“Il lavoro nobilita l’uomo” stava scritto, con macabro sarcasmo, all’entrata di Auschwitz. Sarà anche vero – e lo è – che l’ozio è il padre dei vizi, ma l’organizzazione attuale del lavoro intellettuale ha certamente toccato ormai, in questo inizio di XXI secolo, la disumanizzazione più atroce. Del lavoro manuale non parliamone nemmeno: (ri)sentitevi “Spaghetti Western”, ghost track di “Amen” dei Baustelle e siamo a posto.
“Studio illegale”, bel romanzo di Duchesne ci racconta, con leggera ironia, proprio la suddetta progressiva disumanizzazione, il lavoro che ti mangia la vita. E per cosa? Per la produzione di un qualcosa di indubbia utilità? Macché: per “un’impressionante accozzaglia di clausole, impegni, dichiarazioni, covenant”, che, in fondo, non sono che colossali seghe mentali. La vita scivola tra le mani del protagonista, Andrea Campi (che, appunto, non vive: “campa”), giovane avvocato nella sede milanese di un prestigioso studio legale: un universo popolato di arroganza, cinismo, sbruffoneria. Il protagonista svolge lo stesso lavoro dell’autore del romanzo, figlio dell’omonimo blog dello stesso Duchesne. È uno che vive nel ventre della balena, probabilmente in una di quelle ditte che 45 anni fa il Bianciardi sognava – a somma e sacrosanta ragione - di far saltare in aria. Non si tratta di una vicenda moraleggiante costruita a tavolino, ma di un romanzo fatto di situazioni reali cucita insieme: insomma uno specchio dei tempi. Tempi grami. C’è tutto: la presunzione tutta milanese di essere al centro dell’impero, lo scontro con l’altro polo nordista, il Veneto (in cui ognuno dei due pretende di essere il motore d’Italia: uno più cool e l’altro meno, al massimo), lo sconsolante e squallido maschilismo degli ambienti professionali meneghini, il vuoto di esistenze totalmente votate a un lavoro in cui non credono e che non regala nessuna soddisfazione a patto di non aver abdicato al proprio essere persone. Uno scenario che è quello presentato da “Il liberismo ha i giorni contati”, ancora dei Baustelle. Una vita tanto insincera eppure reale quanto la Dubai in cui il protagonista, un po’ Fantozzi forse, ma molto meno sottomesso dentro, a un certo punto si deve trasferire per terminare un’importante negoziazione. Un perfetto scenario irreale eppure concreto per una vita altrettanto irreale ma concreta. La bravura di Duchesne sta nel raccontare tutto concedendo il giusto spazio alla drammaticità e alla sdrammatizzazione: i siparietti “Ti offro un caffè” sono spassosissimi squarci di orribile mondo reale che fanno capolino nella vicenda.
Bel romanzo, inaspettato, che cattura sin dalle primissime pagine e si fa rimpiangere una volta finito. Un bel talento con qualcosa da dire.
Articolo del
16/02/2009 -
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