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Beh, ragazzi, che biografia! Philip Norman, ampiamente noto per i suoi lavori sulle vite di Beatles, Rolling Stones, Elton John, Buddy Holly, John Lennon, Mick Jagger, Paul McCartney ed Eric Clapton, è migliorato col tempo. Shout!, la sua biografia dei Beatles uscita nel 1981 e successivamente rivista più volte, fu ampiamente lodata già all’epoca, nonostante diverse carenze (non conosceva la terminologia base della chitarre) e imprecisioni, presenti anche in quella di John Lennon del 2008, a fronte di uno stile narrativo sempre gradevole e appassionante.
Personalmente, da amante della temporalizzazione precisa quale sono, ho sempre considerato un peccato (ma veniale) di Norman il fatto che usi poche date, in favore di generici “un giorno”, ecc.
Il suo penultimo lavoro è questo Wild Thing, ovvero La breve e avvincente vita di Jimi Hendrix. E, accidenti, l’ho scritto prima, ma mi ha steso: una capacità narrativa come al solito eccezionale, ma anche una precisione nei dettagli della vita di Hendrix quale ho trovato raramente in un lavoro che ne affronti l’intera vita.
I momenti topici del volume, oltre alla ricostruzione delle infelici infanzia e adolescenza di Jimi, sono senz’altro la ricostruzione del periodo passato nel famigerato Chitlin’ Circuit, puntuale e accurata anche per band in cui il nostro beneamato ha militato una settimana scarsa; il rapimento di Hendrix a New York da parte di malavitosi; l’estate passata a Woodstock a tentare di mettere insieme i Gypsy Sun and Rainbows; la leggendaria jam con Miles Davis; il racconto della morte, con le prime versioni dei coinvolti e il successivo emergere, nei decenni successivi di discrepanze, contraddizioni, nuove verità.
Certo le date precise latitano: comme d’habitude, Norman segue un percorso cronologico che si interrompe qualora voglia focalizzare un aspetto della vita o del carattere del protagonista o di uno dei personaggi secondari della biografia; qui affastella aneddoti differenti presi da epoche diverse, che solo il conoscitore attento riconosce come tali.
Tuttavia la verità umana e artistica che è capace di evocare in questa maniera supera e giustifica la mancanza di contestualizzazione. Soprattutto, come accennato, Norman riesce a mettere ordine in periodi particolarmente confusi della vita di Hendrix, certamente favorito dalla massa di ricordi che sono usciti dopo la pubblicazione di quella che è considerata la biografia migliore del chitarrista di Seattle, e cioè "Room Full of Mirrors" di Charles R. Cross.
Ad esempio, l’uscita nel 2011 di "American Desperado", l’autobiografia del trafficante di droga Jon Roberts (uscito in Italia nel 2013 come "Il re. La vera storia dietro Scarface"), un testo chiaramente lontano dai radar di chi si occupa di musica, consente a Norman di avere quelle informazioni che mancavano ai precedenti biografi per stabilire qual’era la verità dietro al presunto rapimento di Hendrix a New York, in realtà avvenuto e, no, non per volontà e su commissione del suo manager Mike Jeffery, come si era spesso fantasticato.
Si fa ampiamente apprezzare anche il grande spazio riservato alle donne veramente importanti della vita di Jimi, come Linda Keith, Katie Etchingham, Sharon Lawrence. Figure losche come la supergroupie Devon Wilson sono invece messe un po’ in secondo piano e qualificate come si meritano. Notevole il lavoro fatto su Monika Dannermann che, dopo la lettura di questa biografia, ho l’impressione sia stata colei che ha scientemente ucciso Hendrix. Insomma: libro consigliatissimo.
Applausi ed elogi alla traduttrice Elena Montemaggi e a Caissa che lo ha pubblicato in Italia. In copertina un dipinto di Amanda Lear.
Articolo del
28/10/2025 -
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