Il guitar-rock inglese (finalmente) alla riscossa, laddove una delle punte di diamante della scena è questo quintetto bristoliano difficilmente incasellabile, con addentellati nel punk hardcore e nel post punk come anche nella grime e nell’hip hop. Abbiamo incontrato il cantante Joe Talbot e il chitarrista/produttore Mark Bowen alla vigilia del varo del quarto album degli Idles CRAWLER.
CRAWLER è un disco molto personale rispetto ai precedenti. Sono le tue, Joe, riflessioni dovute al periodo che stiamo vivendo o cosa? [TALBOT] Non so, magari è dovuto anche alla pandemia. E’ possibile. Ma per qualche motivo su questo album ho cercato di essere più “storyteller” che in passato, più poetico, e allo stesso tempo ho scelto di essere brutale, diretto e onesto come non sono mai stato prima. Vedi, in passato io ho sofferto di dipendenze. Sono stato un tossico per anni. E i testi di CRAWLER rappresentano me nel calduccio dark della mia dipendenza: “uno che striscia” di notte, in ginocchio, uno che prega, uno che sopravvive. Credo che avessi bisogno di perdonare il me stesso tossicodipendente per poter migliorare come autore di canzoni. E, anche, per potermi mettere alla prova dal punto di vista dei testi.
Avete detto spesso che non vi sentite di essere una band punk, che non vi piace questa definizione… [TALBOT] Sì ma non è che la odiamo, o che ci dia fastidio. Semplicemente non ci vediamo come punk.
Be’ io sono d’accordo con voi. Vi trovo più in linea con artisti odierni come gli Sleaford Mods. [TALBOT] Per quanto riguarda una linea di discendenza, credo che una band come gli Sleaford Mods sia molto idiosincratica . Cioè, capisci subito quando si tratta di una canzone degli Sleaford Mods. E’ molto differente da una canzone degli Idles. Anche in quel caso capisci subito che siamo noi. Anche su CRAWLER, che è così “esplorativo”… nel senso che si tratta di una vera esplorazione della nostra voce, del nostro sound. Però hai ragione: c’è un sacco di musica eccitante che proviene da questa generazione, e noi siamo senza dubbio parte di questa cosa. Ed è bellissimo esserne parte. C’è un senso di violenza, di “sovversività”, voglia di cambiamento e celebrazione della vita, che è presente in un sacco delle band a cui veniamo paragonati. E io capisco totalmente questo paragone. Ma allo stesso tempo penso che gli Idles siano semplicemente… gli Idles. [BOWEN] Dal punto di vista della produzione, CRAWLER è autoprodotto. Ossia, l’ho prodotto io insieme a Kenny [Beats]. E’ più noi che prendiamo controllo del nostro “songwriting” e che lo trasferiamo in un recorded media. E credo che aver coinvolto una persona come Kenny ci aiuti nella traduzione delle chitarre… dell’aspetto “da band” della cosa, e quel tipo di suono…. E specialmente della batteria, che abbiamo voluto più presente possibile. Ma il fatto, con CRAWLER… CRAWLER è un luogo insolito, per noi, come album. Perché è la prima volta che non abbiamo processato la batteria. Quello che si sente è in linea di massima il suono naturale dei tamburi. Più o meno come li abbiamo registrati. E le chitarre sono semplicemente chitarre: non ci sono sintetizzatori. E di base, siamo noi che abbiamo preso il controllo di tutto quanto, appoggiandoci a qualcuno che fosse capace di tradurre tutto questo.
Incontrandovi di persona siete due persone civili e acculturate, completamente diverse dai pagani punk anglosassoni che sembrate dal vivo. Come riuscite a operare una così completa trasformazione? [TALBOT] [Ride, NdR] Ma no, siamo sempre le stesse persone…! Solo che quando siamo sul palco, in qualche modo, “esageriamo” quello che siamo. Ma soprattutto incanaliamo nella performance tutte le strane sensazioni che proviamo e che vogliamo esprimere, esagerandole un po’. Ma siamo persone civili anche da vivo, penso… Anche se tendiamo ad accentuare alcuni aspetti delle nostre personalità. Ma inoltre, noi adoriamo il caos: una parte importante di uno show degli Idles è che può collassare tutto in qualsiasi momento. [BOWEN] Tu adori il caos. Io odio il caos [ridono, NdR].
