In un vecchio film che forse ancora qualcuno si ricorda, Fusi di testa, uno dei due svitati protagonisti chiede di provare una superba Stratocaster, esposta addirittura in una teca. Come ce l’ha tra le mani, attacca con l’arpeggio iniziale di Stairway To Heaven, uno dei must per qualsiasi chitarrista principiante. Interviene pronto il commesso, che, agitatissimo, gli indica severo un cartello alle sue spalle: “No Stairway To Heaven”. Ecco, quel commesso dai lunghi capelli biondi dal taglio Eighties, potrebbe essere Robert Plant, il membro degli Zeppelin più allergico a ricostituire la band, al punto da non voler ostinatamente chiamare John Paul Jones in occasione dei due album sfornati con Jimmy Page negli anni ’90, proprio per evitare l’effetto nostalgia.
Paradossi della storia e della vita che questa bella biografia di Paul Rees interamente dedicata al Dio dorato del rock, che arriva fino ai giorni nostri, ben illustra. Nella fattispecie di Stairway To Heaven colpisce il contrasto tra la difficoltà di imporre all’affetto dei fans quella che poi sarebbe diventata la canzone simbolo della band del dirigibile (nel corso del piccolo tour inglese del 1971 c’era gente che si addormentava, narrano le cronache), la successiva idolatria di massa e, infine, l’ostinato rifiuto di Plant ad eseguirla dal vivo.
Che tipo è Plant? Leone, nato in “pericolosa prossimità” del segno della Vergine, è un dominatore nato, sospeso tra la tendenza ad affermarsi in virtù del proprio innato carisma e quella a tenere tutto sotto controllo tramite la razionalità. Basti pensare al rapporto con Page: quasi succube negli Zep di fronte al padre padrone della band; un despota dopo lo scioglimento. È solo uno dei vari dualismi dell’anima di Plant. Eccone un altro: generoso eppure tirchio. Il munifico finanziatore della ricerca contro il cancro è la stessa persona che il 23 dicembre 1972 al termine della prima parte del tour inglese dei Led Zeppelin, decise che era ora di festeggiare tutti i membri della crew regalando loro una bottiglia di whisky. Una sola per tutti quanti. Ma forse l’aneddoto che più riunisce in sé queste due anime di Plant è quello del 1987, quando, dovendo pagare la particolarmente insistente proprietaria degli studi in cui aveva registrato Now And Zen, le staccò un assegno e le spedì a domicilio uno spogliarellista e un biglietto, in cui c’era scritto: “Se vuole i soldi, dovrà tiraglieli via con i denti dalle mutande”. Altro simpatico dualismo: un vero donnaiolo, uno che non deve nemmeno chiedere, ma che si innamora quasi solo di indiane. Giusto per far soffrire i maschietti, il racconto, dalla sua voce, di come faceva a scegliere le ragazze quando era negli Zeppelin: “Era molto semplice. C’erano moltissime ragazze. Io mi limitavo a dire: ‘Tu, tu e tu. Fuori dai coglioni. Le altre mi seguano’ ”. Tutto vero. Lo convalida il produttore Kim Fowley, un altro a cui le donne non mancavano, e a cui però nel 1975 a Los Angeles cadde la mascella: “Arrivammo a casa di Robert, un posto veramente enorme sulla spiaggia, e lì lo trovammo con 50, 60 donne. Hai presente la foto di Hendrix con tutte quelle tipe nude? Immagina una cosa del genere, ma nel soggiorno di un appartamento. Robert se ne stava lì a bersi un Napoleon. Era lui l’oggetto sessuale, non le ragazze. Loro erano lì che aspettavano di essere scelte. Lui mi disse: “Non è la prima volta che mi succese. Senti sei innamorato della bionda (che era con Fowley, ndR)? No? Sicuro? Ok…”. Di contro, la passione per le indiane: sposato con Maureen Wilson (indiana a dispetto di nome e cognome) dal 1968 al 1983, da cui ebbe tre figli, ebbe poi una lunga relazione con la di lei sorella Shirley, che gli diede un altro figlio; a lei successe nel cuore di Plant la cantante Najma Akhtar, negli anni 90: quando si dice una fissa.
Infine, Plant è un profondissimo conoscitore del blues e delle radici della musica popolare nordamericana, in grado di stupire chiunque, eppure non ha mai smesso di essere affascinato dalle novità, che si trattasse dell’electro pop degli anni 80 o della musica tradizionale tuareg, in un percorso di infinita ricerca e contaminazione. Non da poco, per uno che ha già scritto la storia del rock prima di compiere i trent’anni e che avrebbe potuto sedere sugli allori per tutta la vita.
Esauriente racconto della vita personale e artistica di uno dei più grandi musicisti di sempre, Robert Plant. Una vita è una biografia immancabile nella libreria di qualsiasi appassionato dei Led Zeppelin.
Articolo del
06/08/2014 -
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