Come spesso accade la musica arriva improvvisa e porta con sé bagagli invisibili, dentro i quali, sotto sparuti abiti e tante illusioni, si cela la magia che solo quest’arte bellissima sa regalare.
Ho avuto modo di incontrare brevemente i tre ragazzi de IL GIOCO, ovvero Leonardo Rosselli (sassofono), Thomas Lasca (chitarra) ed Andrea Elisei (batteria), a febbraio, poco prima che l’intero paese si chiudesse a causa della morsa di un nemico tanto invisibile quanto pericoloso. Durante quella mattinata si registrò al bellissimo Tube Recording Studio uno degli episodi del format “25 minutes”, una sorta di concerto in formato ridotto in cui la band di turno suona alcuni brani raccontandone anche la genesi, e rimasi piacevolmente colpito dall’intrigante mix di sonorità che la loro musica evocava.
Un suono che spaziava attraverso etnie e mondi, vicini e lontani, lasciando modo all’ascoltatore di intraprendere un viaggio alla scoperta di orizzonti inesplorati. Lo scorso 5 agosto è poi finalmente uscito presso la Emme Record Label l’album di debutto omonimo, il quale ha riconfermato in pieno quelle sensazioni poc’anzi accennate ampliandone però a dismisura la portata emotiva. Ho colto quindi l’occasione per rivolgere qualche domanda al trio ed approfondire i risvolti dietro la nascita di questo affascinante disco.
Salve ragazzi e grazie del vostro tempo. Mi piacerebbe iniziare quest’intervista con il racconto, a grandi linee naturalmente, del percorso di vita e di studi di ciascuno di voi, capire come siete arrivati a conoscervi e a formare il gruppo, passando anche per la scelta del nome e l’assenza di un basso in formazione.
(Leonardo): Ciao Riccardo, prima di tutto grazie a te per quest’intervista, per noi è un piacere e siamo davvero molto onorati. Siamo tutti marchigiani e proveniamo dalla zona dell’anconetano. Abbiamo iniziato a suonare abbastanza presto, chi durante le scuole elementari, chi durante le medie. Io e Thomas, inoltre, abbiamo anche frequentato lo stesso liceo e, accomunati dalla passione per il jazz e in generale per la musica improvvisata, ci ritrovavamo spessissimo a suonare insieme.
Con Andrea invece ci siamo conosciuti partecipando ad una delle edizioni dei seminari estivi d’improvvisazione “Arcevia Jazz Feast”, che si tengono ogni anno proprio nell’omonima cittadina marchigiana. La scelta musicale del trio bassless, in realtà, nacque per caso. Qualche anno fa, Thomas ed io, poco prima di una data in quartetto, ci ritrovammo inaspettatamente senza bassista e dopo quell’esperienza decidemmo di approfondire le potenzialità di questo ensemble particolare.
Esattamente una settimana prima delle registrazioni del disco, Andrea è subentrato come batterista, dimostrando una grande capacità di adattamento all’interno del trio già formato e proprio durante quei giorni in studio di registrazione pensammo all’idea di avere un nome in italiano che potesse descrivere il modo in cui ognuno di noi percepisce il rapporto con gli altri elementi della formazione, sia quando si suona, a livello di comunicazione creativa ed interplay, che a livello umano! … E inoltre ci piaceva anche l’idea che questo nome potesse vagamente riecheggiare ai gruppi rock progressive italiani degli anni ’70!
Il periodo di lockdown ha inevitabilmente cambiato per molti la routine quotidiana ed alcune priorità, voi come avete vissuto questi mesi in casa e cosa vi ha maggiormente dato e tolto questo isolamento forzato.
(Thomas): È stato sicuramente molto strano! Personalmente, ero reduce da un’esperienza all’estero, un Erasmus a Budapest durato sei mesi, durante il quale restare in casa non era certo ciò che facevo più spesso. Ritrovandomi forzatamente in un lockdown, ho sentito che avrei dovuto tirare fuori il meglio dalla situazione. Ho quindi passato gran parte di quel periodo a studiare e approfondire temi e argomenti che avevo tralasciato in precedenza, come ad esempio la composizione e l’arrangiamento.
(Andrea): Fortunatamente, avendo un rapporto abbastanza pacifico con tutti i miei familiari, la convivenza non si è rivelata troppo difficile :) ! Scherzi a parte, è stato in ogni caso un periodo che ha messo tutti a dura prova e, come detto anche da Thomas, sicuramente c’è stato modo di studiare e dedicare molto più tempo alla crescita personale. Oltre alla musica è stata per me anche l’occasione per riscoprire la centralità del tema dell’informazione e, in secondo luogo, di quanto sia importante coltivare una sana abitudine al confronto e al dialogo mantenendo sempre compassione verso se stessi e gli altri.
Una cosa che mi ha colpito, oltre naturalmente alla musica contenuta al suo interno, è la cover dell’album, la quale racchiude al suo interno diverse immagini che si rifanno ai titoli dei brani che compongono la tracklist. Come è nata l’idea e chi è l’autore?