Allo stesso tempo, Joe, tu dai anche sfoggio di una non comune sensibilità sul palco. C’è un video, in particolare, di quando suonaste a Glastonbury nel 2019, in cui appari sopraffatto dalle emozioni, e addirittura deve arrivare tua moglie da dietro le quinte per rincuorarti. Non esattamente il tipo di comportamento che ci si aspetta da un cantante hardcore. [TALBOT] Io piango spesso ai concerti. Avrò pianto, penso, tre volte, nelle passate due settimane di concerti. E mi piace. C’è una certa magia quando sono sul palco con gli Idles. Quando abbiamo scritto una canzone chiamata Queens, credo nel 2013, è stato il momento in cui tutta l’umanità della band si è fusa in una canzone. Quel pezzo esemplifica esattamente ciò che siamo, come una famiglia, pur con una certa violenza di fondo, ed è una sensazione bellissima suonarla dal vivo. Quindi, sì, le nostre performance sono basate sul “feeling”, esprimono ciò che siamo e chi e cosa amiamo: il fatto che siamo parte dell’universo, di qualcosa che è molto più grande di noi.
Avete spesso enfatizzato i concetti di “unità” e di “solidarietà”. Deriva dal fatto che venite da Bristol, che è una città piuttosto particolare, direi anzi unica in Inghilterra? [TALBOT] Mah,in verità credo che ci siano anche band londinesi che parlano di “comunità”, di “togetherness”, di unità e di amore. Ma penso che Bristol sia la “tempesta perfetta” per un senso di euforia nell’unione e nella solidarietà. E’ una città che queste cose le celebra. Credo che derivi dalla sua storia con l’immigrazione. Devi sapere che noi abbiamo il più alto numero di immigrati polacchi in Gran Bretagna. Ci sono immigrati di quarta o quinta generazione un po’ in tutta la città. E questa diversità da noi è sempre stata celebrata nella nostra storia recente. A causa di questo, c’è una grande apertura mentale verso il cambiamento e le differenze nella musica e nelle arti. E’ per questo che l’hip hop è esploso qui prima che in altri luoghi; e per lo stesso motivo la jungle è diventata così popolare a Bristol: per via delle comunità intorno ai free party e ai rave, il cui obiettivo era celebrare le differenze. E Bristol è un terreno molto fertile per questo. Ma non direi che è totalmente speciale. In Gran Bretagna ci sono altre città con caratteristiche simili: Manchester, Liverpool, Glasgow, la stessa Londra. Devi solo dare un ascolto alla musica che proviene da questi luoghi. Certo, Bristol è un posto magnifico per via della sua storia di immigrazione.
Negli ultimi due-tre anni c’è stata una sorta di riscossa del rock con le chitarre nel Regno Unito, grazie a band come voi, Fontaines D.C. e Shame. Si tratta per voi solo di un caso o il vento è proprio cambiato? [TALBOT] Io credo che se il rock vuole sopravvivere deve abbracciare le turbolenze e le diversità. Tutte le band che hai menzionato lo fanno. E credo che la chiave sia quella di continuare a “esplorare” la musica rock, se possibile, e di uccidere i vecchi cliché del rock’n’roll. Ma ci stiamo arrivando, ci sono ottime band in giro in questo momento.
Che tipo di influenza hanno avuto i suoni degli anni 60, 70 e 80 sulla formazione musicale degli Idles (se ne hanno avuta)? [TALBOT] Un’enorme influenza, senz’altro. E in quest’ultimo album, CRAWLER, credo che abbiamo esplorato moltissimo il suono dei Sixties. Io amo in particolare le produzioni di Phil Spector, cose come le Ronettes, Darlene Love, le Crystals, quel tipo di pop piuttosto dark. Ma d’altronde come si fa a non amarle? Mi piace moltissimo anche il soul dei Sixties e Seventies… sono cresciuto con quello! [BOWEN] E’ impossibile ignorare la musica del passato, anche se senti che stai realizzando qualcosa di totalmente nuovo. Anche se è impossibile sapere se stai realizzando qualcosa di nuovo se non conosci quello che è stato fatto prima. E specialmente CRAWLER, penso che si appoggi molto a cose dei 60, 70 e primi anni 80. Se suoni musica con chitarre non puoi prescindere da quegli ascolti. Ma la nostra speranza è che in futuro la gente definirà i nostri dischi “musica degli anni 20”. Di questo secolo naturalmente! [ride, NdR]. Comunque, tornando alla tua domanda: gli album di Scott Walker della fine degli anni 60 hanno giocato un grosso ruolo nella realizzazione di questo album. In particolare il terzo Lp di Scott Walker. E, ora che ci penso, anche il terzo (THIRD) dei Portishead… la qual cosa è parecchio bizzarra [ride, NdR], ma è così.
