A due anni da Funeral Jazz, il progetto capitanato da Adriano Vincenti torna con un disco se possibile ancora più oscuro, un ritorno ai suoni di Black Lake Confidence dai riflessi cupissimi e ancora più marcatamente doom/noir jazz che rimanda a Bohren & Der Club of Gore, The Mount Fuji Doomjazz Corporation e Dale Cooper Quartet.
Un suono nuovo, anche se sostanzialmente fedele alla cifra del trio romano, a cui si sono aggiunti Manuele Frau (Der Noir, Blackland) alla chitarra e - di nuovo - Riccardo Chiaretti (Moonlite Bunny Ranch, Chaos/Order) al basso, piano e sintetizzatore.
Messe da parte le atmosfere claustrofobiche del precedente lavoro, il combo si tuffa nel gelo di una distesa innevata disegnando in note un panorama spettrale, desolato, popolato ora di echi agghiaccianti in lontananza, ora di sussurri demoniaci proferiti all'orecchio. Alla base, un tappeto elettronico costellato non solo da sinistri rintocchi di piano, sax, synth e chitarre, ma anche da lancinanti effetti di marchio industrial. Un pastone futurista che sarebbe l'ideale commento sonoro alla personale di un Morandi, un Carrà o un Sironi (ovviamente del periodo pessimista).
I sette brani di Hiver Noir, tutti perlopiù strumentali ad eccezione di Last Kiss By The Volga, potrebbero essere un'unica traccia, tanto il flusso appare indistinto. Non fosse per lo stacco, quasi non si percepirebbe dove finisce l'uno e inizia l'altro. E sì che lo spettro di soluzioni è ampissimo: Taiga si dipana tra ambient/drone e post-rock presentando in sottofondo suoni metallici che fanno pensare a una segheria (o un mattatoio, per restare in tema di carne) spersa nella vastità della tundra; Submisyvnyii Jazz (pivnich u kyevi) è eterea e agghiacciante, con il sax che sembra un avvoltoio pronto a fiondarsi sulla carcassa; Baikal Lake è torbida e increspata; Az Vozdam minacciosa e inquietante; Pered Snegopadom onirica e salvifica.
Musica per non-luoghi, che nell'accezione brianeniana erano quei posti spersonalizzati (aeroporti, shopping mall, alberghi delle grandi catene, ecc.) frutto della globalizzazione e uguali in qualsiasi parte del mondo. Questi invece sono fin troppo definiti: potrebbero essere le lande della Siberia o le montagne dell'Oregon, l'importante è che faccia freddo. E che nessuno possa sentirvi urlare.
Articolo del
15/03/2018 -
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