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One Boy Band
33 Giri di Boa
2017
Discipline
di
Valerio Di Marco
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Che un classe '82 decida di chiamarsi "boy" fa ben sperare. A 35 anni David Bowie aveva già inciso la trilogia berlinese; John Lennon aveva scritto i codici della moderna musica pop coi Beatles nonché quasi tutta la sua discografia solista; e Bob Dylan aveva già preso la sua dose di legnate per il passaggio all'elettrica.
Davide Genco, in arte OBB, a metà del cammin di sua vita (ma gli auguriamo di vivere più a lungo dei canoni danteschi) fa l'esordio sulla lunga distanza con un progetto che guarda al folk più minimale e al cantautorato internazionale. Ad accompagnarlo, solo loop-station e vari strumenti a corde in un percorso di 11 brani intimi, personali, che "andavano" suonati così.
Il musicista siculo-brianzolo fa tutto da solo: chitarra, basso, banjo, ukulele, mandolino. I suoni si avvicinano parecchio alle ultime cose di Kurt Vile, J Mascis, Sufjan Stevens, Bon Iver, Perfume Genius e Sun Kil Moon.
Non mancano però le sorprese, come la splendida cover di Disorder dei Joy Division, arpeggiata e con le backing vocals di Irene Facheris<7b>. Quasi irriconoscibile spogliata delle ritmiche convulse e delle lugubri atmosfere dell'originale. O come l'iniziale Elliott Smith e L'Autunno, nella quale le parole sono riprese da un testo del cantautore statunitense scomparso nel 2003.
La lode, però, l'ex LaCorte se la merita per le composizioni originali, tra cui spiccano Musa, La Ballata Degli Uomini Buoni, La Mia Complice e Due
Articolo del
31/10/2017 -
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