Che i Daft Punk siano uno dei fenomeni più importanti degli ultimi diciassette anni, non è una novità. Che al loro successo planetario siano associati grande qualità artistica e spessore di contenuti, anche. Finora, però, sorprendentemente, a parte “Daft Punk” di Marco Braggion (Odoya, 2010) non erano ancora usciti volumi sul duo parigino: ora ne escono due quasi contemporaneamente, successivi all’unica data italiana del progetto elettronico di Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter, il 29 settembre al Forum di Assago. In questo saggio edito da Gargoyle, Diego Carmignani (Vignola in realtà firma solo l’introduzione) racconta la carriera del gruppo da molteplici punti di vista, giocando sull’esibita impersonalità della band, con pochi precedenti nella storia del rock: i capofila Residents, i Kiss, i mostruosi Gwar, un tot di gruppi metal e, da noi, a partire dagli anni 90, i Tre Allegri Ragazzi Morti. Carmignani si concentra di volta in volta sul ruolo di icone contemporanee dei Daft Punk, potenzialmente atemporali e ormai inseriti a pieno titolo nel vippume internazionale; su racconti, pareri, emozioni dei collaboratori, e due imponenti analisi di videografia e discografia, due lati dell’attività del duo indipendenti eppure strettamente interconnessi al tempo stesso. Corredato da belle foto del duo in azione sul palco o mentre presenzia a vari eventi mondani, il libro riesce nel tentativo di fornire un ritratto non banale dei Daft Punk, cadendo brevemente, nel capitolo “Icone”, nel vizio di un linguaggio troppo semiologico, quindi da specialisti e poco comprensibile ai fans. Ma è un attimo: per il resto tutto si snoda e si dipana in modo accattivante e avvincente, quasi che ogni nuova produzione dei Daft Punk sia il nuovo capitolo della loro conquista del mondo. Anche se da questo lato, a volte, si sente odore di agiografia, cioè di vita dei santi, senza un’ombra di critica al duo francese, sempre perfetto e semmai incompreso dal pubblico nel mezzo passo falso di “Human After All”, sono sicuro che i fans della band non percepiranno questo come un limite, ma semmai come un pregio.
Articolo del
14/10/2014 -
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