La storica band italiana, per metà piacentina e per metà toscana, che nel 1985 era terza nelle classifiche delle riviste specializzate tra i migliori nuovi gruppi italiani subito dopo Litfiba e CCCP, si è recentemente riformata e ha appena pubblicato il nuovo album LOVE BEAT per Area Pirata. La cantante Rita Lilith Oberti, il chitarrista Dome La Muerte, il batterista Tony Face e l'altra chitarrista Iride Volpi rispondono alle nostre domande prima della loro data romana nel locale 30 Formiche.
Siete stati uno dei primi gruppi italiani ad avere stabilmente delle ragazze nella formazione. Come sono stati i vostri esordi nel mondo del rock dominato dagli uomini? Lilith: Mi è sempre piaciuto far parte delle minoranze. Il fatto di essere due ragazze come noi era un problema all’inizio degli anni ’80. L’Italia non era abituata a vedere donne che suonavano con vestiti piuttosto scollati e a noi il mostrare le gambe non metteva a disagio. Però, all’epoca, c’era gente che prestava attenzione più ai nostri corpi che alla musica… Per questo sapevamo bene come difenderci: chi ha cercato di metterci le mani addosso si è beccato delle scarpate sui denti! C’è stato un periodo in cui prendersi certe libertà sui corpi delle donne sembrava la cosa più naturale al mondo e di conseguenza, pareva la cosa più naturale al mondo che noi rispondessimo così. Eravamo Mariella (Severine/tastiere) e io ad andare a chiedere i soldi o a litigare con chi ci voleva pagare di meno a fine serata. E c’erano Dome e Danilo (Dany/basso) che facevano sempre a botte per noi. Nel mio mondo, cioè nel mondo dei musicisti punk, dove c’era una certa cultura musicale, non ho mai trovato nessun tipo di discriminazione. Il mio cantante preferito è Mick Jagger, non Patti Smith e ho sempre pensato di essere una bestia del rock’n’roll, prendendo come punti di riferimento uomini come Jim Morrison. Anche se mi presentavo sul palco in una certa maniera, non era l’aspetto sessuale ad essere fondamentale per me.
Come è nata l'esigenza di formare una band a Piacenza, c'era una scena punk? C'erano negozi di dischi? Tony: Piacenza era la classica città provinciale. A un certo punto, il negozio di dischi Alphaville cominciò ad importare dischi da fuori, creando di per se un centro di cultura popolare, tuttora in vita dopo 40 anni. La scena punk cominciò con me e forse altre due o tre persone. Tutti assolutamente alieni da qualsiasi tipo di contatto con la società, a parte per poche esperienze politiche tipo Lotta Continua che a me personalmente avevano un po’ rotto le scatole. Il rock’n’roll per certi versi ci ha veramente salvato la vita. Da una parte c’era l’eroina che ammazzava i nostri compagni e coetanei, gli amici che ritrovavi morti con la siringa nel braccio, dall’altra parte c’erano un sacco di compagni e compagne che finivano in galera a seguito di una manifestazione, data la pesantissima repressione governativa da parte della polizia. Suonare il rock’n’roll e aderire al punk ci rese reietti all’interno dei reietti, rifiutati non solo dai fascisti e dai comunisti, ma anche dai compagni di scuola. Al tempo stesso ci salvò, dandoci un senso di vita, un’identità. Mi ritrovai nella cultura mod, altri nella cultura punk, skin e così via. Eravamo talmente pochi che cominciammo a formare varie band sulla base delle solite dieci persone, così ci influenzavamo l’un l’altro, traendo ispirazione dai classici come i Ramones, i Clash, ecc. Ciascuno dei piccoli nuclei formatosi nelle varie città ha dato vita ad una scena che è diventata nazionale e si è collegata poi con l’estero… e pensare che all’epoca internet non c’era! I nostri contatti erano per lo più epistolari, perché non tutti noi avevamo il telefono. I primi Not Moving, per organizzarsi sulle prove, dovevano parlare dal citofono di casa. Da Piacenza ci siamo poi collegati alla vicina Milano, con la quale c’era un rapporto un po’ conflittuale: ci vedevano solo come dei campagnoli, molti di loro si drogavano e poi avevano un impegno politico che era in conflitto con certi atteggiamenti. Noi ci siamo costruiti la nostra identità e tanti anni dopo siamo ancora qua.
