Una presenza attesissima alla David Bowie Glam Night by BowieNext che avrà luogo al Largo venue di Roma l'11 gennaio 2020 è quella di Dana Gillespie, ovvero della persona vivente che meglio ha conosciuto David Bowie negli anni cruciali tra il 1964 e il 1975, durante i quali entrambi si avvalsero dello stesso management, la Mainman di Tony Defries. La Gillespie, oltre a prendere parte al "talk" d'apertura della serata, dove saranno mostrate delle outtakes inedite del film 'Bowienext' di Rita Rocca, canterà 4-5 brani dell'epoca Glam (tra cui ovviamente il suo cavallo di battaglia "Andy Warhol") accompagnata dal suo attuale chitarrista Jake Zaitz e dalla Andy Live Band, per poi lasciare spazio al set "bowiano" dell'ex Bluvertigo e del suo gruppo (ma non sono escluse ulteriori jam congiunte!). E non è finita, perché Dana il giorno successivo, 12 gennaio 2020, darà vita a un “full set” di blues rock acustico, sempre insieme a Zaitz, al locale Le Mura di Roma, in zona San Lorenzo. Conosciamola quindi meglio, la oggi 70enne Dana Gillespie, in un momento in cui si sta tornando a parlare massicciamente di lei. Dana è infatti riapparsa nel documentario “Finding Fame” di Francis Whately sugli anni della gavetta di Bowie, andato in onda sulla BBC. Da qualche mese è inoltre disponibile il doppio Cd WHAT MEMORIES WE MAKE, che raccoglie i due Lp che realizzò per la Mainman tra il 1971 e il 1974 (WASN’T BORNA A MAN e AIN’T GONNA PLAY SECOND FIDDLE) più una pletora di demo e rarità. E un mese fa è uscito un Cd nuovo di zecca della Gillespie, accompagnata dalla sua London Blues Band: si intitola UNDER MY BED ed è edito dalla storica etichetta Ace Records.
Hai iniziato che eri giovanissima, quando ti sei immersa nella scena della Swinging London avrai avuto sì e no 14 anni. Ho iniziato ad andare al Marquee e nei vari locali dell’epoca che sarà stato il 1962 o il 1963. E questo era quando gruppi come gli Yardbirds stavano cominciando e in cui la musica stava diventando molto “happening”. Io avevo avuto lezioni di piano fin da quando ero molto piccola, e sapevo suonare i tipici motivi di musica classica. Ma poi ho scoperto la batteria, e ho iniziato a prendere lezioni di batteria. Pensavo di poter diventare brava come Buddy Rich, ma poi ho scoperto che non era possibile [ride, nda]. Avevo già iniziato a scrivere canzoni fin da quando avevo 11 anni. Ed è stato intorno al 1963, credo, che ho incontrato per la prima volta Bowie (che ovviamente allora era chiamato Jones). Avevo già iniziato a scrivere canzoni, e lui mi fece un sacco di complimenti, e mi diede anche un sacco di aiuto. Mi faceva anche sentire le sue canzoni, che oggi sembrano un po’ stupidine… Ma eravamo molto giovani. Era bello perché uscivamo spesso insieme. E una delle cose che facevamo era andare agli studi [della BBC] dove andava in onda “Ready Steady Go”, che era il principale programma televisivo in quei giorni, e passavamo del tempo nella “green room” [nel backstage] dove lui coltivava le conoscenze, e io coltivavo le conoscenze. E in quello stesso periodo io feci anche delle apparizioni in alcuni show televisivi. Perché ero sotto contratto con lo stesso agente di Donovan e avevo inciso i miei primi singoli [con l’etichetta Pye, nda].
Negli anni 60 oltre a fare la cantautrice sei apparsa anche in alcuni film. Uno di questi è “Fumo di Londra” di Alberto Sordi, dove ti si vede ogni tanto, suonare la chitarra. Una delle attrici, Caroline Munro, tempo fa ha dichiarato che anche David Bowie appare (in una scena muta) in quel film. Tu te lo ricordi sul set?
Non ricordo che lui fosse lì. Ma credo che se fosse stato sul set non mi avrebbe permesso di suonare la chitarra, l’avrebbe voluta suonare lui [ride, ndr]! Non ricordo che fosse nel film. Alberto Sordi aveva mandato degli scagnozzi, della gente per trovare dei ragazzi giovani e amichevoli del [Richmond] club, da poter usare nella scena della festa [che fu girata all’Eel Pie Island Club, ndr]. David non era in quel giro. Quindi sarei molto sorpresa se lui fosse nel film. Sarebbe stata una cosa “iconica”, me la ricorderei. Però dovrei rivederlo, rimediare una copia. Ma io non me lo ricordo.
