Alex è il chitarrista di un gruppo metal con tentazioni elettroniche. Fallito. La band si scioglie per evidente mancanza di riscontri e lui rimane solo, con un padre disoccupato che si crede malato di cuore e una madre baby pensionata, lavoretti manuali per raggranellare qualche spiccio, una sorella che si è sposata pur di poter fuggire di casa. Intorno, la periferia desolata e grigia di una grande città italiana che non si nomina ma si indovina benissimo essere Milano, con il suo intreccio di piccola borghesia impoverita e sottoproletariato nostrano ed immigrato. Sopra, un cielo grigio come le vite di Alex e dei suoi amici. Nessuno scopo, nessuna prospettiva, no future for you: solo alcool, canne, coca, paste, disperazione. Scampato a un tremendo incidente d’auto in cui muore invece il suo ex amico Aldo, che gli ha appena rivelato un terribile segreto, Alex conosce Sara, che vive esibendosi a pagamento in webcam. E lo mette in contatto con il Gruppo Novalis, un ensemble teatrale che pratica una forma di body art estrema.
Detta così, sembrerebbe una valanga di luoghi comuni. Invece la bravura di Giorgio Fontana sta nel rendere credibilissimo e dare vita letteraria a quello che altri avrebbero ridotto a un servizio di Studio Aperto o di Lucignolo. Diciamolo subito: ero un po’ scettico, dopo aver letto la seconda di copertina e prima di aprire il libro. Invece Fontana ti cattura e ti costringe ad andare avanti per vedere quello che succede, anche quando il pessimismo cupo del libro non sia affatto in sintonia con lo stato d’animo di chi legge. In pratica, si viene messi nella stessa condizione dei personaggi del libro, morbosamente attratti da una pratica sconcertante e scioccante che non condividono, ma di cui non possono fare a meno. Tanto da divenire l’unica ragione della loro vita. Una vita altrimenti priva di scopo, come detto. In questa Terra dimenticata da Dio, il Gruppo Novalis, con le sue misteriose e imprevedibili epifanie, assurge al ruolo di una nera divinità che attraverso la celebrazione del dolore, oltre ogni limite, trasmette paradossalmente una scintilla di vita nei suoi spettatori e fornisce loro un rito aritmico la cui attesa scandisce le esistenze degli adepti. Diversi segnali nel romanzo confermano questo ruolo “religioso” del Gruppo Novalis e dell’arte in generale: il Padre nostro recitato da Alex senza crederci, come rito calmante, le discese negli inferi di Clebo, per vivere esperienze sciamaniche e rigeneranti, le citazioni di Novalis (“con la morte si rafforza la vita”), le affermazioni dell’amico Hans (“una cicatrice in più, un po’ di debolezza in meno”), conducono tutte a connotare in senso cristico l’ensemble teatrale che dà il titolo al libro. Il senso del collegamento lo spiegano anche i riferimenti alla body art dell’artista francese Gina Pane (a cui il Gruppo Novalis è chiaramente ispirato), una che affermava: “I miei lavori erano basati su un certo tipo di pericolo. Arrivai spesso ai limiti estremi, ma sempre davanti ad un pubblico. Mostravo il pericolo, i miei limiti, ma non davo risposte. Il risultato non era vero e proprio pericolo, ma solo la struttura che avevo creato. Questa struttura dava all'osservatore un certo tipo di shock. Non si sentiva più sicuro. Era sbilanciato e questo gli creava un certo vuoto dentro. E doveva rimanere in quel vuoto. Non gli davo nulla...”
Insomma, la vista della morte si fa coscienza del vuoto e spinge ad interrogarsi ossessivamente sul perché del rituale. Ma è proprio questa interrogazione ossessiva che diventa il senso dell’esistenza: se sfocia nell’accettazione acritica delle azioni del Gruppo Novalis, diventa fede; se no, la ricerca di senso diventa distruzione dell’arte e riconferma del vuoto. In ogni caso, un labirinto kafkiano senza scampo, privo di soluzioni positive. Bravo Fontana.
Articolo del
21/11/2008 -
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