(foto di Giovanna Onofri)
L’esaltazione del rock’n’roll, a 79 anni compiuti, un macigno di dolcezza, la grinta di una ragazza degli anni Settanta, la consapevolezza di sé e al tempo stesso il desiderio di andare oltre, un diluvio di emozioni, senza tante parole, ogni sua canzone è un simbolo, una testimonianza, un racconto. Patti Smith torna ad esibirsi in concerto a Roma anche quest’anno, ma sta sempre qui? osservano i maligni.
Non ha un album nuovo in promozione, fa sempre gli stessi pezzi. Non è vero. Non è così. Ogni suo “live act” è diverso dal precedente: quello di stasera, per esempio, non è come quello al Teatro Romano di Ostia Antica lo scorso anno. Eccola che entra in scena puntuale con il suo quartetto, che prevede il figlio Jackson Smith, alla chitarra, Tony Shanahan, al basso e alle tastiere, e Seb Rochford, alla batteria. Patti non va tanto per il sottile, la calcia forte subito! Via con una versione esaltante di “People Have The Power“ (un pezzo che di solito si riserva per la fine dello show), un brano che vede il pubblico abbandonare le sedie e precipitarsi sotto palco.
Da lì in poi sarà praticamente impossibile ristabilire l’ordine con la “security” dell’Auditorium che è fermamente intenzionata a “respingere la sommossa”. Ma è la stessa Patti ad intervenire per sedare gli animi: “State pure seduti qui davanti, per almeno due canzoni. Poi vi faccio segno io quando è il momento di tornare a danzare” La situazione internazionale è orribile, viviamo un momento difficile, ma Patti questa volta non fa proclami. Lascia che a parlare sia la sua musica, siano le canzoni scelte per questa sera, alcuni delle quali sono delle ”cover version” ok, ma preziose, di qualità e dall’ effetto immediato. Patti non parla di Trump, non si rivolge a Netanyahu, ma esegue una versione scarna, durissima di “Masters Of War”, di Bob Dylan, completata da un feroce assolo di Jackson alla chitarra elettrica.
Uno “spoken word” altamente drammatico che recita “Let me ask you one question / is your money that good?/ Will it buy you forgiveness/Do you think that it could?/I think you will find/ When your death takes its toll/All the money you made/Will never buy back your soul”. “Tutto il denaro che avete accumulato non servirà a salvarvi l’anima”: c’è tutto “Signori della Guerra”, padroni delle grandi industrie belliche, della Leonardo S.p.A. . Patti non deve aggiungere altro e noi con lei, all’unisono come sempre. Impossibile restare seduti. “Ghost Dance”, tratta da un canto degli Indiani delle pianure della fine del XIX secolo, un inno che invocava la resurrezione delle anime dei defunti, per una comunione fra i popoli, quasi come per gettare un ponte fra passato e presente. Quest’anno ricorrono i 50 anni dalla pubblicazione di “Horses”, l’album che ha fatto conoscere Patti Smith in tutto il mondo.
Il brano era stato scritto insieme all’amico Tom Verlaine, chitarrista dei Television e le note della chitarra ce lo ricordano ancora una volta, uno sguardo dolcissimo rivolto ad un’epoca che non esiste più, quella per primo punk U.S.A. targato CBGB. “Dancing Barefoot”, sinuosa e avvolgente come sempre, è un nuovo invito alla danza, che la gente raccoglie con entusiasmo, mentre “Pissing In The River” è un brano dotato di un “crescendo” potente che culmina con un assolo di chitarra lancinante. La voce di Patti è giunta al limite, non può spingersi oltre. Con “ Nine” e con una fantastica esecuzione di “Work”, la “cover” di un brano di Charlotte Day Wilson, le corde vocali di Patti riposano un attimo. Ma poi, a sorpresa, ecco che arrivano le note di “Bullet With Butterfly Wings”, il noto brano degli Smashing Pumpkins:”Despite all my rage I’m still just a rat in the cage/ I want a change” (Malgrado tutta la mia rabbia mi sento ancora come un topo chiuso in gabbia/ Io voglio un cambiamento).
Una versione arrangiata con cura, un pezzo sbalorditivo che avrebbe riempito d’orgoglio lo stesso Billy Corgan. Non poteva mancare l’esecuzione di “Peaceable Kingdom”, un pezzo identitario, una sorta di manifesto politico e sociale che rappresenta tutto quello che è e che vuole dire Patti Smith adesso, ancora combattiva, seppure giunta alla soglia degli 80 anni d’età. Si invecchia soltanto quando non si alimentano più le proprie passioni, quando non si cercano nuovi stimoli: Patti questo lo sa benissimo e ce lo ha dimostrato questa sera in un concerto che sembra non finire mai e che raggiunge il suo “climax” con “Because The Night” il pezzo scritto per lei da Bruce Springsteen, una canzone che qui in Italia ha fatto breccia in tutti i cuori degli appassionati di musica, dei veri rocker. Si chiude con “Gloria” tratta da “Horses”, una “cover” dei Them di Van Morrison, un brano tornato al successo proprio grazie alla versione trascinante di Patti.
Non possiamo chiedere di più: lei stringe tutti in un abbraccio ideale e saluta. E’ commossa, lascia il palco quasi con dispiacere, mentre noi torniamo verso casa più positivi, più consapevoli. Siamo dalla parte giusta, “masters of war”! Patti ha tagliato il finale scritto da Dylan, ma noi “vi seppelliremo” e staremo a guardare le vostre bare mentre finiscono sotto terra!
SETLIST
People Have The Power Transcendental Blues Ghost Dance Masters Of War Break It Up Nine Dancing Barefoot Work Beneath The Southern Cross Pissing In The River Bullet With Butterfly Wings Peaceable Kingdom Because The Night
Encore :
Gloria
Articolo del
16/09/2025 -
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