Mi piace da impazzire la sigla di “Pollon”. Intendiamoci, non per mai negata passione verso la mitologia greca, qua raccontata quasi come bignami. O, quantomeno, non solo. Mi piace proprio a livello strumentale. Quell’uptempo reggaeggiante è un capolavoro già di per sé, e la linea di basso, clamorosa, lo rende ancora più prezioso. Per quanto mi riguarda, va di corsa nella mia personale libreria di musica bella, perché mi diverte, e di musica utile, perché “didatticamente” è, appunto, utilissima.
Come si può intuire dai protagonisti di questa intervista, qualora i miei articoli precedenti non fossero stati abbastanza chiari in merito, mi piace anche la musica cosiddetta “d’autore”, mi piace quando una canzone mi lascia qualcosa anche a livello civile, oltre che emotivo e didattico.
Non mi piacciono, invece, gli integralismi. Soprattutto perché i tre mondi (o ambienti, se volete) di cui faccio parte, scrittura, musica e teatro, per quanto mi riguarda lo consentono poco. O almeno dovrebbero farlo. Non mi piacciono neanche le etichette, e la tassonomia musicale di scientifico ha ben poco, praticamente nulla. Considerando, soprattutto, che la musica è troppo fluida per essere incatenata. E non parlo di fluidità intesa come modo di fruizione, no. Parlo di fluidità intesa come mutevolezza di linguaggi. Faccio un esempio pratico, che è una provocazione (ma non troppo): chi mi sappia spiegare, oltre alle differenze stilistiche, la differenza fra le composizioni incendiarie di Ivan Della Mea e quelle, altrettanto incendiarie di Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori, si faccia avanti.
Rinchiudersi in stantii celodurismi è un qualcosa che fa una sola vittima: la musica. Vogliamo un altro esempio? Non dimentichiamoci del mezzo processo sommario che venne fatto a De Andrè per “La Buona Novella”, definito dai più zucconi (o dai meno avveduti, fate voi) un disco anacronistico solamente per partito (in quel caso, strettamente politico) preso.
La musica, viva Dio, cambia. E sta a noi saperle star dietro ed avere l’elasticità tale da saperne comprendere i nuovi linguaggi.
Ho sempre pensato che l’altra cosa che uccide la musica, o almeno l’altra fra le cose meno materiali e più concettuali, sia il confronto col passato. Non giova a nessuno, né agli “antiqui mores” né ai nuovi, che non saranno mai apprezzati per quello che sono. Si tratta di evitare, quanto più possibile, il passatismo, e cercare una critica nella sua accezione filologica, di “sottoporre a giudizio”, inteso come vox media, per arrivare ad un qualcosa di costrtuttivo.
Magari parlo troppo da “figlio del mio tempo”, ma credo, con la scelta dei protagonisti di questa intervista, di aver fatto intendere definitivamente quale sia la mia scelta di campo. Ed, alla luce di questo, tutte le possibili interpretazioni (o comunque buona parte di esse) equivalgono a “masturbazioni cerebrali”.
Adesso godetevi l’intervista, se vi andrà. In alternativa, ovviamente, ascoltate comunque Max e Federico. Che sono musica bella. Ed utile. Come sempre, ho tagliato dalle risposte il meno possibile, mi sono limitato ad “aggiustarle” sintatticamente.
Ovviamente cominciamo dal Quarantena Tour: che cosa è e come è nata l’idea?
1 Allora, sicuramente è un modo alternativo di restare insieme agli appassionati che ci hanno seguito in questi anni, che mi sembra siano ormai quattro, quasi cinque, di “No Genova Tour”, che io e Max abbiamo portato in giro per l’Italia, e che era l’idea di mettere insieme le storie e le canzoni dei due cantautori genovesi attualmente in attività più rappresentativi. Ora, appunto, questo tour da quattro anni tocca locali e teatri, ed, ovviamente, al momento risulta bloccato a causa dell’emergenza. E allora l’idea era quella di continuare, in qualche modo, ad essere presenti, cercando soluzioni alternative e contemporanee, come l’uso dei social. Ed insieme ai Lady Lazarus, che è una band di Savona, molto bravi, oltre che musicalmente, anche tecnologicamente, si è studiato questa sorta di show del sabato sera, a me piace chiamarlo così, in cui, oltre a canzoni mie e di Max, scegliamo tutta una serie di artisti che conosciamo, spesso amici, tendenzialmente non mainstream, e li facciamo conoscere (se già non li conoscono) ed ascoltare al pubblico che segue la diretta, che va in onda ogni sabato sera alle 21.30 sulle pagine del Quarantena Tour di Twitch, Facebook e YouTube.
