Juggernaut, Inferno, Donkey Breeder: sono i MalClango, dalla Capitale.
La copertina del loro album d'esordio omonimo ritrae tre gorilla alla deriva in mezzo al mare, il che metaforicamente potrebbe essere un riferimento a sé stessi, laddove il mare sarebbe l'oceano di suoni, suggestioni, informazioni e contenuti che ci inondano giornalmente.
Di sicuro, però, è un mare in tempesta, a giudicare dalle disturbatissime sette tracce in questione, tutte caratterizzate da un noise-garage tribale e psichedelico, un pò come se lo spirito sciamanico dei Goat si fosse impossessato dei Brian Jonestown Massacre. E dai primi hanno ripreso l'idea di coprirsi il volto, visto che sul palco si presentano pure loro indossando delle maschere. Da oranghi, in questo caso. Le sonorità lo-fi da scantinato, però, sono in pieno Albini-style, tanto che qualcuno li ha paragonati addirittura agli Shellac.
Non c'è la chitarra, solo due bassi e batteria. Non hanno neanche una voce, se si eccettuano alcuni brevi intermezzi con estratti da documentari d'epoca tipo quelli dell'Istituto Luce. E comunque le tracce d'umanità sono sempre parentesi, anzi trattini, tra le parole "poli" e "ritmia". La cifra del trio si caratterizza infatti per la varietà di cadenze. I brani sono costruiti come intarsi di parti diverse tra loro, ognuna associata a un cambio di ritmo. La cifra è sperimentale, il che a volte li porta un pò a perdere la bussola, ma è una perdita benedetta, che li fa approdare in territori sconosciuti, in certi casi perfino patchanka.
Anche i titoli dei brani contribuiscono al caos: Patatrac, Anatomia Di Un Battibecco, Granburrasca. Insomma, non li fate arrabbiare, chè non c'è limite al casino che vi possono armare tre scimmioni smarriti
Articolo del
22/07/2017 -
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