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Una magia che continua tappa dopo tappa, quella del musical A Christmas Carol, produzione tutta italiana ma dal sapore internazionale, che sta girando tutta l’Italia riscuotendo grande successo. Sold out anche la replica di Varese, andata in scena domenica 28 dicembre al Teatro Intred, con una lunga standing ovation finale. Uno show completo, che mescola le diverse arti performative (recitazione, canto solista e corale, coreografie) e che colpisce anche per l’apparato tecnico (luci, scene, costumi, musiche, effetti speciali). Nel ruolo di Scrooge (celebre personaggio reso immortale dalla penna di Charles Dickens) c’è Fabrizio Rizzolo; accanto a lui il folto gruppo artistico della Compagnia BIT di Torino, attiva da quasi 20 anni e nota per diversi spettacoli come “La Fabbrica dei Sogni” e “La Principessa e il Ranocchio”. Abbiamo intervistato la regista dello spettacolo Melina Pellicano (e autrice dell’adattamento), che ci ha raccontato che cosa si cela dietro al suo stile registico, come sia lavorare con una grande compagnia teatrale e qual è il messaggio universale che questa storia può trasmettere ancora oggi
A quali artisti si ispira il suo stile registico, che in questo spettacolo oscilla toni profondi e drammatici ad altri più leggiadri? “Non mi ispiro a singoli artisti in particolare, ma preferisco la costruzione di uno stile registico personale e coerente con tutti gli spettacoli che dirigo. Il mio obiettivo principale è offrire al pubblico un’esperienza emotiva che sappia coinvolgere e scavare in profondità nei sentimenti. Do grande importanza alla storia e al mondo interiore dei personaggi: è da lì che nasce una drammaturgia capace di alternare momenti di intensa commozione ad altri più leggeri e spensierati, in linea con il sottotesto e il percorso emotivo di ciascun personaggio. Mi piace curare anche ciò che avviene in controscena e tutto ciò che non viene esplicitamente detto, perché contribuisce a dare rilievo all’azione principale e al contesto. Infine, credo molto nei momenti di magia e di non ordinarietà, che aiutano lo spettatore a immergersi più profondamente nella storia”.
Quali sono le eventuali difficoltà e invece i punti di forza di dirigere un gruppo così numeroso in scena? Il punto di forza sta nella possibilità di lavorare sulla diversità e sulle caratteristiche uniche di ogni interprete. Mi interessa molto valorizzare le singole personalità in scena. Un cast eterogeneo arricchisce l’azione scenica di colore e sfumature, che per me sono fondamentali: sono proprio le differenze di carattere e sensibilità a dare profondità e valore alla coralità. La difficoltà principale è evitare che l’ensemble diventi un unicum privo di identità. Quando si gestiscono grandi masse, il rischio è quello di un movimento troppo uniforme. L’armonia e la coerenza sono necessarie, ma il vero rafforzativo sta nel riuscire a far emergere, anche all’interno dell’insieme, le caratteristiche di ciascun interprete”. Si ricorda quando per la prima volta ha incontrato “A Christmas Carol (e Dickens, immagino da bambina) e quando ha deciso di lavorarci come regista? “A Christmas Carol fa parte di un immaginario fantastico che mi ha sempre affascinata: sono da sempre attratta da tutto ciò che è surreale e immaginifico, e l’incontro con il mondo di Dickens è avvenuto naturalmente già da bambina. È un testo che, per sua natura, si presta in modo straordinario alla drammaturgia teatrale. Quando ho deciso di affrontarlo come regista, ho sentito il bisogno di restituirne tutta la profondità, partendo dal mondo di Dickens nella sua interezza: il contesto storico, culturale e poetico. Ogni volta che lavoro su un testo o su un adattamento, mi piace partire dai luoghi, dal vissuto dell’autore e dal tempo in cui ha scritto, per potermi calare completamente in quello spazio. Mettere in scena “A Christmas Carol” ha significato per me viverlo prima in prima persona, interiorizzarlo profondamente. Occupandomi non solo della regia ma anche dell’adattamento in musical, questo passaggio è stato fondamentale: una volta assimilato il mondo di Dickens, è stato naturale individuare e valorizzare dettagli capaci di rendere il suo universo chiaro, evocativo e immersivo per il pubblico”.
Quali sono i messaggi che ancora oggi questa storia e questo spettacolo possono lasciare alle nuove e vecchie generazioni? “I messaggi di “A Christmas Carol” sono ancora profondamente attuali, forse oggi più che mai. Al centro c’è l’idea del cambiamento e dell’evoluzione interiore: il Natale diventa per Ebenezer Scrooge un’occasione di trasformazione, ma è anche un invito rivolto a ciascuno di noi. Ognuno può incontrare, nel corso della vita, una o più possibilità di cambiamento, ed è importante saperle riconoscere e non lasciarle scivolare via. Un ruolo fondamentale lo ha la Memoria. Il passato, se guardato con consapevolezza, può diventare uno strumento prezioso per costruire un futuro migliore. Per questo, nell’adattamento, ho voluto dare grande rilievo al passato nel viaggio di Scrooge, sottolineando il valore della conoscenza di sé e delle proprie radici. Un altro tema centrale è lo sguardo limpido, privo di giudizio: lo spettacolo si apre con le parole di Tim, un bambino, capace di osservare la storia di Scrooge con innocenza e verità. Da qui nasce anche il richiamo alla semplicità, al riscoprire gli affetti autentici, al gioire delle piccole cose. Infine, c’è un forte invito alla responsabilità verso gli altri, in particolare verso chi è più fragile. Non si tratta di carità, ma di una riflessione profonda sul valore dell’aiuto quotidiano, del donare un sorriso o un sollievo quando se ne ha la possibilità, affinché tutti possano condividere con maggiore dignità anche i momenti più semplici della vita”
Articolo del
30/12/2025 -
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