Come avvenne il contatto col manager di Donovan? So che eri amica della ragazza di Donovan in quel periodo. Sì. Per un minuto [ride, nda] quella mia amica fu la sua fidanzata, e in qualche modo io lo incontrai. Lui suonò sul mio primo singolo [Donna Donna, uscito nel 1965, nda]. E per qualche tempo avemmo lo stesso manager. Uno dei miei tanti manager: nei primi dieci anni della mia carriera nel business ho avuto qualcosa come 10 manager. E sono stata sotto contratto per diverse case discografiche, come autrice di canzoni. E in tutto questo periodo sono sempre rimasta in amicizia con David Bowie (a un certo punto lui smise di essere Jones e divenne Bowie). E poi, più in là, ricordo che una volta mi telefonò e mi disse: “Ho appena scritto questa canzone e voglio fartela sentire”. E mezz’ora più tardi si è presentato a casa mia, si è seduto e mi ha suonato Space Oddity. Era il periodo, più o meno, in cui lui conobbe Angie, sua moglie. Di cui tu diventasti molto amica. Sì, perché poi due anni più tardi con Angie siamo andate insieme a fare una vacanza sul Lago Maggiore dove i miei genitori possedevano una villa e dove avevo passato parte della mia infanzia.
Quell’episodio, Angie l’ha raccontato nella sua biografia “Backstage Passes”. Ci andaste non molto tempo dopo che lei aveva partorito. In quei giorni andaste insieme a vedere un concerto dei Giganti. Ma certo, i Giganti! Ma il modo in cui la racconta Angie è molto più colorita di come la ricordi io [ride, nda].
Be’ Angie racconta di una sorta di amplesso - proprio in mezzo alla strada, con il rischio di venire travolti da qualche macchina - tra te e il cantante del gruppo… Sì ma vedi, molte cose lei le ricorda in modo molto differente da come le ricordo io. Fra l’altro, mia madre era con noi [in quella vacanza] sul lago... Ma comunque: sono cose davvero di scarsa importanza a meno che non vogliamo entrare in ogni piccolo dettaglio del matrimonio tra David e Angie. Come si sa, il matrimonio non è durato, come del resto la maggior parte dei matrimoni (io sono una vecchia cinica). Ma c’è stato un momento in cui ciò di cui Bowie aveva davvero bisogno era un manager decente. Sia io che lui eravamo passati attraverso diversi manager. Non avevamo un soldo. Andammo insieme a fare un’audizione per [il musical] 'Hair'. Non ottenemmo la parte. Ma sai, quando hai bisogno di un lavoro, hai bisogno di un lavoro. Quindi, sia io che lui facevamo tutto quello che ci capitava di fare. Lui era solito esibirsi con una band. Io ero più una folksinger da sola, perché non mi potevo permettere una band. E la mia voce non era diventata ancora abbastanza potente da legittimarmi come cantante blues, che era il genere che mi piaceva di più ascoltare. Bowie era molto attento alle questioni di immagine, che è una cosa a cui io non ho mai prestato attenzione: sono a mio agio se posso esibirmi con un paio di jeans e una camicia. Mentre a lui è sempre piaciuto apparire glamorous e queste cose qui. Quando Angie è apparsa sulla scena, e la [società] Mainman è stata creata da un manager meraviglioso, Tony Defries, senza il quale nessuno di noi penso, e David in special modo, è stato lanciato… La Mainman è stata molto importante nel costruire la parte iniziale della sua carriera. I suoi album in realtà furono completati prima del mio. Lui scrisse la canzone Andy Warhol per me. E su questo doppio album, ristampa dei miei due Lp per la Mainman, c’è il demo che non era mai stato edito in precedenza.
