Chi conoscerà un pizzico di storia romana saprà che, attorno al 217 a.C. Roma veniva da una sonorissima scoppola presa nei pressi del Trasimeno da parte di Annibale e della sua allegra comarca.
Dopo quella sconfitta, venne nominato proconsole un certo Quinto Fabio Massimo, che, e sembra un controsenso, non essendo esattamente una cima in fatto di strategia, decise di fermare i cartaginesi che scendevano verso la Città Eterna con l’unica delle strategie in suo possesso: aspettare. Praticamente fece impazzire Annibale facendo continuamente spostare i suoi soldati senza nessuna meta, andò spostando gli accampamenti dei suoi di altopiano in altopiano e, semplicemente, risolse il problema evitando ogni contatto diretto col nemico.
Prese tempo. E, così facendo, passò alla storia come “cunctator”, che non vuol dire “contatore”, ma “temporeggiatore”.
Ecco, se Quinto Fabio Massimo fu il cunctator, io sicuramente, e non sento ragioni, sono il “procrastinator”: come procrastino io, nessuno. Il mio “lo faccio domani” è una indicazione temporale tendente all’infinito, destinata a perdersi nell’iperuranio, e la durata di una mia azione (e per “durata” intendo il lasso di tempo che c’è fra inizio e fine dell’azione) è calcolabile solo utilizzando gli orologi molli di Dalì.
Questo per dire che la mia natura da perenne “ad procrastinandum” ogni tanto mi costa carissima.
E così mi ritrovo ad aver lasciato totalmente a metà un articolo, non finito per pura e semplice pigrizia, che mi ero ripromesso di finire ieri (che, nel momento in cui state leggendo, equivale a domenica), per scrivere questo di cui state leggendo le parole al momento.
Il discorso è che avevo dimenticato una cosa fondamentale per il mio calendario lavorativo: l’uscita delle cinquine dei candidati alle Targhe Tenco, cosa che ho sempre trovato abbastanza significativa, se non importante. Più che altro perché, spulciando fra candidati ed album ho sempre trovato delle cose molto interessanti, al di là delle vittorie, che con quelle non sono mai stato fortunatissimo.
Ad ogni modo, queste sono le cinquine, cui seguirà la mia personalissima analisi.
DISCO IN ASSOLUTO
Paolo Benvegnù – Dell’odio dell’innocenza Brunori Sas – Cip! Diodato – Che vita meravigliosa Luca Madonia – La Piramide Perturbazione – (dis)amore
ALBUM IN DIALETTO
Alfio Antico – Trema la terra Eleonora Bordonaro – Moviti Ferma Sara Marini – Torrendeadomo Nuova Compagnia di Canto Popolare – Napoli 1534. Tra moresche e villanelle Daniele Sepe – Le nuove avventure di Capitan Capitone
OPERA PRIMA
Buva – Quarantena Paolo Jannacci – Canterò Liana Marino – Partenze Lelio Morra – Esagerato Réclame – Voci di corridoio
INTERPRETE DI CANZONI
Beppe Dettori – (In)canto rituale – Omaggio a Maria Carta Peppe Fonte – Le canzoni di Piero Ciampi e Pino Pavone Maria Mazzotta – Amore Amaro The Niro – The Complete Jeff Buckley & Gary Lucas Songbook Tosca – Morabeza
CANZONE SINGOLA
Diodato – Che vita meravigliosa Beppe Gambetta – Dove Tia O Vento Giacomo Lariccia – Limiti Rancore – Eden Tosca – Ho amato tutto
ALBUM COLLETTIVO A PROGETTO
Animantiga Calendario Civile Io credevo. Le canzoni di Gianni Siviero Note di viaggio – Capitolo 1 Venite avanti 20 x 22.
Andiamo per gradi.
Intanto mi fa un piacere enorme, smisurato, trovare nelle cinquine Luca Madonia e Daniele Sepe. Bello anche vedere i Perturbazione, che hanno tirato fuori un album meraviglioso, a tratti fuori dal tempo.
Purtroppo, a far da contraltare a delle cinquine abbastanza fighe ci sono delle assenze clamorose. Tre su tutte: Niccolò Fabi e Paolo Capodacqua come miglior album in assoluto e Cesare Basile nella sezione in dialetto. “Ecco” e, forse ancora di più, “Ferite e feritoie” sono due lavori densi di poesia, delicati ed eleganti. Mentre “Cummedia” restituiva perfettamente le atmosfere fataliste della Sicilia, raccontata, come sempre, alla grandissima da Basile. Accanto a loro, altri assenti eccellenti sono Giorgia del Mese (“Moderate tempeste” fa rivivere alla perfezione molte atmosfere da Csi, qualcosa di bellissimo), Dente e Fabio Cinti, che però ha un discorso che merita più spazio, anche perché ci permetterà di affrontare un tema abbastanza importante.
