Come spesso accade, è stato in occasione della sua scomparsa che molti di noi si sono resi conto, non solo astrattamente, di quanto importante sia stato Roberto Freak Antoni. Tanto per il segno lasciato nella storia della musica italiana, quanto per la sua levatura culturale. Eppure, dopo il periodo di somma gloria, più di stima che di danari, per l’(amara) verità, goduto alla fine degli anni 70, il leader degli Skiantos è stato sempre più marginalizzato, collocato nella nicchia degli “strambi” e quindi reso inoffensivo e poco interessante anche per una bella parte del pubblico più attento, grazie all’equivoco che ha fatto del “demenziale”, di cui è stato mentore in Italia, sinonimo di “demente”. Non era così, ovviamente. A “una sprovveduta quanto incauta conduttrice” televisiva che gli aveva chiesto «Che differenza c’è tra demente e demenziale?», Freak Antoni aveva risposto, con uno dei suoi lucidi guizzi: «La sua domanda». Questo aneddoto, contenuto in questo bel libro (“Odio il brodo”, appunto), steso da uno di quelli che gli è stato sempre accanto, il produttore discografico, autore televisivo e scrittore Roberto Manfredi, chiarisce molte cose. Sempre Manfredi nota acutamente: «Con Freak bisognava lasciarsi andare. Porre un freno a qualsiasi pregiudizio, a qualsiasi tentazione critica. Freak era come la corrente di un fiume, a volte in piena, a volte dolce e mite. Se ti lasciavi andare alla sua corrente arrivavi lontano, senza rischiare di annegare». Il suo approccio intellettuale alla realtà era simile al modo in cui cantava: «Spiazzava tutto e tutti, probabilmente anche se stesso». Era uno di quelli che «scompigliavano le carte, facevano saltare le regole del gioco, mandavano in confusione i vari croupier che dirigevano nei loro casinò privati il management musicale e la discografia». Così, Freak Antoni non è mai stato sempre solo Freak Antoni, il che forse avrebbe aiutato il grande pubblico ad abituarsi a lui: ma ha creato nel tempo, e a ridosso del suo picco di popolarità con gli Skiantos, una pletora di alter ego: Astro Vitelli, Tony Garbato, Beppe Starnazza, solo per citarne alcuni. Il punto è proprio che il pubblico lo hai dalla tua parte solo se «tu gli dai la stessa storia / tanto lui non c’ha memoria». Ma le storie raccontate da Freak Antoni non sono mai state sempre le stesse, così come i personaggi da lui incarnati. Tanto come nel canto, dove «riusciva a sublimare anche la stonatura, elevandola inconsapevolmente a esercizio di puro virtuosismo», anche dal punto di vista più intellettuale «la sua ricerca artistica era rivolta all’imperfezione, perché solo nell’imperfezione l’artista coglie la purezza del suo essere e del suo stato emotivo. La perfezione tecnica invece, per Freak era come il brodo. Un alimento di scarso apporto nutritivo, come tutti gli scienziati dell’alimentazione sanno bene. Sulla superficie del brodo galleggia il grasso, ma il grasso va ricercato all’interno del cibo, non sulla superficie. Freak viaggiava all’interno. Sapeva bene che quello che conta è la personalità, tutto il resto è artisticamente superfluo». Facile, quindi la sua marginalizzazione nel corso degli anni, nonostante l’insistenza con cui lo stesso Manfredi ha cercato di imporlo sul mercato. Ma la proposta di Antoni era sempre troppo intelligente, ricercata e imperfetta e, si sa, «in Italia non c’è gusto a essere intelligenti». Caso tipico, quello di Beppe Starnazza, con cui, sull’onda del successo del revival anni ’60 di Ivan Cattaneo, riveduto e corretto in salsa modernista e new wave, Antoni e Manfredi proposero un improbabile crooner che riattualizzava lo swing anni 40 e di Fred Buscaglione in chiave neo rockabilly, sull’onda di quello che facevano nello stesso anno (1981) gli Stray Cats, facendo sfracelli: ma per loro, qui in Italia, fu un insuccesso garantito o quasi. D’altro canto, come ha detto altrove Antoni, «volevamo diventare ricchi e provare a far fallire le etichette discografiche che ci avevano assoldato». Come sottolinea Manfredi, cercava il «successo inseguendo il fallimento». “Odio il brodo” è un libro da avere e leggere assolutamente (per ora è disponibile sono in e-book, ma presto arriverà anche il cartaceo), perché, oltre a considerazioni critiche di spessore, offre moltissimi aneddoti e retroscena, inediti o comunque pochissimo noti, che fanno emergere lo spessore di un’artista di razza, tanto nella parte di mano di Roberto Manfredi, quanto nella (per una volta) interessante e notevole introduzione di Patrizio Fariselli degli Area. Un libro breve, ma denso. Da applausi. Ricordando che, come diceva Beppe Starnazza, «gli applausi dovrebbero essere più rapidi. Cioè finisce un pezzo e voi: Ahhhh! ».
Articolo del
30/06/2014 -
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