Lilith: La cosa importante è il fatto di essere usciti da Piacenza al secondo, terzo concerto L’Aleph Club, un locale di Gabicce Mare che all’epoca aveva aperto alla new wave ed in cui avevano suonato i Tuxedomoon, ci chiamò per una serata. Due di noi partirono in treno e due in macchina perché eravamo dei ragazzini. Per la nostra città era una cosa insolita, tutt’ora i gruppi fanno i giri dei pub e hanno paura ad uscire da Piacenza. Con Dome ci siamo conosciuti in un modo strano… Il nostro chitarrista, Paolo Molinari, con cui avevamo fatto il primo 45 giri, decise di sposarsi ed andare a vivere in Danimarca, proprio quando pareva che tutto il mondo volesse i Not Moving. Così pubblicammo un annuncio con su scritto che cercavamo un chitarrista bello, ma si presentarono solo degli sgorbi. Una sera al pub concordammo che avremmo continuato a suonare solo se avessimo trovato uno con un giubbotto di pelle con la scritta dei Cramps, somigliante a Keith Richards.
Tony: La settimana dopo, organizzai un concerto dei Cheetah Chrome Motherfuckers e sul palco c’era un bel ragazzo col giubbotto di pelle con la scritta dei Cramps e quella dei Gun Club e la faccia da Keith Richards, però lui ci disse: “Ma io sono di Pisa, come si fa a suonare?”
Dome: Non avevo nessuna intenzione di mettere su una band a Piacenza, suonavo già coi CCM e tutto funzionava bene. Tony mi chiamava insistendo al telefono di casa: “Ma dai.. almeno una prova la devi fare”. Mi hanno mandato un demo che mi piaceva moltissimo, ma non ero convinto. Alla fine decisi di partire per Piacenza per una prova. Tony racconta sempre di quando arrivai a Piacenza col chopper e con la chitarra legata sulla sella, completamente vestito di pelle.
Tony: Quando l’ho visto arrivare la prima volta alle prove ho pensato che incarnava tutto quello che avevo sempre odiato in vita mia, aggiungo che si era anche acceso una canna e io sono sempre stato straight edge!
Lilith: Io e Danilo avevamo 16 anni e appena cominciò a parlare degli indiani d’America, di Alce Nero… ci fece perdere completamente…
Dome: Praticamente anche quando avevo 19 anni sono sempre stato il vecchio del gruppo. Per fortuna, per tre anni, ho suonato con gli Avvoltoi e c’era il Ciccio che era il batterista dei Windopen, di tre anni più grande di me: l’unica volta in cui non ero il più vecchio.
Avete ottenuto parecchio successo di critica e pubblico tanto che nel 1985 eravate nella classifica dei gruppi italiani di Rockerilla al terzo posto dopo Litfiba e CCCP. Che ricordi avete di quel periodo? Avevate pensato in quel momento di avercela fatta con la musica? Tony: Abbiamo vissuto di musica dall’84 all’86, guadagnavamo il corrispettivo di uno stipendio di un operaio. Al di là del fattore economico, vivevamo un sogno e non avevamo dubbi che saremmo diventati i nuovi Rolling Stones. I Not Moving per noi erano una missione e non avevamo problemi a fare tutto per il gruppo, cosa che facciamo ancora: partire in macchina la mattina alle 5, venire a Roma a suonare, il giorno dopo a Napoli e tornare il giorno di Pasqua. E’ così, è la malattia che ci portiamo dietro da quando eravamo giovani, questa vita è andata così.
Dome: In quel periodo lì la scena indipendente era diventata veramente forte, quasi competitiva col mainstream e le major venivano a cercare i gruppi come si fa coi calciatori nel vivaio. Tentavano di mettere sotto contratto le band della scena indipendente. Noi avevamo già il nostro pubblico, il nostro immaginario e non c’era nulla da costruire, era già tutto pronto per vendere. Una volta ci proposero un contratto di quelli buoni, chiedendoci anche di fare un servizio su Moda di pelle per Armani, Tony naturalmente li mandò a quel paese. Per noi la scena indipendente non era un punto di partenza per poi passare ad una major, ma un punto di arrivo. Ci dava una sensazione di orgoglio e di appartenenza, cosa che ora non succede più. La scena sotterranea è sempre più sotterranea e le band di ora sono in un’area di parcheggio in attesa di finire tra le fauci di una major. Con i gruppi di adesso una scena solida non riesci a crearla perché gli obbiettivi sono diversi. E poi come dico sempre, ogni generazione ha gli idoli che si merita.
