dagli altri ma anche perché - degli altri - non condivide modo di vivere, di pensare, insomma di stare al mondo. In pratica una metafora della esistenza dello stesso Steven Brown, cittadino americano che vive in Messico e che non può fare a meno di prendere le distanze dalla sua stessa nazione. Brani come “The Book” “Fireworks”, “Kill” o ancora “Vice and Virtu” raccontano tutto questo, in una atmosfera resa molto intima dagli arrangiamenti al pianoforte e dall’intervento di strumenti a fiato suonati dall’artista che ci offre un resoconto jazzato di fatti storici importanti , che vanno dalle brutture del colonialismo all’ipocrisia di quanti dicevano di agire per conto del Dio della Bibbia e invece badavano soltanto ai loro interessi personali o del loro Stato di appartenenza.
Molto bella “Resist” che con quel “I resist in my own small world” definisce con chiarezza la vita di Steven Brown in Messico, sempre a stretto contatto con attivisti politici locali , reduci del movimento zapatista, e musicisti del posto. Da ascoltare anche “The Warning” e “Familias Ricas” , eseguita in duetto con Lila Downs. Un album che è un libro aperto, un disco che si legge e si ascolta, un piccolo capolavoro scritto in solitudine da un artista che ha deciso di vivere con coerenza i suoi ideali, artistici ed esistenziali.
Articolo del
23/05/2022 -
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