Sono loro gli autori di questo formidabile The Clash, in versione economica e con foto: Joe Strummer, lo strimpellatore, Mick Jones, il chitarrista visionario, Paul Simonon, il bassista pittore e Topper Headon, che candidamente riconosce come “suonare la batteria sia stata la mia prima dipendenza”. I quattro cavalieri dell'epica punk, che dalla torrida estate 1976 al gelido inverno 1983/1984 fomentano e cavalcano un movimento politico-culturale fondato sul Do It Yourself, facendo piazza pulita del passato, evocando sommosse, provando ad anticipare la lunga resistenza al thatcherismo neoliberista che verrà, scartando il no future dei Sex Pistols, fratelli di palco e ribellione, e inventando il Combat rock contro il capitalismo maturo. In mezzo album favolosi, con capolavori come il doppio London Calling, il triplo Sandinista! e una quantità infinita di pezzi oramai classici.
Tutto ha inizio tra le case occupate, gli squat abitati da Joe Strummer, voce dei 101'ers, e le strade di una Londra che conosce l'eccedenza della disoccupazione e dello scontento, mentre i nostri eroi erano già transitati nei meandri delle sottoculture di una gioventù ribelle. L'incontro tra la coppia di creativi nullafacenti – il chitarrista Mick Jones, improvvisatosi maestro del “molto figo” bassista Paul Simonon – e Joe Strummer avviene in fila, all'ufficio di collocamento, per ritirare quel sussidio di disoccupazione che la civilizzata Inghilterra di quegli anni concedeva almeno a Strummer. Il quale confessa il suo timore dinanzi agli sguardi di quei due strani tipi: “davano nell'occhio, erano già diversi da tutti gli altri” e “ho pensato che cercassero la rissa”. Invece è l'incontro tra tre simili, poco più che ventenni, iconoclasti, irriducibili al dogma lavorista produci-consuma-crepa, convinti che la musica potesse cambiare il mondo, almeno quello odioso che li circondava: Revolution Rock! Così saranno le poche sterline settimanali del sussidio di Strummer a procurare i primi amplificatori. Nel dicembre 1976, con un batterista di fortuna, prenderanno parte al fantasmatico Anarchy In The UK Tour, con Sex Pistols e Damned, in cui i concerti saranno solo una manciata, con venti date annullate per risse e opposizioni delle autorità locali, anche in seguito alla bestemmia di Johnny Rotten in diretta televisiva. Quindi dopo una estenuante audizione di 251 batteristi viene selezionato Topper Headon, appassionato di jazz e fusion, con un passato da adolescente in fuga dalle costrizioni della scuola. E poi il loro insopportabile, eppure essenziale, mentore: Bernie Rhodes, produttore, stilista e collaboratore di Malcolm McLaren, che per far rabbia al collega mette insieme i tre fondatori di The Clash, nome che si inventa Paul Simonon: “rappresentava il nostro modo di sentirci e suonare”; con l'intuizione straordinaria di contaminare il punk, con reggae, dub, rocksteady, rap e hip hop, anticipando la musica del trentennio successivo. È un movimento fatto di fanzine, critici musicali radicals, gruppi e locali come il Roxy, mentre i Clash scrivono di ciò che sapevano: “la carenza di alloggi, la mancanza di istruzione, il futuro come un vicolo cieco di lavoro fino alla morte”. E soprattutto l'antagonismo anche al recente passato: “No Elvis, No Beatles, No Rolling Stones in 1977”, singolo che sigilla quel formidabile anno con la copertina dei tre Clash, giubbotto White Riot, mani in alto, premute contro il muro, in attesa di essere perquisiti. E i tumulti fanno parte del quotidiano trasportato nei dischi, come “Don Letts che cammina contro la polizia schierata”, sulla copertina di Super Black Market Clash, nei riots dei quali Joe Strummer racconta, con proverbiale ironia, che “un conto è dire: 'brucia le auto e brucia il ghetto!' ma provaci tu a incendiare una macchina”, mentre “il vento ci spegneva i fiammiferi, non sono riuscito a fare niente con quell'auto”. E l'intera storia The Clash è sospesa tra la firma per la major CBS, l'odio I'm so bored with the USA, Martin Scorsese che li vuole protagonisti di Gangs of New York, Allen Ginsberg che declama odi a Rimbaud in Ghetto Defendant, l'esaltazione I Fought The Law, la pistola fumante impugnata contro l’ascoltatore, dal centro del vinile di (White Man) In Hammersmith Palais e la provocazione permanente. Come nel concerto per Rock Against Racism, con Mick Jones vestito di nero (“da nazista” gli verrà rinfacciato!) e Joe Strummer in improponibile maglietta rossa, col simbolo RAF e la scritta Brigade Rosse (sic!). Il messaggio di sovversione non solo musicale che The Clash irradiano nelle generazioni resiste alla cacciata di Topper Headon, al successivo scioglimento e quindi alla prematura morte di Joe Strummer. Basti pensare alle molteplici riproduzioni e campionamenti del giro di basso di Guns of Brixton, quasi un inno per dancehall e produzioni dub degli ultimi decenni. Oppure alla rabbia gioiosa del ballerino Billy Elliott, e dei minatori anti-Thatcher nell’omonimo film, accompagnata dalle note di London Calling; così come al recente, toccante, rifacimento di Straight To Hell ad opera della pop star Lily Allen (della quale Joe Strummer fu padrino), con la voce di Mick Jones sullo sfondo. E poi l’urlo London’s Burning, diffuso nelle piazze e in rete, nei giorni dei fuochi universitari inglesi dello scorso dicembre. Ma per essere ancora più vicini ai kids online, il video Vip in trip, pezzo “politicamente scorretto” di Fabri Fibra, è una parodia di Rock The Casbah e si chiude con una citazione di Joe Strummer: “penso che la gente debba sapere che noi dei Clash siamo antifascisti, contro la violenza, siamo antirazzisti e per la creatività. Noi siamo contro l'ignoranza”.
Declamate questo libello, mentre pogate su un LP dei Clash, in compagnia dei vostri Children of the Revolution!
Articolo del
10/02/2011 -
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