2 Il Quarantena Tour è, principalmente, un programma in streaming che ci siamo inventati io, Federico ed i Lady Lazarus, che sono un gruppo di Savona, per fare della musica nonostante la chiusura. Tentare di fare un succedaneo di un concerto, e, però, contemporaneamente, è venuta fuori una vera e propria trasmissione video. E’ diventata, poi, una pagina Facebook, ed ha assunto, in qualche maniera, una vita propria, nel senso che su questa pagina, che è aperta, molti mandano vari contributi musicali. Ma il Quarantena Tour nasce come programma e come “appuntamento fisso” che va in onda ogni sabato alle 21.30 in diretta su Twitch, che è una piattaforma che permette anche le donazioni (che vanno per metà in beneficienza), ma che è recuperabile “in differita” su Facebook. Che tipo di programma è? Allora, nasce come un concerto di Max Manfredi e Federico Sirianni, ma diventa un programma di video, di repertorio o fatti appositamente per la trasmissione, e diventa, così, un programma di video musicali con interazioni con il pubblico. Un gruppo Facebook che conta quasi 5000 iscritti, ed è diventato un vero e proprio gruppo di aggregazione ed, in qualche modo, di divulgazione musicale. Quando avete iniziato vi sareste aspettati un successo del genere?
1 Tendenzialmente, essendo questo un ambito molto imprevedibile, non ci aspettavamo nulla, anche perché non sai quale possa essere la ricezione di iniziative del genere. Effettivamente un numero così grande di iscritti era abbastanza inaspettato, e siamo molto contenti. Adesso però dobbiamo arrivare al passaggio successivo: fare in modo che molti di questi iscritti partecipino al live show del sabato sera, oltre a postare, scrivere ed intrattenersi con noi e gli amministratori del Quarantena Tour. Ci piacerebbe averli come pubblico del live show, che è quello che fondamentalmente ci interessa, ecco.
2 Il gruppo ha avuto un’adesione formidabile, ed il suo fine è quello di fare in modo che ognuno possa postare canzoni di gente che gli piace e che, magari, non conosciamo noi. Poi, sulla pagina, no, non mi aspettavo che ci fossero tutte queste adesioni, né mi aspettavo che la pagina potesse servire a postare contenuti a volontà, indipendentemente dalla sua primaria funzione di “raccolta” degli interessati al progetto e del pubblico. Ovviamente, come ho detto, mi aspetto che per quanto riguarda la puntata, possa esserci un ulteriore aumento dei… “contagiati”, ecco!
Federico cantava che “Il santo è pura resistenza”. Come si resiste attraverso la musica, e come ci si riesce, soprattutto?
1 Allora, io penso che sia una condizione necessaria e naturale per chi lo fa, nel senso che, per quello che riguarda me, ma penso anche per altri che fanno il mio mestiere (che è un mestiere bellissimo ma estremamente complicato, ha tantissime controindicazioni, sia a livello pratico che a livello emotivo), è necessario farlo, devi farlo per una sorta di esigenza personale, di carenza se non lo fai. E allora, essendo in questo tipo di condizione, in questa specie di “obbligo di natura” nel farlo, capisci anche quanto sia bello resistere in una situazione in cui questo tipo di canzone, di proposta artistica non è esattamente il più facile. E però quando ti viene riconosciuto è un bellissimo momento, una bellissima soddisfazione, ti rendi conto che questo tipo di proposta, che porti in giro quasi come un commesso viaggiatore, girando per tutta Italia, viene vista come qualcosa di bello e di raro. Ed in questo senso la resistenza mi sembra sia una condizione importante da mantenere.