Ma per quanto riguarda i tuoi tre singoli per la Pye e i due album per la London/Decca (oggi ristampati in un unico Cd col titolo LONDON SOCIAL DEGREE): la cosa peculiare è che molte delle canzoni sono farina del tuo sacco. E all’epoca non era normale che una ragazza cantasse le proprie canzoni. Come sei riuscita a far accettare questa cosa? Sono stata molto fortunata quando ero sotto contratto con la Decca. Feci il primo album FOOLISH SEASONS cu cui suonarono Jimmy Page e John Paul Jones (ma in quei giorni nessuno veniva accreditato, e loro erano solo musicisti di session, non erano ancora diventati i Led Zeppelin). Io avevo sempre scritto canzoni, e il capo della Decca, un uomo chiamato Dick Rowe, è stato abbastanza gentile da farmi fare un altro Lp, BOX OF SURPRISES, con un gruppo chiamato Savoy Brown. Loro erano molto blues, anche se non penso che la mia voce fosse ancora diventato abbastanza bluesy. Ma sono sempre stata un po’ “left-field”, ossia non facevo esattamente quello che facevano tutti gli altri. Ero differente e, si può dire, non ho sempre avuto un grande successo, ma perlomeno ho sempre fatto quello che mi sentivo di fare.
BOX OF SURPRISES contiene una canzone intitolata For David, The Next Day. Si dice che fosse da te dedicata a David Bowie. E’ così? Credo che ci fosse un elemento di lui in quella canzone, ma in effetti sono molto più su di lui le canzoni Dizzy Heights e Eternal Showman (da WEREN’T BORN A MAN). Quelle sono molto chiaramente su di lui. Ma vedi, lui è stato così intrecciato alla mia vita… Lui, il nostro manager Tony Defries, Angie, Ronson… Anche quando sono andata in America, lui era in tour [lì], e io ero lì con la mia band. Con un fantastico batterista chiamato Simon Phillips. E avevo Earl Slick alla chitarra e Michael Kamen (che ora è morto) alle tastiere. E questo, perché la Mainman doveva tenere impegnati i suoi musicisti. Quindi, quando non stavano facendo cose con David…
Andy Warhol, tu l’hai registrata nel 1971. Ma perché avete aspettato fino al 1974 per farla uscire? Se, per dire, fosse uscita nel 1972 o 1973, quando ogni cosa che aveva il marchio “Bowie” si trasformava in oro, probabilmente avrebbe avuto un grande successo. Prima di tutto, quello che toccava iniziò a diventare oro a un certo punto degli anni 70 (e non in America). Ma poi: a) io ho registrato la mia versione prima che lui incidesse la sua, e a lui è piaciuta tanto da volersela riprendere per sé; e b) io sono stata coinvolta nel [musical] “Jesus Christ Superstar” [nel ruolo di Maria Maddalena, nda] per un anno. Quindi non potevo finire il mio album [WASN’T BORN A MAN]. E poi, quando la Mainman ha spostato la sua base operativa in America, io dovevo concludere il mio contratto con “Jesus Christ Superstar”. Il suo album è stato fatto prima del mio, e anche se era previsto che lui fosse il produttore del mio album, improvvisamente [David] si è trovato così sovraccarico di impegni e famoso. Alla fine Ronson l’ha preso in carico e l’ha prodotto lui. Ma sono comunque riuscita a usare gente come Rick Wakeman alle tastiere, e Bobby Keys, che suonava con gli Stones, al sax. Quindi c’erano comunque dei grandi musicisti. Ma per quanto riguarda la tempistica, l’artista non ha mai avuto molta voce in capitolo. Gli input di solito vengono dalla casa discografica, bisogna sentire cosa ne pensa il management… Entrano in gioco tutte queste cose per la data di pubblicazione di un disco.
Chiaramente, la fine della Mainman è stata un duro colpo per te. Fu inattesa? Be’, in qualche modo sì. Perché avevamo vissuto tutti appiccicati l’un l’altro, per quattro anni o qualcosa del genere. E al quinto anno la casa di carte è iniziata a crollare [ride, nda]. Molte cose erano cambiate. E adesso non voglio entrare nel dettaglio dei problemi tra Defries e Bowie. Ma quando le cose hanno iniziato a collassare, Bowie è rimasto a vivere in America, mentre io sono tornata dall’America. A me piace l’Europa, quindi, preferisco stare qui piuttosto che in America. Sono sempre stata un’europea, di base. Nel momento in cui questo è accaduto, Defries se n’è andato ed è scomparso per trent’anni. E poi, improvvisamente, due anni fa, è ricomparso dal nulla e ha dato il via libera alla ristampa delle mie registrazioni [per la Mainman]. Ed è fantastico. Altrimenti nessuno le avrebbe potute più ascoltare. Perché qualche volta la gente arriva [da me] con i vecchi Lp, o anche con dei bootleg che hanno trovato in giro. E poi, ovviamente [questa ristampa contiene] quello che viene chiamato il “Bowie Promo” [del 1971], quell’acetato che conteneva canzoni di Bowie su una facciata, e le mie sull’altra. Hanno ristampato tempo fa 500 copie private di quel disco che ora valgono migliaia di sterline [ride, nda]. Ma ora le mie 5 canzoni del BOWPROMO sono raccolte in questa doppia ristampa.
