L’amore di Fabio Zuffanti per Franco Battiato ha profonde radici, già testimoniate nel disco LA FOCE DEL LADRONE (2011), che faceva amorevolmente il verso a voi-avete-capito-cosa, imitato nelle sonorità e nella composizione. Ora il musicista neoprog genovese, dedito da tempo anche alla storia e critica della musica (tutti vi sarete imbattuti nei suoi articoli per Rolling Stone della serie “I dieci migliori dischi di...”) tributa uno dei suoi maestri con questa monumentale biografia (463 pagine), che è la benvenuta, ma che assieme ai pregi che la fanno apprezzare mostra alcuni difetti di cui è bene avvertire il lettore.
Innanzitutto questa è una biografia romanzata: da disclaimer posto all’inizio, vi sono una serie di invenzioni dell’autore. Il problema è che non si specifica quali: saranno molte delle vicende del Battiato bambino? La sigaretta fumata sulle colline di Verona subito dopo il concerto del 1982 all’Arena, con tutto l’annesso di guazzabuglio di stati d’animo e riflessioni sul proprio ruolo di popstar? Boh.
Sicuramente saranno scene basate su dichiarazioni dello stesso Battiato o di persone che gli sono state vicine, trattate in modo romanzesco per rendere il tutto più avvincente; tuttavia il dubbio circa quanto siano frutto della fantasia dell’autore e quanto rispecchino la realtà dei fatti non può che restare. È anche vero, però, che questo è probabilmente uno scrupolo da storico della musica e che il pubblico potrebbe invece apprezzare.
Considerato però quanto il fan medio di qualunque artista confonda la realtà con la fantasia, specie nella nostra tragica epoca della post-verità, questa tendenza, non solo di Zuffanti, mi preoccupa.
Sia chiaro: Zuffanti offre un’opera dettagliata, sistema cronologicamente molte vicende di datazione incerta per i non battiatologi, fa scoprire diverse cose poco note. Nonostante una scrittura non brillante, a volte agiografica, le poche date precise e i numerosi refusi, la narrazione è avvincente e restituisce un quadro coerente e sistematico della vita personale e artistica di Battiato, da sempre piuttosto avvolta nel mistero.
Emblematici i già citati esordi siciliani, ma anche l’avventura romana (di cui personalmente non sapevo nulla, inconcludente nell’immediato, ma foriera di grandi sviluppi), precedente a quella milanese, di cui Zuffanti restituisce vividi quadri.
Così come tutto il periodo degli anni ’70, così ricco di svolte, dall’urgenza dei primi due dischi, con il rapporto problematico con Gianni Sassi; la fase degli Osage Tribe; l’esperienza del servizio militare; il passaggio esistenziale a dischi più meditativi come SULLE CORDE DI ARIES; la fase del Telaio Magnetico; la conoscenza con Stockhausen; la decisione di studiare composizione e violino e l’incontro con Giusto Pio; lo sbocco sul mercato inglese, nei primi anni ’70, buttato volutamente alla ortiche; il rapporto stretto, fin dai primi 45 giri milanesi, con Ombretta Colli e Giorgio Gaber, fino agli arrangiamenti per POLLI D’ALLEVAMENTO nel 1978; l’impegno nella musica colta contemporanea, fino alla famosa vittoria del Premio Stockhausen, e la decisione di cambiare radicalmente rotta.
Ne esce il ritratto di un artista camaleontico, un po’ Bowie, un po’ Pasolini nel voler rifiutare qualsiasi incasellamento, ma dagli interessi spirituali ed esoterici, com’è ben noto a tutti. Si fanno apprezzare molto i dati di vendita dei dischi pre-“La voce del padrone”. In definitiva, decisamente consigliato.
Articolo del
20/06/2025 -
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