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A Nick Kent, un dio del giornalismo rock, non è mai piaciuta: “Quella cazzo di Bohemian Rhapsody è stata al primo posto per nove settimane – la gente diceva: 'Se resta al primo posto per un'altra settimana mi ammazzo – o metto su una band'. La maggior parte delle persone ha fondato una band, ed è così che è nato il punk".
Suggestivo, ma menzognero: come ben sappiamo tutti, Bohemian Rhapsody fu il pezzo che diede un posto tra le leggende ai Queen, un mirabile incrocio di glam, prog, opera, hard rock, divenuta uno dei classici indiscutibili del rock, uno di quei brani capaci di far cantare in coro 65000 spettatori in attesa di un concerto dei Green Day a Wembley, nel 2017.
Nel 2017. Giusto che Borgognone vi dedichi un libro e che lo apra proprio con la rievocazione di quella scena impressionante e subito dopo della trionfale esibizione dei Queen al Live Aid, sempre a Wembley, nel 1984. Al secondo capitolo (ma siamo appena a p. 17) si entra nel vivo: genesi del brano, forma, parole e musica: insomma una bella analisi del brano in sé.
Quindi si passa alle reazioni, che si sa, furono negative tanto da parte dei discografici quanto dei critici, ma positivissime da parte di djs e pubblico.
Giusto quindi dedicare delle pagine all’aspetto visuale, smentendo la diceria infondata per cui quello di Bohemian Rhapsody sarebbe stato il primo videoclip della storia e mettendone in luce la caratteristiche, a partire dalla ripresa della foto di copertina di QUEEN II, opera di Mick Rock, peraltro malamente riprodotta in copertina con un’imitazione che sembra fatta con l’AI (questioni di diritti, credo) e che al posto di John Deacon pare schierare Johnny Ramone.
Ma fin qui, a parte le due tre pagine imbarazzanti in cui Borgognone riporta i commenti di illustri sconosciuti d’oggidì pescati sul web (una cosa boomerissima e cringe anche per me, che ho solo due anni di meno dell’autore), tutto bene.
Il punto è che siamo solo a p. 60 di un volume che nel conta 144. Le restanti 84 pagine danno l’idea di un riempitivo inutile, a volte accettabile, a volte no. Si parla della presenza di Bohemian Rhapsody nei film, del musical We Will Rock You che la contiene, delle pubblicità che l’hanno usata. Insomma: avevamo bisogno di queste pagine?
Il quinto capitolo è dedicato all’album in cui è contenuta, il capolavoro A NIGHT AT THE OPERA, il che è a mio avviso giustificato, ma a rendermi perplesso è la posizione di questa parte nel libro: perché dopo aver esaurito l’argomento e non intorno a Bohemian Rhapsody? E anche qui i commenti di sconosciuti presi dal web.
Il sospetto che si allunghi brutalmente il brodo si fa più forte a leggere il sesto capitolo, dedicato alla storia della band pre-1975: perché qui e non all’inizio? Ma l’odore della fuffa assume i contorni della certezza quando si arriva a una discografia della band come quelle che si mettevano nei libri degli anni ’90: a che pro, visto che è roba che si trova ovunque sul web?
Insomma, visto che non ci sono rivelazioni sconvolgenti, che più di metà libro è mal disposto, che alcuni momenti sono imbarazzanti, il libro, stranamente per una produzione Caissa, che ci ha abituato a ben altri livelli, risulta utile solo per digiuni di Queen senza internet, senza tv, mai stati al cinema. Che non si vede perché dovrebbero comprarlo
Articolo del
23/10/2025 -
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