La tua amicizia con Bowie si ruppe nel momento in cui lui entrò in causa con Tony Defries? In qualche modo sì.
Perché tu eri dalla parte di Tony Defries? No, non c’erano parti… Perché nessuno parlava più con nessuno. David non parlava più con nessuno. Defries era scomparso. E io ho iniziato a lavorare con la mia band blues. In effetti la questione fu più “geografica”. Lui era in America e io in Inghilterra. Ma ho sempre avuto la sensazione che se l’avessi incrociato in un bar o qualcosa del genere, avremmo iniziato a chiacchierare come se nulla fosse. Ma sai, il suo stile di vita era diventato molto, molto differente. In qualche modo, le ultime volte che l’ho visto in America fu quando stava facendo il tour di “Diamond Dogs”. E guarda, io ho visto tantissimi concerti nella mia vita, ma quello è probabilmente tra i Top 3 dei migliori concerti di sempre. Era straordinario, e non so come abbia fatto a sopravvivere a quel tour [ride, nda]. Non aveva nemmeno un giorno di pausa [fra un concerto e l’altro]. Ed era faticosissimo. Ma a quel punto le cose erano diventate già difficili con la Mainman. Non dovrei parlarne in realtà, perché me ne sono tenuta fuori. E una volta che fu chiaro che stavano apparendo delle crepe, sono dovuta ritornare in Inghilterra per lavorare. Ma non ho potuto registrare per un paio d’anni, ed è stata piuttosto dura per me. Quindi sono dovuta tornare a fare teatro, che non è stato per niente divertente, invece che fare musica. Quindi non ha mai più rivisto David dopo quei giorni del “Diamond Dogs Tour”? No. Sono andata molto raramente a New York e lui è venuto poco spesso qui a Londra. Lui era molto bravo a non parlare [più] con le persone che facevano parte del suo passato. L’ha fatto anche con Ronson, e l’ha fatto con un sacco dei suoi vecchi amici. Era uno che andava sempre in direzione di “pascoli più verdi”. Ma ok, va bene così. Sono rimasta sbalordita quando è morto: così tanta gente mi ha chiamata, specialmente dei giornali, mi hanno chiesto: “qual è la tua opinione?” E tutte queste cantanti famose, Lady Gaga o Madonna, hanno detto: “è così orribile”. E io ho sempre detto: “non credo che sia stata orribile, perché lui ha fatto quello che ogni musicista vorrebbe fare, ossia far uscire un nuovo album tre giorni prima della tua morte”. Cioè voglio dire: quanto è figa questa cosa? E ha fatto così tante delle cose che voleva fare. Ha avuto una vita fantastica.
Senti, ma quando lo incontrasti nel remoto 1964, tu avesti la sensazione che avesse un talento speciale o pensavi che fosse uno dei tanti giovanotti – perché negli anni 60 erano davvero tanti – che cercavano di sfondare nel mondo della musica? Be’, lui… Perché mi ricordo di essere andata a casa sua quando avevo circa 14 anni, e lui mi disse: “Qualsiasi cosa io debba fare, me ne devo andare da qua”, intendendo le sue radici working class. Ma nessuno, credo, in quei giorni immaginava che uno potesse diventare una “star planetaria”. Cioè, c’era stato Elvis Presley ma non era mai venuto in Inghilterra. Le principali star erano americane. Molti dischi – la maggior parte dei dischi – che venivano pubblicati in Inghilterra non venivano pubblicati in America. C’era Dionne Warwick con Anyone Who Had A Heart, e allora noi avevamo la nostra inglese Cilla Black che realizzava la versione locale. Attraversare l’oceano Atlantico non era immaginabile. E non credo che uno diventasse musicista per diventare una “star planetaria”. Di Mick Jagger, per esempio, è nota quella dichiarazione in cui disse di non pensare che sarebbe durata più di tre anni. Alla fine, tutti noi lo facevamo perché era meglio che lavorare! E se la musica era la tua passione, era divertente… Eri giovane, stavi coi tuoi amici, andavi “on the road” e facevi un po’ di soldi… Potevi sognare di realizzare dischi di successo, ma nessuno di noi aveva avuto una hit in quei giorni. E quelli che l’avevano avuta erano molto inquadrati, vestiti in giacca e cravatta… Quindi, non era un qualcosa a cui i musicisti con cui passavo del tempo, pensavano mai: “Oh, diventerò una star planetaria!”. Non era proprio all’orizzonte.