(Leonardo): Grazie! Siamo davvero contenti che tu sia stato positivamente colpito dalla nostra copertina! L’idea è scaturita dall’incontro tra noi tre e Andrea Giorgetti, un bravissimo grafico e illustratore portorecanatese che aveva già collaborato con l’altro Andrea (il batterista). In generale, volevamo qualcosa in grado di descrivere visivamente le idee che sono alla base delle composizioni musicali e, su idea dell’artista, abbiamo individuato un simbolo per ciascuna di esse. Quindi, lavorando sui colori e sulle ripetizioni seriali, Andrea è riuscito a creare questa fantastica copertina centrando in pieno l’obiettivo. Tra i meriti del vostro disco d’esordio credo ci sia la capacità di evocare paesaggi e culture diversissime tra loro, grazie ad un suono ricco di sfumature etniche unite a ritmi e melodie che riportano la mente a soluzioni sonore più affini al jazz moderno. Sarebbe interessante sapere da voi come sono nate queste composizioni, a cosa si ispirano, nella loro struttura ma anche nel semplice titolo.
(Thomas): La parola chiave è sinestesia! Il fil rouge di tutto il disco è sicuramente il cercare di tradurre in musica idee, immagini e situazioni della quotidianità. Inoltre, per quanto riguarda i brani scritti da Leonardo, la componente “etnica” svolge senza dubbio un ruolo fondamentale. La sua sensibilità verso la multiculturalità, di cui la sua città natale Ancona è un esempio eccellente, lo ha portato a scrivere pezzi quali “Portual Dance”, ispirato ai suoni del porto, e “Serrado”, dal sound chiaramente mediterraneo.
Entrambi questi brani hanno visto la partecipazione dell’ospite Francesco Savoretti alle percussioni. Per quanto riguarda invece le mie composizioni, ho cercato di focalizzarmi principalmente sulle possibilità e potenzialità del trio bassless, argomento che ho approfondito in occasione della stesura della mia tesi di laurea triennale in Conservatorio. Brani come “Black Cat” o “Hearing A Whistle” sono nati infatti proprio per questo trio e con l’intenzione di valorizzare al meglio la formazione.
Lo studio di registrazione e l’etichetta spesso fanno la differenza nella registrazione, promozione ed infine distribuzione di un disco, soprattutto in ambito di jazz italiano. In questo senso Enrico Moccia e la Emme Record Label hanno nuovamente visto lontano con voi, dando spazio ad un gruppo che già ora riesce a distinguersi e che sicuramente ha dalla sua parte un futuro più che promettente. Come siete entrati in contatto con loro e cosa vi ha lasciato questa esperienza?
(Leonardo): Il disco è stato registrato a Recanati presso gli Studi “Astronave Recording” del Maestro Matteo Moretti ed è stato poi mixato dal nostro batterista Andrea Elisei. L’idea di produrlo con la Emme Record Label è scaturita invece dall’esperienza positiva della registrazione “Enkidu”, primo album della band Bonora di cui faccio parte. Essendo rimasto positivamente colpito dal modo di lavorare e di valorizzare gli artisti di Enrico e di tutto il suo staff, ho pensato di proporre la pubblicazione del disco con quest’etichetta anche al trio.
L’esperienza della “25 minutes Live Session” è stata fantastica e, al contempo, molto utile per un’ulteriore promozione del nostro progetto sui vari canali social. Il team di lavoro che ruota introno alla Emme Record Label è davvero affiatato e professionale e in studio si respira veramente una bella atmosfera. Tutto questo può solo che far bene alla sempre crescente scena jazz italiana. Nonostante la situazione ancora incerta per quanto riguarda l’aspetto dei concerti dal vivo, avete qualcosa in programma nel prossimo futuro?
(Andrea): Sicuramente il periodo non è dei migliori, è difficile fare previsioni, ma la nostra ottica è sempre quella di lavorare per volgere le cose al meglio. Ora come ora siamo alla ricerca dei giusti contesti live per poterci esibire per presentare così il nostro disco valorizzandolo al meglio. Nel frattempo ci diamo da fare per essere presenti al meglio sulle varie piattaforme social e avere modo di allargare il più possibile la fan base.
E poi, grazie all’inesauribile vena creativa di Leonardo e Thomas, non mancano le occasioni per lavorare in sala prove su nuovi brani e idee compositive che magari potranno rientrare nel prossimo disco.
Nel ringraziarvi ancora per il vostro tempo vi auguro buona fortuna e lascio a voi l’ultima parola.
(Leonardo, Thomas e Andrea): Grazie a te per il tuo tempo e le bellissime domande che ci hai posto! Ci ha fatto molto piacere raccontarci e parlare della nostra musica e di quello che quotidianamente facciamo come artisti. Speriamo di rivederci presto e anche noi vi auguriamo una buona riuscita per ogni vostra attività.
Articolo del
26/08/2020 -
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