2 Oh, intanto lo si comincia a fare nell’ambito della musica. Cioè, prima di pensare che la musica, e l’arte in generale, servano troppo spesso come mosca cocchiera per, in qualche modo, pretendere di guidare gli avvenimenti, dovremmo cominciare a resistere alla brutta musica. Poi, in certi frangenti della storia la musica può assumere una funzione addirittura rivoluzionaria, almeno nell’appoggiare un movimento, che si riconosce in una canzone. Ad esempio, Lluis Llach, cantautore catalano, scrisse una bellissima canzone che veniva cantata negli stadi catalani. E lui è uno che ha avuto dei problemi seri col potere.
Quanto siamo immersi dentro “L’ora del dilettante” ed, anche in questo caso, come si resiste a questa orda di dilettanti?
1 Intanto va detto che “L’ora del dilettante” è stata scritta ancora prima di “Luna Persa” (il disco in cui è contenuta, anno 2008, ndr) ed è una canzone, secondo me straordinaria, che, come dici tu, con una lucidità quasi spietata e crudele, analizza un periodo storico, che era quello in cui è stata scritta. Ma che si dimostra anche profetica, perché questo tipo di “dilettantismo” è, in termini generali, una caratteristica purtroppo molto evidente, molto forte. Anche perché, probabilmente questo “pensiero elementare”, io lo chiamo così, di cui siamo vittime negli ultimi anni, è una condizione molto complicata per raccontare e per cantare le nostre cose. E’ una delle canzoni di Max che io preferisco, e mi capita spesso di farla nei concerti. Non so quanto questo linguaggio e questo messaggio, proprio perché viviamo in una gigantesca “ora del dilettante”, possano essere recepiti e compresi, io spero di sì. Ma comunque, ripeto, siamo un minoranza, una minoranza resistente. E penso anche che, proprio perché resistente, combattente, noi aumentiamo, con questo nostro lavoro quotidiano ed artigianale, la nostra nicchia di affezionati. Non penso che diventeremo mai qualcosa di mainstream, ma abbiamo una nicchia che si allarga giorno dopo giorno, e ce ne stiamo accorgendo anche dal successo del Quarantena Tour. Ho l’impressione, forse, nonostante io tenda a sminuire, che siamo più apprezzati e più conosciuti di quello che pensiamo noi stessi. Quindi bisogna proseguire su questa linea.
2 Mah, intanto scrivendola ed ascoltandola. E’ un buon metodo. Certo, non è un metodo per trainare le folle, ma se si comincia individualmente a rivoluzionarsi un minimo, o, quantomeno, se si comincia ad avere un minimo di lucidità (che non deve per forza essere la lucidità del comune buon senso), che sicuramente non è la lucidità di pensiero che ti “induce” il sistema, allora questo è già qualcosa. Qualcosa che, ripeto, non traina le folle, che può piacere a chi ha avuto la fortuna di sentirla, perché poi bisogna anche dire questo: spesso quello che facciamo noi è quasi clandestino, non nel senso che rischiamo l’arresto, ovviamente, quanto nel senso che non ci mandano in radio o in televisione. Guarda, quella che noi chiamiamo “canzone d’autore”, i francesi la chiamano “chanson de text”. Che va bene a patto che non si pensi che i cantautori non sappiano suonare o non sappiano la musica, cosa, quest’ultima, che spesso è vera, ma che non sappiano elaborare delle musiche, insieme a dei musicisti più bravi di loro sarebbe un enorme falso. E ti faccio l’esempio di De André: in lui c’era una vera e propria regia, come quando un regista non sta tutto il tempo dietro alla macchina da presa, ma lascia spazio anche alle sue nobilissime maestrane, dal tecnico luci al montatore. L’importante in un cantautore è il mondo musicale che quest’ultimo ha, che sia esso una chitarrina, e penso a Bulat Okudzava o Wolf Biermann, che sono nomi notissimi, ma che in Italia non trovano posto perché la cultura pop ha preso altre pieghe. Però trova posto Biagio Antonacci. E già qui capisci cosa è “L’ora del dilettante”. Il fatto, per esempio, che tutte le produzioni, non solo artistiche, vengano equiparate, come se fosse giusto affiancarle. Rimango sempre, per mia deformazione e provenienza artistica, sull’argomento testi. E non posso fare a meno di notare che pezzi come “Il regno delle fate” o “Ascoltami, o Signore”, hanno nel testo una potenza espressiva ed evocativa da veri e propri poeti, quasi leopardiane o montaliane. Quando e se una canzone si può definire poesia? E soprattutto, voi vi sentite un po’ poeti o le vostre canzoni nascono e muoiono con la musica?
