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Si parla e si scrive tanto di musica, ma quanti oggi sono ancora disposti a spendere denaro per un CD o un 33 giri? E di conseguenza e soprattutto: che fine stanno facendo i negozi di dischi? Attivo nel mercato discografico da tantissimi anni, prima manager di un gruppo, The Cherry Boys, poi venditore di dischi, infine cofondatore della Proper Music Distribution, Graham Jones affronta e sviluppa l’argomento in un librone di più di trecento pagine. Un testo in inglese di non facile lettura, arricchito da una decina di foto, pieno di aneddoti curiosi, e talvolta illuminanti, sull’industria discografica e su ciò che ruotava e ruota ancora intorno alla gestione di un negozio di dischi.
Dopo una lunga introduzione autobiografica, l’autore ci porta con sé in un tour di decine e decine di rivendite del Regno Unito che ancora sopravvivono alla crisi del settore. In ogni tappa incontriamo negozianti o commessi – con cui Jones intrattiene rapporti lavorativi e di amicizia – che con le loro storie contribuiscono a un resoconto corale, interessante, spesso “preoccupante”, delle condizioni in cui versano le realtà indipendenti che ancora resistono al potere schiacciante delle grosse catene di vendita, ipermercati e affini, con la loro offerta musicale a buon prezzo ma necessariamente omologata. Saltando dagli Anni Ottanta ai nostri giorni, la lettura è vivacizzata da racconti divertenti di cui sono protagonisti artisti di primo piano: le maniere scortesi di Van Morrison, cliente villano; Billy Bragg che assiste all’indifferenza degli avventori di un negozio in cui stanno suonando il suo esordio discografico fresco di stampa; Ian Curtis, appassionato di musica che i dischi se li comprava in una rivendita di fiducia, anche se il biopic "Control" ce lo rappresenta dedito al taccheggio “discografico”, ecc.
Jones sottolinea ripetutamente, portando esempi concreti, che:
1) Per i negozi indipendenti non sarà facile sopravvivere senza una buona dose di determinazione e di creatività: molte delle attività citate tirano avanti perché si sono specializzate in determinati generi e/o hanno saputo affiancare alla vendita di supporti fonografici quella di altri prodotti in qualche modo ad essi collegati, ad esempio, strumenti musicali.
2) I negozi indipendenti devono puntare sul rapporto che si può stringere tra il negoziante appassionato di musica e competente e il cliente per cui l’acquisto di un disco non è una banale compera da supermercato. Lo scambio di opinioni e suggerimenti rende ancora una rivendita di dischi un posto ben diverso dai mastodontici punti vendita “generalisti” dei centri commerciali.
3) L’industria discografica non sostiene in alcun modo le piccole attività e favorisce le grandi catene, che acquistando grosse quantità di dischi usufruiscono di sconti particolari e possono vendere i CD a prezzi inferiori del singolo negozio. Secondo Jones, le major vogliono sbarazzarsi di quelle piccole realtà e utilizzare solo i canali della vendita on line e negli ipermercati.
4) Il Web non va demonizzato, anche se la scomparsa di centinaia di negozi – solo nel Regno Unito, 540 negli ultimi quattro anni – è dovuta anche al download selvaggio. Per Jones le case discografiche potrebbero aiutare i negozi indipendenti approntando edizioni speciali di ogni titolo in uscita, con bonus track, che siano disponibili solo in quei punti vendita. 5) Diversi negozi di dischi inglesi hanno avuto un ruolo fondamentale nella promozione di band alle prime armi instradate nel circuito della musica dal vivo e poi salite alla ribalta, quali Radiohead, Muse o Def Leppard. Leggendo Last Shop Standing ci si potrà dilettare tra l’altro con la trattazione degli incredibili e “artigianali” intrallazzi dell’industria discografica per dominare le hit-parade, uno degli aspetti più interessanti del libro, e con i racconti dei negozianti di dischi alle prese con la bizzarria di alcuni avventori, altro punto di forza dell’opera. Come detto in precedenza, raggiungere la fine non sarà una passeggiata, ma tra clienti psicopatici e tipi che con una compravendita si sbarazzano inavvertitamente di una copia del 33 giri di Bryan Ferry Bride Stripped Bare dimenticando di averci nascosto una busta con foto osé della moglie, il testo vi strapperà parecchie risate. E forse anche qualche lacrimuccia nostalgica.
P.S. Ispirandoci alle pagine di Jones, nei prossimi mesi pubblicheremo su Extra delle interviste rilasciate dai gestori/ proprietari/ commessi di diversi negozi di dischi italiani che resistono con passione e determinazione all’egemonia del download selvaggio e degli shopping center “coi prezzi più bassi”. I nostri Last Shops Standing...
Articolo del
04/02/2010 -
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