Non c’è da stupirsi che un vecchio mod come Antonio “The Face” Bacciocchi, batterista di Not Moving, Lilith, Link Quartet, e produttore di Statuto e Vallazanska, dedichi il suo quarto libro a questa “storia e discografia”, come recita il sottotitolo, a Gil Scott-Heron, noto ai più come “padre del rap”.
Come tutti i padri, per fortuna Gil Scott-Heron non era i propri figli. Nella fattispecie, non era un rapper: era un poeta che esordì discograficamente nel 1970 con un disco di “spoken words”, Small Talk At 125th & Lenox, e poi, innamorato del funk, in coppia con il musicista Brian Jackson cominciò a scrivere canzoni. Spesso cantate, mica sempre rappate. Dico “per fortuna” perché, francamente, con le dovute eccezioni, odio il fottuto hip hop: che per me significa 800 milioni di parole al secondo, ovvero testi insopportabilmente lunghi come i cavalli dei pantaloni dei tamarri che le snocciolano, e composti in un linguaggio per iniziati. Per di più tamarri che si credono fighi, ma al cui confronto Tarzan è Yves Saint Laurent. Esposto questo mio coming out, di cui mi rendo conto il mondo faceva e continuerà a fare allegramente a meno, c’è da ribadire che Gil Scott-Heron spesso cantava, come in The Bottle, a volte rappava, come in The Revolution Will Not Televised. In ogni caso non parlava a pochi iniziati, ma al mondo, dall’alto di una scrittura poetica limpida come poche, talora commovente, talaltra caustica e sapida. E su basi musicali coi controcazzi.
Uscito nella collana di tascabili “I liberini”, il libro condensa in 100 pagine una storia lunga e densa, per una volta, data la scarsità di notizie reperibili in italiano su quello che è stato definito il “Bob Dylan nero”, non a rischio di confronto (perdente) con Wikipedia. Un’operazione meritoria di per sé, quindi, purtroppo non supportata da una scrittura adeguata. Spero di non incontrare il poderoso e imponente Bacciocchi, di cui non ho letto gli altri libri, ma in questo la dea della scrittura non lo aiuta. Il libro procede a fatica, con stile scolastico e relazionale, mentre, a mio parere, qui ci dovevano essere fascino, stile, mitologia. A ogni modo, poco male. Tra niente e qualcosa è sempre meglio qualcosa e, poi, gli appassionati troveranno di che godere e i curiosi di che sapere.
Articolo del
22/03/2012 -
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