Sul piano delle liriche, invece: possibile che non siate state influenzati dai Clash o dagli Specials? [TALBOT] Mmmh… non lo so, non sono sicuro. [BOWEN] Credo che dipenda molto da qual è il filo del tuo ragionamento. Potrei anche contestarti che molta musica folk, non so, anche del 1700, parla di questioni politiche, specialmente il folk inglese, scozzese e irlandese. [TALBOT ]Io penso che il fatto stesso di “creare” qualsiasi cosa sia politico. E’ politico esplorare te stesso all’interno dell’universo. La politica è solo la lingua dell’infrastruttura posta intorno alla tua posizione nel mondo.
Ritornando a CRAWLER, quali sono i vostri pezzi preferiti, sia dal punto di vista del testo che della produzione? [TALBOT] Per me è MTT 420 RR, perché il songwriting di Bowen su quel pezzo è stato una spinta meravigliosa per esplorare me stesso dal punto di vista creativo. Ha creato un panorama sonoro fantastico che mi ha consentito di spingermi in nuove direzioni. E penso che a oggi sia la nostra canzone più fluida e potente in assoluto. [BOWEN] Uguale per me. Riassume alla perfezione lo spirito dell’album, il modo in cui abbiamo inteso realizzarlo. E penso che dal punto di vista del suono arriva esattamente dove volevamo andare.
Colpiscono le ultime strofe dell’ultima canzone del disco, Joe, dove canti che “a dispetto di tutto la vita è bella”. Era importante per te che CRAWLER, a tratti molto cupo e drammatico, finisse così? [TALBOT] Sì, perché è tutto un riflesso, dal punto di vista delle liriche, della mia guarigione. Vedi, gli ultimi due anni mi hanno concesso del tempo per riflettere su tutto ciò che ho passato, ma in una maniera positiva. Tutti i traumi che ho avuto – prima degli Idles, durante e anche dopo - mi hanno condotto verso un luogo molto bello. E io posso solo essere riconoscente. Tutto qui.
Quanto vi è mancato suonare dal vivo in questi mesi di pandemia? [TALBOT] A me non è mancato particolarmente, perché so che siamo abbastanza privilegiati da poter tornare ai nostri lavori come musicisti, quindi… Ci siamo potuti sedere e avere delle conversazioni su come utilizzare il nostro tempo [in lockdown] nella maniera migliore, e la risposta è stata: incidere un nuovo disco ed esplorare il nostro sound, che è il miglior regalo che ci sia mai stato fatto. Siamo davvero riconoscenti che ci sia stato dato del tempo per poterlo fare. [BOWEN] Tutte queste cose che ha citato Joe sono diventate palesi con il passare del tempo, ma nei giorni iniziali mi sono reso conto di quanto sia importante la performance live per la mia salute mentale. Per via della catarsi dello show dal vivo. Esibirmi è davvero importante per me. Ma ho sublimato queste mancanze acquistando una mitragliatrice e andandomene a sparare bevendo litri di whisky… [ride, NdR], cose così…. [TALBOT] Io ho risolto facendomi di eroina [ride, NdR]. [BOWEN] A parte gli scherzi, non vedevamo l’ora di tornare a fare live. Ora è quasi un mese che siamo tornati, abbiamo suonato in alcuni show piuttosto incredibili, e ci si è riscaldato il cuore a vedere il tipo di amore che c’è nei nostri confronti… Non c’è niente di paragonabile al mondo. E’ il top. Possa continuare a lungo. [TALBOT] E quella è la nostra “comunità”. Vi dispiacerebbe se CRAWLER non arrivasse al n.1 nel Regno Unito? [Insieme] Non arriverà al numero uno! [E invece ci è arrivato, NdR]a. [TALBOT] Ma ad ogni modo, abbiamo realizzato quello cbe pensiamo sia il nostro album più fluido, e siamo eccitati all’idea di suonarlo dal vivo. Peraltro, non vediamo l’ora di incidere il nostro quinto album. Questo gruppo ci ha dato – a tutti noi - una rinnovata voglia di vivere e siamo grati di poter essere qui.
Articolo del
27/11/2021 -
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