Mi è dispiaciuta anche l’assenza di Giorgia Bazzanti ed Alessandro Rocca fra le opere prime. Discorso (quasi, e fra un momento spiegheremo anche questo altro quasi) per Alberto Marchetti, mentre fra le migliori opere di interprete sicuramente avrebbe meritato un posto il bell’album di Rossella Seno.
Fra i migliori album a progetto mi ha colpito “Io credevo. Le canzoni di Gianni Siviero”, che è un album bellissimo, dedicato ad uno dei più grandi, che dovrebbe essere pieno di targhe, davvero. Ma mi ha colpito per un altro motivo, decisamente molto meno gradevole della bellezza artistico- culturale dell’opera.
A questo punto direi che sarebbe buono cominciare a sciogliere questi nodi che abbiamo via via creato, partendo dal “punto Fabio Cinti”. Fabio è uno di quelli bravi sul serio, ho avuto modo di scrivere del suo album e, probabilmente, lo rivedrete presto su queste pagine. E, come saprete se mi avete letto, ha tirato fuori un album davvero bello, “Al blu mi muovo”. Accade che, a prima tornata conclusa, Fabio si pizzica con Michele Monina sulla questione- targhe. Al di là del fatto in sé e per sé, che fra l’altro poco mi riguarda (considerando che stimo tantissimo sia Fabio sia Michele), è stata una discussione che ne ha aperto una ben più grande: quanto sia totalmente fallace il meccanismo del voto per com’è adesso. Piccola digressione: ci sono due turni di voto, il secondo è quello più “snello”, quello in cui si vota il vincitore assoluto di ogni categoria, e si può dare un solo voto. Il primo, invece, è strutturato in modo un po’ diverso: non c’è una short list di album votabili, ma diventa votabile tutto quello che è uscito, in questo caso, dal primo giugno 2019 al 31 maggio 2020. Praticamente tutto quello che è uscito in un anno. Mettiamo che tutti i dischi candidabili ed interessati siano trecento: i giurati in nemmeno un mese di votazioni per il primo turno dovrebbero ascoltare circa trecento album. Chiaro che a Monina ( o chi per lui) possa esserne sfuggito qualcuno, altrettanto chiaro che Cinti (o chi per lui) possa essere infastidirsi per questo motivo. E non c’è nessuna colpa da parte di nessuno dei due, è solo colpa di un regolamento che andrebbe cambiato ora stesso. Anche perché, mi sembra fino al 2016, c’era effettivamente una “pre- giuria” che forniva a tutti gli altri giurati una (neanche troppo) short list di cinquanta titoli per ogni categoria, da quei cinquanta saltavano fuori le varie cinquine. Capite bene che anche la proporzione dei voti al primo turno cambia decisamente: un conto è votare tre titoli per categoria pescando da “solo” cinquanta album (sempre per categoria, lo ricordo), un conto è votare tre titoli per categoria pescando da chissà quanti album. Oltre al fatto che la “pregiuria” potrebbe avere un ruolo di supervisione che è fondamentale in casi del genere.
Dice: quale sarebbe l’importanza, oltre ad un discorso strettamente legato al voto?
Si fa prestissimo a dirlo: avere, in qualche modo, una funzione di controllo sulle varie proposte che arrivano. Ed evitare i conflitti di interesse. E qua tocchiamo un tasto abbastanza dolente su un paio di fronti.
Il primo riguarda Alberto Marchetti, e non perché il disco non fosse valido, anzi: sa, lui per primo, che l’ho trovato un gran bel lavoro. E’ che Alberto è giudice delle Targhe: potenzialmente, ma in tutta sincerità non credo proprio sarà stato il suo caso, si è potuto autovotare. Cose del genere sono cadute di stile, robe che potrebbero gestirsi in mille modi diversi: non far candidare l’album, ma invitare Alberto come ospite, dare un “anno sabbatico” dalla giuria ad Alberto, se proprio ci teneva tanto (giustamente, sia chiaro)a partecipare come concorrente, a mettersi in gioco. Ma sicuramente non facendo coesistere le due cose, la partecipazione e la presenza in giuria. Chiaramente il problema non è Alberto Marchetti, ci mancherebbe. E’, come sempre, la gestione del meccanismo di voto.
