Parliamo di “Bacanadera Butterfly”, ultimo lavoro di Gianluca D’Ingecco in arte D.In.Ge.Cc.O, disco che esce proprio oggi per WASTE NOISE e che trova una precisa collocazione come diretta conseguenza del precedente “Bacanadera”. Evoluzione in termini sonori e di forma, di arredi estetici ma anche di spiritualità. Se “Bacanadera” affrontava l’uomo nella sua ritualità anche grazie a sonorità percussive e tribali, qui ci accostiamo ad una massificazione europeista del suono. In luogo di arrangiamenti sporchi di terra troviamo un suono digitale più cosmopolita, figlio di un occidente industrializzato e di una più ampia veduta del conformismo. Filosofia sociale e arte del suono si mescolano da sempre nella visione alta di D.In.Ge.Cc.O e non è affatto la prima volta per lui un peregrinare dentro ambiti maggiormente “main stream”… fosse solo per la scelta di alcuni suoni a corredo.
Perché dal suono tribale a quello europeo? Che metamorfosi hai lasciato scorrere? È proprio la metamorfosi il tema che pervade tutto questo lavoro. La metamorfosi del bruco che diviene farfalla. Ci sono ancora le sonorità tribali del primo “Bacanadera” così come le suggestioni sonore di quelle atmosfere legate alle radici della musica sudamericana, ma si sono, in un certo senso, evolute. Le armonie sono più marcate, la ritmica più incisiva e le sonorità, nel loro complesso, sono più decise, più accattivanti e al tempo stesso, forse più rassicuranti. E’ l’evoluzione di un percorso di ricerca che mi ha riportato alla cultura da cui provengo, musicalmente parlando. In questo senso ascoltando “Bacanadera Butterfly” si ha l’impressione di rapportarsi con un modo di fare musica elettronica più familiare, più mittle-europea appunto, ma non per questo meno raffinata e meno contaminata, anzi. È un disco che si collega al primo “Bacanadera”, ma che, al tempo stesso se ne allontana senza tradire lo spirito guida che lo ha ispirato e che pur essendo il medesimo del primo disco, si sviluppa allontanandosene, nella rappresentazione del viaggio di ritorno da quell’esperienza.
Ricordo “Bacanadera” come un disco di spiritualità. Questa sua evoluzione che sia un disco di industrializzazione? Anche “Bacanadera Butterfly” è un lavoro dove la spiritualità la fa da padrone, ma in una dimensione più familiare. Ci si risveglia come dentro un sogno e si ritorna alla realtà, in una dimensione ancora sognante, tra il sonno e la veglia. È l’esperienza di un risveglio illuminato, che segue quel viaggio nel profondo dell’inconscio che ha caratterizzato il viaggio dell’andata. Non è il disco della disillusione e della spiritualità che si trasforma in industrializzazione, ma della rinascita. Della quiete dopo la tempesta, che tuttavia porta ancora con se le tensioni che sono scaturite da una vissuta, intensa, esperienza interiore.
Il peso sociale ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Ricordo “Midnight Jog”, ricordo la realtà virtuale, l’individuo e il suo isolamento. Oggi tutto questo come si è trasformato? È uno dei temi che più mi è a cuore quello dell’isolamento forzato dell’individuo contemporaneo, quell’isolamento nei confronti del mondo sia esterno che interiore. Quell’immobilismo che ci impedisce di reagire con forza per appropriarci del nostro destino. Questo senso d’isolamento permane ancora in questo lavoro ma è come occultato, più nascosto. Qui ci si lascia cullare da un’atmosfera più sognante, è come una sorta di abbandono introspettivo alla propria malinconia del vivere, che, malgrado tutto, ci appaga e ci affascina. C’è sempre, però, il forte richiamo di tornare a credere in ciò che non si vede, alla vocazione che è tipica del nostro “daimon”, il nostro essere divini. L’invito a iniziare a volare alto nei pensieri, nelle nostre azioni, è un tema decisamente presente in questo lavoro che si palesa come una possibilità, quella di dare una nuova immagine a noi stessi.
E nonostante il suono più sintetizzato e decisamente più popolare, ho trovato un romanticismo e un’empatia maggiore con l’uomo reale e non virtuale. Sbaglio? Si è proprio così. C’è più empatia verso le nostre debolezze, verso le suggestioni della vita reale. La consapevolezza che per intraprendere il cammino verso una propria evoluzione interiore bisogna imparare a conoscersi, ad accettare i nostri difetti, le nostre contraddizioni e soprattutto il tempo in cui viviamo. Capirlo, cercare di comprenderlo in tutte le sue sfaccettature; riuscire, in un certo senso, a viverlo senza alienarsi, o rinunciarvi in toto, ma nel tentativo di cambiarlo dall’interno. È un romanticismo che prende forma nel compiacersi delle cose belle della vita, così com’è. Nel volersi bene, malgrado tutto, senza rinunciare a conoscersi sempre più a fondo e a saper rinunciare a tutto ciò che ci impedisce di evolverci. Perché è sempre ad una nostra evoluzione interiore che, comunque, dobbiamo tendere.
E parlando del senso estetico, le maschere dello scorso disco? Qui sembra che si siano trasformate di distorsioni e fratelli computerizzati, se ha senso la mia descrizione… che mi dici? Ho voluto anche qui, dare il senso della trasformazione, attraverso le immagini che accompagnano questo disco, in primis dalla copertina del disco. Le maschere sono rarefatte perché si allontanano dal sogno e nel sogno, e propendono verso la realtà. I nostri demoni si trasformano e noi con loro. Nella consapevolezza che tutto si trasforma ed è nostro compito accettarlo, è necessario fare tesoro di quello che si è vissuto e salvare ogni insegnamento ricevuto. L’errore più grave sarebbe quello di tornare alla vita di prima come se nulla fosse stato. Ogni esperienza di vita e percorso interiore, ci insegna a riconoscere ciò che c’è di sbagliato nella nostra esistenza e ad agire con tutte le nostre forze per cambiarlo.
Articolo del
15/09/2022 -
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