1 Intanto sei molto gentile, perché hai scomodato dei giganti della letteratura accostandoli alle nostre canzoni. Quello che penso è che canzone e poesia siano due cose profondamente diverse, ma credo anche che, all’interno di una canzone, ci possano essere degli elementi poetici. Diciamo che credo abbastanza nell’inscindibilità della musica dalle parole. E quello che faccio quando scrivo è proprio su questa linea: cerco di utilizzare delle parole che, oltre al contenuto, abbiano anche una certa musicalità, che possano fluire e scorrere con una certa armonicità sulla voce e sulla musica. Per cui, per quanto mi riguarda, la canzone è un insieme di elementi, e se ne mancasse qualcuno, rimarrebbe monca, mutilata. Ma, appunto, all’interno dei testi (ed anche, qualche volta, delle musiche), si possono trovare degli elementi poetici. Ma l’elemento poetico posso trovarlo, che ne so, anche guardando un balcone di una casa di ringhiera che ha un certo tipo di indumenti appesi sul filo piuttosto che sotto i portici della stazione. L’elemento poetico è qualcosa di personale, che è diverso dalla poesia. Ed è qualcosa che è possibile trovare nelle nostre canzoni, come in quelle di tanti alti. Ma penso comunque che poesia e canzone siano due cose estremamente diverse.
2 E’ una domanda molto complessa, cerco di risponderti a tappe. Il paragone che fai mi ricorda molto un film di Luciano Salce, “Basta guardarla”, un film molto volutamente “cafone”, ma contemporaneamente intelligentissimo e finissimo, e parla delle compagnie dell’avanspettacolo alla loro fine, prima dei cinema, negli anni ’70. Il film finisce con una finta rassegna di recensioni, dove ogni giornale, dal Times a Le Figaro alla Suddeutsche Zeitung, dice che si poteva fare di meglio, ci si poteva aspettare di più. E poi, alla fine, c’è l’araldo di Copparola di Sotto, che è l’immaginario paese di ambientazione del film, che dice “Un capolavoro imperituro, destinato a restare nei secoli insieme al Partenone di Atene ed alla Gioconda.” Allora, Leopardi è Leopardi, ed a me non è che non piaccia mettere insieme le due cose, piuttosto non mi piace sminuire le possibilità poetiche della canzone, che sono altissime. E spesso lo sono cavalcando la musica: non è “soltanto” poesia, è un tipo di poesia musicale e musicata, e c’è sempre stata, basti pensare ai trovatori medievali, o a quel fenomeno sì di altissima musica classica, ma comunque borghese, che fu il lied tedesco, che da noi divenne lied napoletano. La canzone ha tante possibilità, eh… può anche essere brutta e funzionale. Quindi non mi piace dire che la canzone può essere poesia, anche perché dipende dal tipo di poesia: se mi dici Leopardi è un conto, anche perché, giusto per rimanere in tema, è stato musicato da musicisti classici, e gli è stata data fin troppa austerità, facendo venir meno la leggerezza, che in Leopardi è la base. Dico che lo stesso testo di una canzone, in certi casi ha una valenza poetica anche senza la musica, però poi bisogna rimetterli insieme, non si può snaturare troppo, è un po’ come i piatti destrutturati: sì, hai tutti gli ingredienti, ma il piatto “vero” è un’altra cosa. Diciamo che “l’uomo non divida ciò che Dio ha unito”, in questo caso musica e parole. Poi, sul sentirsi poeti, anche lì dipende… in senso tecnico io lo sono, ho anche pubblicato un libro di poesia. Ma il fatto è che, adesso, quando si dice “poeti” si confonde spesso quello che in linguistica si chiamava denotativo con quello che si chiamava connotativo. Nel senso che, denotativamente, qualsiasi stronzo che scrive una cosa, anche senza pubblicarla, dicendo che è in versi, perché può anche essere in prosa e lui semplicemente separa una frase da un’altra, è a tutti gli effetti un poeta. Il problema è che, connotativamente, quando si dice di qualcuno “E’ un poeta” gli si fa un complimento. Quando uno dice “Ah, Baglioni è un poeta”, sta dicendo che Baglioni è tanto bravo nello scrivere i testi che gli da le stesse emozioni che da Dante, anzi di più perché Baglioni lo conosce "di persona”. Ecco il rischio: incensare troppo quelli che sono tecnicamente poeti, che scrivono poesie e le pubblicano anche. Perché poi che stiano nella stessa scia di Leopardi, che, diciamo così, nuotino nella sua stessa piscina è tutto da vedere. Ed, ovviamente, dipende dai nostri gusti.