Tony: Vorrei sottolineare che per noi è la nostra malattia ma per fortuna abbiamo trovato una persona che la condivide: Iride Volpi che ha la metà dei nostri anni e che ci segue in questa follia.
Iride: Sono malata di mente.. (ride NdR)
Come vi siete conosciuti? Iride: Io suonavo già con Dome nei Dome La Muerte & the Diggers dal 2013, sono di Livorno ho 33 anni. Al compleanno dei 60 anni di Dome ho conosciuto Rita e Tony con cui Dome ha suonato un pezzo acustico. In occasione della presentazione di un libro sul punk è nata la proposta.
Rita: Ci siamo detti: se qualcuno ci vuole, ricominciamo. E’ andata a finire che ci vogliono tutti. Si vede che gli piace vedere dei vecchi perché aspettano che schiattano sul palco…secondo me il motivo è quello lì perché se moriamo sul palco come scoop non è male.
Dome: Sinceramente non ci faceva piacere sostituire Danilo e Mariella ed è stata anche un’occasione di suonare con due chitarre senza basso e tastiere per rinfrescare completamente il nostro sound, arrangiando i brani vecchi e farne alcuni nuovi.
Secondo voi il fatto di essere nati in Italia vi ha penalizzato? Tony: Difficile da dire. Il mercato straniero è sempre stato difficile per un gruppo italiano, sia che canti in inglese che nella propria lingua. Bene o male negli anni '80 siamo stati recensiti spesso all'estero, anche da testate prestigiose, in Inghilterra e America ma le cose non sono cambiate molto.
Avete fatto da supporto alle date italiane del tour di Johnny Thunders sul finire dell'84. Mi raccontate qualcosa di quell'esperienza? Tony: Nonostante lo considerassimo un idolo non era più molto seguito, veniva spesso avvertito come un nome del passato. A cui non giovava una situazione "di salute" non proprio delle migliori. Che si è riflettuta pesantemente su due dei tre concerti in cui non è stato certamente brillante. Ma con noi si è comportato in modo affabile e molto gentile.
Nel 1989 vi siete sciolti, per quali motivi? Tony: Contrasti interni sempre più insanabili, divergenze sulla direzione musicale e sulla gestione del gruppo, voglia di ognuno di spostarsi verso altri orizzonti artistici. Era un momento in cui tutti andavano verso direzioni diverse ed è evidente nell'ultimo album insieme, del 1988, FLASH ON YOU.
Dopo un tentativo di reunion nel 2005, tornate a suonare in pianta stabile nel 2019. Cosa è successo nel frattempo? Tony: Dopo lo scioglimento degli anni '80, io, Rita e Dome abbiamo continuato a suonare in mille altre incarnazioni, Lilith, Dome & the Diggers, Lilith and the Sinnersaints. Lo stesso abbiamo fatto dopo la breve reunion del 2005. Casualmente ci siamo ritrovati nel 2019 in una serata estemporanea a suonare in acustico. Da lì l'idea di riprovare a fare qualcosa noi tre insieme, una ritrovata armonia e comunità di intenti e la consapevolezza che non avevamo nulla da perdere ma solo l'opportunità di divertirci e di metterci alla prova. Reclutata Iride Volpi alla chitarra siamo ripartiti, trovando molto interesse e tanto pubblico.
Parlateci del nuovo album e perché Not Moving L.T.D.? Tony: LTD è l'acronimo di Lilith, Tony, Dome. Un modo per conservare il vecchio nome ma distinguerci dal passato e dalla precedente esperienza. LOVE BEAT è nato durante il lockdown, scambiandoci riff di chitarra, testi, melodie e ritmiche via Skype. I brani ci sembravano buoni e quando li abbiamo registrati, da Ale Sportelli, ci siamo accorti che lo erano ancora di più anche se ognuno aveva una visione diversa. Ma alla fine l amalgama è stato perfetto, Area Pirata entusiasta di stamparlo e possiamo dire che è sicuramente una delle cose migliori che abbiamo fatto. Ci sono le nostre diverse anime che si coagulano nel modo migliore.
(La foto dei Not Moving al 30 Formiche di Roma è di Daniela Giombini)
Articolo del
03/05/2022 -
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