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The Kantos Project
A Red Shape
2017
Autoprodotto
di
Claudio Prandin
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Frank Cantos è un ragazzo nato in Equador ma trapiantato in Italia da quasi trent’anni. Il suo accento smaccatamente sudamericano inquinato da timbriche emiliane descrive più di ogni altra cosa la sua personalità eterogenea e sfaccettata. La sua musica non può che derivare da questa bipolarità ed esaltare le differenze e le alterità che colorano il nostro mondo. Le dodici tracce di questo disco d’esordio sono di puro hard rock anni ’80 anche se la modernità dell’approccio sconsiglia paragoni con band famose. Corposi riff di chitarre, gustosi assoli, basso melodico e una batteria varia e mai brutale sostengono i testi, per la maggior parte autobiografici, che affrontano le difficoltà dei rapporti personali che possono coinvolgere la coppia, il mondo del lavoro e soprattutto l’accettazione e l’inclusione del diverso; soprattutto The Stranger racconta di come, nonostante la sua lunga permanenza nel nostro paese, si senta ancora uno straniero, un non accolto, e di come tutto ciò sia frustrante. Il testo mi ha fatto pensare alla dualità e al contrasto, rievocando una delle più accese dispute in ambito metal, quella tra i Metallica e gli Iron Maiden; infatti i californiani cantano:
Rover, wanderer Anywhere I may roam Where I lay my head is home
mentre gli inglesi:
Was many years ago, that I left home I was a young man, (now I’m) lost in this place Stranger in a strange land
E’ chiaro a quale delle due correnti si avvicini maggiormente questo disco.
I brani sono stati scritti e composti da Frank Cantos nel corso di diversi anni utilizzando solo la chitarra acustica, sono poi stati condivisi con una band, riarrangiati e completati; questo processo ha consentito di mantenere un forte legame tra essi e il loro autore ma ha anche permesso al resto del gruppo di sentirli propri tanto che ascoltandoli si percepisce un esauriente coinvolgimento generale.
In No more si parla delle angherie che ci si scambia tra colleghi arrivando addirittura a raccontare casi personali di mobbing, mentre Mary Jane rappresenta sia la proverbiale erba sia una donna in carne e ossa e concentra in un unico nome tutte le speranze di un sano divertimento. Give more, once more è l’unica nota propositiva dell’album e rispolvera una non più originale ma sempre valida morale: dopo tutte le fatiche e le ingiustizie del moderno vivere arriva sempre la musica a salvarci dal precipizio. Tana Radovic con l’intarsio di tre voci (di cui una femminile) rappresenta l’unico omaggio alla musica pop avvicinandosi maggiormente alla forma canzone. L’intenzione generale infatti è quella di proporre brani lontani dalla struttura strofa/ritornello che abbraccino piuttosto uno spirito Prog con continue frenate e ripartenze che invitano ad un ascolto attento e consapevole.
Anche la copertina rappresenta il non-definito: raffigura una “foto sbagliata” che l’autore ha scattato durante un concerto: nello sviluppo è comparsa una forma rossa (da qui il titolo del disco) che può essere interpretata in molti modi; si è quindi rivelata perfetta per rappresentare la filosofia dell’album e le sue molteplici interpretazioni.
Articolo del
27/06/2017 -
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