L’attualità della canzone d’autore, e, quasi di conseguenza, il bisogno di avere testi importanti qual è?
1 A me sembra che negli ultimi anni quella che viene definita “canzone d’autore contemporanea” abbia scelto, proprio a livello di contenuti, una linea di testi “di leggerezza”. Non dico di disimpegno, ma comunque di una narrazione meno pregna, meno forte, dal punto di vista dei contenuti. E’ una visione quasi di contorno, un po’ a pelo d’acqua. Mi sembra che manchi, al netto del fatto che non so se ce ne sia bisogno, qualcosa che vada un po’ più a fondo. Ed infatti è un ambito che purtroppo mi stimola pochissimo, non ci sono cantautori contemporanei che suscitano il mio interesse. Sì, magari qualche canzone, qualche frase qua e la che trovo ben riuscita, però non riesco ad appassionarmi come faccio, invece, con cose che magari già conosco. Però non credo che sia una questione di tipo nostalgico, anche perché sono abbastanza attento ai fenomeni contemporanei, addirittura tanto da trovare più interesse in certi linguaggi, duri ma di contenuto, che possono esserci nel rap o in certa trap, nonostante non sia il mio genere, piuttosto che in quella che viene definita canzone d’autore contemporanea.
2 Beh, anche qui mi permetto di dividere le considerazioni. La canzone è attuale nei confronti di sé stessa, ascolta sé stessa. Ha bisogno di un pubblico, di qualcuno che la senta, e può essere lo stesso che la tratta. Ma ha bisogno di un mezzo, dell’aria, di qualcosa del genere, per esistere. Mentre, in qualche modo, la letteratura, oggi, cioè alla fine dell’età antica, è qualcosa che ognuno può leggere in silenzio, basta a sé stessa. Poi, a parte questi discorsi, è logico che ogni forma d’arte (e bisognerebbe vedere cosa significhi effettivamente “arte”, perché letteralmente è solo “l’agire”, tralasciando la sua sublimità), per sua natura, ha bisogno di comunicare, della comunicazione. La cosa non necessaria è comporre l’oggetto artistico in base a regole di comunicazione. In realtà un po’ si, mi viene in mente una bella frase di Tom Waits, che si chiedeva “E’ nata prima la canzone o la ciotola?” e si rispondeva “No, è nata prima la ciotola. Ma subito dopo la canzone, per celebrare la ciotola!” La questione è abbastanza semplice: è utile una canzone? No. E’ utile una poesia? Non lo so, probabilmente no. L’inno nazionale è utile, ma nel senso che è funzionale, ha una funzione, ci tiene, in qualche modo, uniti. Poi c’è anche la funzione, molto più semplice, dell’ascolto.
Rimanendo in tema canzone d’autore, c’era una cosa che mi andava di chiedere a due genovesi, che, soprattutto, hanno avuto un rapporto abbastanza importante con l’argomento di cui sto per chiedere: querelle Club Tenco- famiglia Tenco… cosa ne pensate?