Gestione fallace che si conferma con “Io credevo. Le canzoni di Gianni Siviero”. Gianni Siviero è un pezzo di storia della nostra canzone d’autore, personalmente lo stimo in maniera pressochè infinita: ad ottantadue anni conserva una lucidità di pensiero ed una curiosità che spesso mancano a me, a ventidue anni. Ebbene, lo scorso inverno esce questo disco tributo, in cui una serie di artisti, da Alessio Lega a Peppe Voltarelli, passando per Piji, Gigliola Cinquetti, Massimo Donno, Vecchioni, Locasciulli, Cammariere, Bassignano, Bertelli e tanti altri, reinterpretano le canzoni, appunto, di Siviero. L’album è bellissimo, davvero stupendo, ed altrettanto lo è l’idea dell’omaggio a Gianni Siviero. Ma…
… non doveva stare fra i candidati (la categoria è quella di miglior album a progetto). E’ un album che è stato presentato durante la scorsa rassegna, ed è un progetto del Club Tenco, della sua direzione artistica, di Sergio Sacchi! Praticamente rischiano di premiarsi da soli, c’è un conflitto di interessi che è talmente grande da far provincia! Anche qui, per carità, sarà accaduto tutto in buona fede, ma l’ormai solita pregiuria avrebbe evitato, probabilmente, scivoloni di questo tipo.
Prima di passare alla parte finale volevo solo dire che non vuole esserci nessun “attacco mirato” al Club. O meglio, l’attacco (che vuole essere una critica costruttiva, cosa nella quale credo profondamente) potrebbe essere preso come tale solo in caso di malafede di partenza: questi sono solo consigli, più o meno validi, dati da qualcuno che, proprio perché “c’è” da poco sta cercando di sporcarsi le mani (o rompersi le corna, fate voi, io capirò strada facendo) e di dire la propria. Poi, se dovessero essere presi male, beh… “io sono responsabile di quello che scrivo, non di quello che capite voi”: me ne farò una ragione.
Chiudo esprimendo, virtualmente, le mie preferenze. Come miglior album in assoluto il cuore mi direbbe Luca Madonia e Paolo Benvegnù, che sono due artisti straordinari, con due album fantastici. La mente però mi dice Brunori, anche solo per colmare al mezzo furto di quattro anni fa: “Cip!” non è il suo album migliore- “A casa tutto bene” meritava una ventina di volte in più- ma la vittoria gli tocca.
Anche per l’album in dialetto c’è una scelta di cuore ed una di mente. Il cuore, che non casualmente sta a sinistra, dice Daniele Sepe, dice Capitan Capitone. La mente mi fa ragionare sul fatto che ci sono tre conterranee/i, ed il sangue non si tradisce. Dei tre, se proprio dovessi scegliere, andrei su Alfio Antico, che è un monumento della nostra musica, e che ha tirato fuori un disco (prodotto da Cesare Basile, e si sente) pieno di suggestioni e di odori di Sicilia.
Miglior album d’esordio per me, al di là del fatto che dovesse o meno starci, è “Canterò”, Paolo Jannacci. Jannacci riesce a commuovermi anche quando fa ridere, è incredibile. E l’album è veramente bello. Poco altro da dire.
Se c’è una categoria abbastanza segnata è quella del miglior album di interprete: Tosca vincerà (giustamente) con una maggioranza bulgara, giusto riconoscimento per un album stellare come “Morabeza” e per un’artista fantastica. L’unico, a mio gusto, che potrebbe insidiarla è Peppe Fonte, con le sue versioni dei brani di Pino Pavone e Piero Ciampi. Ma, ripeto, è un mio gusto: Ciampi mi spezza in due ogni volta che lo ascolto, c’è una componente emotiva non indifferente.
E, dal momento che a Tosca ho già praticamente contato una targa, quella come miglior canzone, per quanto mi riguarda, va a Rancore. “Eden” è un pezzo che ha tutto: flow, ritmo, armonia, ricercatezza, il ritornello che si ficca in testa, un testo pauroso. Insomma, perfetto.
Detto questo, è uno dei pochi articoli che leggerete nello stesso giorno in cui è stato scritto. Ed ora, sono le cinque del mattino, io vado a fare colazione e poi a dormire, ormai ho l’ordine delle cose invertito.
Un po’ come il Tenco che rischia di premiarsi da solo.
Buonanotte.
Non solo a voi.
Articolo del
23/06/2020 -
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