Ugo Sette che scrive Colpo d’oppio con breve prefazione di Aldo Nove fa pensare a uno pseudonimo dello scrittore lombardo. Invece non è così, sia perché Sette ha già pubblicato qualche racconto in un paio di antologie sotto l’egida dello scrittore mestrino Massimiliano Nuzzolo, a sua volta uscito dalla schiera dei discepoli del padovano Giulio Mozzi, sia perché la conoscenza dei luoghi (Mestre, Venezia, il Veneto) in cui è ambientata la vicenda dei due romanzi qui presentati (ecco perché il gioco di parole del titolo) è troppo precisa e vissuta, benché Sette non scivoli mai nel descrittivismo spinto.
Due romanzi, dicevo: L’alieno e L’importanza di essere Ugo. Il secondo è il prequel del primo, ma viene posto dopo di esso. Senza raccontare troppo, il protagonista, che ha lo stesso nome dell’autore (anche se probabilmente anche questo stesso nome è uno pseudonimo) è un ragazzo che vive a Q. (Mestre), città vicina a V. e P. (Venezia e Padova), figlio di due genitori separati quando lui è già un giovane adulto, che vive numerose relazioni con l’altro sesso, è amico di uno scrittore di successo di nome Marzio, e decide di frequentare una scuola di scrittura, presso cui tiene un corso il famoso scrittore Imil Zozougi (anagramma del suddetto Giulio Mozzi). Dopodiché decide di fare l’inventore di cose strampalate ma utilissime (direi alla Gianni Rodari), che nessuno si fila. Ma non è felice. Così come non è felice il suo amico Marzio. Il resto delle disavventure di Ugo non ve le racconto. Già dai titoli dei due romanzi è trasparente che l’intenzione primaria di Sette è l’allusione. Letteraria. Se L’importanza di essere Ugo allude alla wildiana The Importance of Being Earnest, L’alieno allude a Lo Straniero di Albert Camus, tanto da ripercorrerne addirittura la trama. Fin qui, tutto ok, tanto più esibito in seconda di copertina. Ma le allusioni si moltiplicano: durante il corso di scrittura Ugo inganna Zozougi presentando dei racconti sublimi, a parte i nomi dei protagonisti, ma copiati da Kafka, Kipling, Carver e Wallace; Q., come ribadito ancora in seconda di copertina, allude alla città di K. della omonima Trilogia di Ágota Kristóf (che non ho mai letto, quindi non so dirvi se è vero); un presentatore della tv allude a Massimo Giletti. In definitiva tutta la realtà allude ad altro. Più che l’equivalente di una cover o dell’antica aemulatio romana, Colpo d’oppio vuole suggerire la condizione di vita nell’epoca del postmoderno, caratterizzata insieme dalla sensazione che tutto sia ormai stato detto e vissuto e dalla perdita di memoria tipica della società dello spettacolo, che permette di riciclare, con poche modifiche, gli stessi prodotti a un pubblico di consumatori sempre più smemorati e quindi funzionali al sistema. Colpo d’oppio è sicuramente un gioco letterario, ma anche metaletterario e metabiologico: è la ostentazione della perdita di memoria (ecco l’“oppio”) che colpisce tanto lo scrittore di professione (Zozougi, che non riconosce i plagi di Ugo) quanto il lettore che, mentre magari se la ride dell’ingenuità di Zozougi, esso stesso non riconosce il plagio che Sette gli ha sottoposto, così come non si rende conto di vivere una vita già vissuta da milioni di altre persone. Sette esibisce la propria disonestà nei confronti di Zozougi e sembra quindi onesto nei confronti del lettore, che però è ingannato a sua volta: nessuno è onesto/Ernesto veramente. E probabilmente lo stesso Ugo Sette non è Ugo Sette (è Nuzzolo stesso? Mah!).
Lungi da essere fine a se stessa, quest’opera prima (?) vuole lanciare un messaggio, certa che o non verrà riconosciuto o che, anche quando lo fosse, non cambierà di una virgola nessun destino, conscio della sua inutilità. Ecco allora riapparire l’esistenzialismo di Camus, ma spogliato di ogni prospettiva solidaristica: rimane il deserto abulico della vita e l’unica prospettiva pare fuggire da questa realtà. In attesa della fuga, però, non resta che vivere intensamente. Interessante.
Articolo del
25/07/2012 -
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