1 Guarda, io ne so pochissimo, e tendenzialmente non me ne frega niente. Penso che certi discorsi meno escano da un certo contesto, meglio è. Anche perché mi sembra una situazione autoreferenziale: mi chiedo a chi serve. Onestamente non mi appassiona proprio questo dibattito, e non saprei cosa dirti. Conosco alcune persone del Club, che sono persone stimabilissime, conosco alcune persone della famiglia Tenco, fra cui Patrizia, che è una persona simpatica ed intelligente, ma onestamente non mi interessa più di tanto.
2 Se non ricordo male ho anche firmato la lettera aperta che è arrivata al Club. Però la firma non l’ho messa né pro né contro qualcuno, l’ho messa come forma di rispetto e di nostalgia verso il Tenco pensando a quando ci sono stato io la prima volta, ed a quando ho conosciuto Amilcare Rambaldi. Io l’ho fatto per Amilcare Rambaldi, perché so che se fosse stato vivo non gli sarebbe piaciuta questa situazione qua. Forse molte altre cose non gli avrebbero fatto piacere, ma sicuramente questa no. Allora, la famiglia Tenco ha potuto fare tutto quello che vuole, ovviamente ha tutti i diritti in sede legale, però m’è sembrata una cosa quasi stupidina, non ne ho capito il motivo reale. Cioè, anche se uno pensa “Ah, il Club Tenco adesso fa schifo, ed era meglio due anni fa”, oppure “Il Club Tenco fa schifo da quando è morto Rambaldi”, se non piace o non è piaciuto l’operato del club, ed ha la fortuna di chiamarsi Tenco di cognome, non mi sembra una cosa così grave da interdire il nome. Cioè, anche se non ti piace Achille Lauro… ma chi se ne frega, ad un certo punto? Voglio dire, non è così grave come la figlia di Ezra Pound, che si è incazzata perché quelli di Casapound hanno preso il nome del padre, con la scusa che era fascista anche lui. Lì ha fatto bene ad incazzarsi. Tornando alla famiglia Tenco, beh… non mi è sembrata una cosa così dovuta. Poi magari loro ci stanno molto male, e se così fosse, chiedo scusa per aver firmato quella lettera. Io ho solo detto a Sergio Staino di farmela arrivare per quel motivo lì, che era, appunto, Amilcare Rambaldi. Poi, comunque, ho cose più importanti a cui pensare… voglio dire, dopo quel livello lì ci sono Bugo e Morgan. Dall’altra parte, il Tenco degli ultimi anni mi ha infastidito non tanto per quelli che hanno invitato, quanto più che altro, per quelli che non hanno invitato, Marco Ongaro o Claudio Sanfilippo non valgono di meno rispetto agli invitati, ecco. Diciamo che il Tenco, per quanto mi riguarda, serve anche a questo: far scoprire della gente brava a qualcuno che, magari, non li conosce. Progetti futuri?
1 In autunno dovrebbe uscire il mio nuovo album, quasi un concept, che si intitolerà “Maqroll” ed è, ovviamente, ispirato alla Saga di Maqroll il Gabbiere raccontata da Alvaro Mutis.
2 In autunno dovrebbe anche uscire il mio album. Diciamo che, non appena le restrizioni saranno attenuate, potrò andare dagli amici di Savona, che sono gli stessi che ci stanno accompagnando nel Quarantena Tour, per proseguire le registrazioni. E’ un lavoro nuovo, che sto compilando mettendo insieme canzoni nuove e canzoni vecchie, “vestendole” (anche se non mi piace il termine), diciamo tatuandole con un arrangiamento che possa piacere, che possa essere poetico. Diciamo, tornando un attimo indietro, che in una canzone c’è una parte poetica ed una parte musicale: la parte poetica è la musica, e la parte musicale è il testo. Il testo ha già la sua musica, ma la musica, a seconda di come trascolora, di cosa comunica, dei suoni che usa, acquisisce una sua poetica autonoma. Per esempio, appunto, Bob Dylan ha cominciato con la chitarrina, però poi gli è piaciuto usare l’elettrica, il basso, la batteria. Voleva un suono. Ed il suono è importantissimo. Lo è sempre stato, già con la musica classica o col jazz. Si è sempre cercato un suono. E quindi non è che uno possa dire “Beh, ho fatto una canzone, adesso vediamo cosa mettere e poi la pubblichiamo”. Come ho già detto, il cantautore è un regista, deve porre attenzione anche ai suoni, agli strumenti che usa.
