Una raccolta di racconti, a cura di Federico Di Vita ed Enrico Piscitelli, ci introduce al tema della clandestinità in tutte le sue sfaccettature, in modo assolutamente originale e contemporaneo. Le storie sono dodici, accompagnate da undici disegni di Sara Pavan e da un sonetto in romanesco di Teo Baracca. A metterli assieme sono stati i due curatori, che hanno chiesto ad un eterogeneo gruppo di autori dell’underground italiano di scrivere alcune pagine ispirate ai molteplici significati della clandestinità. Lo strampalato manipolo è composto da persone tra i 22 e i 43 anni, che bazzicano il mondo della scrittura in modi assai diversi. Alcuni sono già noti, per aver fatto parte di collettivi e riviste o per aver scritto romanzi, ma non mancano studenti, operatori sociali e persino un benzinaio. Il risultato, a dispetto della citazione iniziale che più banale non poteva essere – vi prego basta con Manu Chao e il suo insopportabile Me dicen el Clandestino! – è una selezione accurata di racconti mai noiosi né ripetitivi (il rischio si poteva correre), del tutto immuni alla retorica, di buona qualità letteraria. Ciascun autore ha trovato la sua chiave personalissima nel raccontare l’esser clandestino all’epoca attuale ma, pur nella diversità, tutti sono accomunati da uno stile asciutto, privo di fronzoli, forse spiegabile dall’urgenza comune di andare dritti al sodo, di dire le cose come stanno. L’antologia si apre con un freddo monologo (”Luoghi comuni e feroci”) di un imprenditore veneto qualunque che spara a zero su rumeni, neri, zingari, napoletani & Co. ribadendo di tanto in tanto di non essere razzista. Nessuna ironia, solo le lucide agghiaccianti osservazioni su una realtà letta con gli occhi dell’intolleranza, ma paurosamente vicine alla verità. Il “viaggio” continua tra un surreale e patologico teledipendente che ingrassa e regredisce allo stato infantile davanti al teleschermo (uno dei racconti più interessanti, ”Cinquantuno di questi giorni”), una ragazza che approccia all’aborto (”Bianca”), la quotidianità segreta di un convento di frati (”La Madonna dei Nascosti”), una giovane alto-borghese con un singolare difetto alla vista (”Il periodo Yayoi”, da segnalare!), una guida turistica che dalla Giordania sbarca in Italia innamoratosene attraverso le trasmissioni di Italia1…«Di queste storie comincia a essere fatto ciò che resta di questo Paese, le cui risorse e le cui pulsioni migliori cominciano a essere relegate allo stato di clandestinità» - recita l’introduzione alla breve raccolta. Il libro è consigliato, di lettura agevole; senza presunzione manifesta dissenso e un certo impegno sociale. Un libro per scoprire che clandestina è la gente comune, che clandestini siamo tutti, prima o poi, almeno una volta nella vita.
Articolo del
25/02/2011 -
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