Un nuovo documentario in tre parti di Netflix ripercorre l'omicidio dell'attrice Marie Trintignant da parte della rockstar Bertrand Cantat. La serie getta anche una nuova luce sulla morte della moglie di Cantat, Krisztina Rády.
Nel 2003, l’omicidio dell’attrice francese Marie Trintignant per mano del compagno, il cantante Bertrand Cantat, ha scosso l’opinione pubblica francese. All’epoca dei fatti, Cantat era al culmine della fama: leader dei Noir Désir, una delle rock band più popolari del Paese. Trintignant, 41 anni, attrice di talento con oltre 40 film all’attivo e cinque nomination ai César, stava girando un film a Vilnius, in Lituania, diretto dalla madre Nadine Trintignant.
La notte del 26 luglio 2003, una lite scoppiata per un messaggio ricevuto dall’ex compagno dell’attrice sfociò in violenza. Cantat colpì Trintignant con 19 pugni, lasciandola priva di sensi e senza chiedere aiuto per ore. La donna entrò in coma e morì il primo agosto.
Il documentario pone l’accento sulla narrazione mediatica dell’epoca: nel 2003, ben prima del movimento #MeToo, la morte di Trintignant non fu considerata un femminicidio, un termine che in francese sarebbe entrato nel dizionario solo nel 2015. I giornali parlavano di crime passionnel, e spesso descrivevano Cantat come una vittima dei suoi tormenti interiori.
From Rock Star To Killer dedica un intero episodio a Krisztina Rády, ex moglie di Cantat e madre dei suoi due figli. Dopo la separazione, Rády aveva sostenuto Cantat anche durante il processo, testimoniando che non era mai stato violento con lei. La sua testimonianza contribuì a una condanna relativamente mite: otto anni per omicidio con intento indiretto. Cantat fu rilasciato sulla parola dopo quattro anni.
Ma la realtà, emersa anni dopo, era diversa. Rády tornò a vivere con Cantat, ma il rapporto fu segnato da gelosie, molestie e controllo ossessivo. Nel 2010, si suicidò. Un biglietto d’addio, un messaggio vocale ai genitori e un referto ospedaliero inedito – tutti presenti nella serie – indicano che aveva subito violenze anche dopo il suo rilascio. Il documentario suggerisce che Rády testimoniò il falso sotto pressione, forse per proteggere la band Noir Désir, che si sciolse proprio nel 2010, dopo la sua morte.
Negli anni successivi, Cantat tentò più volte di tornare sulla scena musicale. Fondò il gruppo Détroit, che raccolse oltre 200.000 euro in crowdfunding per un nuovo album. Tuttavia, nel clima post-#MeToo, le sue apparizioni pubbliche generarono sempre più critiche.
Nel 2017, la copertina dedicatagli dalla rivista Les Inrockuptibles provocò un’ondata di indignazione. La redazione fu costretta a scusarsi pubblicamente: “Non era nostra intenzione riaccendere la sofferenza. A coloro che si sono sentiti feriti, esprimiamo il nostro sincero rammarico.”
Oggi, il documentario di Netflix spinge molti dei protagonisti della vicenda, magistrati, giornalisti, amici, a fare i conti con il proprio ruolo. Philippe Laflaquière, il giudice che nel 2007 autorizzò la libertà vigilata di Cantat, ha ammesso: “Col senno di poi, forse ho sbagliato. Non ho riconosciuto la presa che Cantat aveva su Rády.”
Anche la cantante e attrice Lio, amica intima di Marie Trintignant, è oggi tra le poche figure pubbliche che possono dire di averla difesa sin dall’inizio. “Non credo di aver parlato troppo forte”, ha detto recentemente in Tv. “Forse si sarebbe dovuto dire con più forza che Bertrand Cantat aveva ucciso Marie Trintignant. Io ho solo detto la verità”
Articolo del
20/05/2025 -
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