Secondo voi questa quarantena potrebbe essere un periodo proficuo per la scrittura?
1 Guarda, io scrivo molto in casa, e scrivo molto in solitudine. Però in questa quarantena ho scritto proprio pochissimo. E me la sto passando abbastanza bene, non sto patendo, come mi è capitato di vedere in molte persone. Però è una condizione di obbligo, non è una scelta. L’isolamento, la casa, come scelta sono cose che hanno degli ottimi margini creativi. Al contrario, qualunque cosa venga imposta come obbligo non so quanta creatività possa lasciar uscire fuori. Vedo un popolo annichilito da questo cambio d’abitudini, siamo comunque testimoni di un evento storico con la “s” maiuscola. In fondo, come generazioni, sia alla mia che alla tua, a noi storicamente è andata di culo: non abbiamo vissuto carestie o guerre o cose del genere. Adesso ci stiamo abituando ad un cambiamento radicale di modalità, e stiamo diventando testimoni di un’epoca storica importante. Ecco, credo che sia questa la cosa più importante che dobbiamo fare: osservare, stare attenti, ricordarci di quello che sta accadendo e, forse, provare ad essere un po’ diversi rispetto a quello che siamo stati prima. E’ un po’ come quello che diceva Vonnegut, quel “quando siete felici, fateci caso”, però è un renderci conto anche della bellezza della normalità: fino ad un mese fa avevamo tutto, e lo davamo per scontato. E quello che davamo per scontato adesso ci manca in maniera fortissima. Ecco, io spero che si possa ridare valore a certe cose che prima davamo per scontate, compreso tutto un livello di tipo politico- economico- finanziario sui cui, però, non ti ammorbo adesso, perché non è il caso. Ecco, diciamo che un rallentamento e un cambio di abitudini potrebbero anche essere utili alla nostra evoluzione.
2 Sì, può esserlo come tutti i periodi. Le cose migliori non è detto che vengano fuori dal periodo migliore. E soprattutto, l’arte è talmente diversa dalla vita, pur essendo, in un altro senso, la stessa cosa, che si costruisce anche da sola. Non so, prendiamo la stessa figura del poeta maledetto, che sembra incarnare l’arte e la vita in simbiosi, anzi, in parassitismo. Ma Poe, quando non scriveva i suoi incubi, aveva una vita abbastanza tranquilla, se non fosse che non era tranquillo nella testa, e quindi era dipsomane ed ha fatto la fine che ha fatto. Ma c’è sempre una differenza tra la vita e l’arte. Quindi io penso che ogni periodo possa sicuramente dare delle idee. Però voglio aggiungere una cosa: questo periodo qui, con la “quaresima” degli spettacoli, ci ha messo di fronte ad una evenienza economica molto importante, già addirittura pregressa. Considera che il disco fisico era già finito, o, perlomeno, agonizzante, il virus ha dato la spallata definitiva. E ci ha messo in faccia uno scenario produttivo completamente diverso, come si fa coi cagnolini quando li si vuole educare a non far la cacca in casa. Ecco, la situazione che ci è arrivata ci ha messo la faccia contro questa ulteriore situazione, che già, ripeto, c’era: la fine o, appunto, l’agonia dell’industria discografica e dei concerti e del teatro. E da lì dobbiamo cominciare ad interrogarci tutti quanti, e vedere quale può essere la trasformazione. Non è più come quando ci raccontavano “Ah, i dischi non vendono più, adesso c’è Spotify”. Ma chi se ne frega di Spotify! Bisogna capire se c’è, con la rete, un modo di guadagnare dei soldi coi propri prodotti. E, siccome anche la promozione, dalle stesse major, è, da anni, garantita solo a qualcuno, non a tutti, bisogna anche ripensare alla promozione.
Articolo del
15/04/2020 -
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