Parlavamo del periodo che hai passato alla Mainman. Hai visto il film “Velvet Goldmine di Todd Haynes? Penso di averlo visto ma non ricordo… Forse l’ho visto in un aereo o qualcosa del genere. Non l’ho proprio assorbito. Parla della vita di David in qualche modo, giusto?
Sì ma soprattutto parla della vita alla Mainman, con tutta la dissolutezza… Io credo che [la Mainman] non fosse per niente dissoluta. In realtà la maggior parte delle persone non sapevano che cosa fosse la Mainman, e Defries è sempre stato un assoluto gentleman. Voglio dire: ce la siamo spassata, se la sono spassata tutti in quel periodo. Tutti si sono divertiti come pazzi. Ma non era qualcosa di sordido, capisci cosa intendo? Tutti erano molto concentrati sulla propria musica. Io lo ero, sicuramente.
Dopo la fine della Mainman, negli anni 80 hai passato molto tempo in Austria dove hai anche avuto delle hit. Ma ora sei attiva con la tua blues band soprattutto nel circuito londinese, giusto? Sono molto fortunata, perché non voglio smettere di cantare, adoro farlo. Quando sono in Austria lavoro con un tizio chiamato Joachim Palden e con il suo trio. E’ molto puro, è boogie-woogie blues. Anche se, avendo detto questo, ho appena pubblicato un album a dicembre intitolato TAKE IT OFF SLOWLY con l’Al Cook Quartet, che è blues un po’ nel vecchio stile di Big Bill Broonzy. Ma qui in Inghilterra lavoro con una formazione chiamata London Blues Band e ho fatto diversi album con loro. E stiamo mettendo a punto proprio adesso, mentre parliamo, il nuovo disco che si chiama UNDER MY BED. Quindi sì, faccio un break da una formazione e lavoro con l’altra, lavoro tra un paese e l’altro. E sono stata abbastanza fortunata da aver avuto un buon successo nei primi anni 80 con un pezzo, Move Your Body Close To Me, che anche se non è blues, è andato molto bene in certe parti d’Europa.
Che ne pensi del documentario “Finding Fame” (nel quale sei stata intervistata)? Lo trovi storicamente corretto? Mi piace molto Francis [Whately] il regista, e penso che sia un ottimo documentario, specialmente per tutta quella gente che non sapeva granché di quegli anni iniziali, di tutte quelle band di cui fece parte che non ebbero successo. Di quando falliva, falliva e continuava a fallire. Credo che sia stato interessante per tutti coloro che non ne erano a conoscenza. E c’erano dei bei vecchi filmati. Per me c’è un unico grande buco, ed è l’assenza di Tony Defries, il nostro manager alla Mainman. Non è stato menzionato per niente. Ed è come raccontare la storia dei Beatles senza dire niente di Brian Epstein. O con Elvis: non può non esserci il Colonnello Tom Parker. Defries è stato così importante… E credo che sia per via del fatto che Francis, il regista, aveva stabilito un’amicizia con David quando era ancora vivo. Lui aveva iniziato la trilogia della BBC con “Five Years” quando David era vivo. E David in qualche modo non ha più voluto avere niente a che fare con Defries dopo la loro non facile separazione. Quindi Defries è stato come cancellato dalla storia. Credo che Francis non volesse oltrepassare quella linea rossa. Ma c’è un enorme gap nel film che avrebbe dovuto parlare di Defries. E anche la sua ex moglie Angie. Perché è stata fortemente strumentale nell’aiutarlo, nello spingerlo. E anche Mick Ronson, anche se ovviamente non è più vivo e non può più partecipare al racconto.
Sei ancora in contatto con Angie? Sì ogni tanto mi manda delle email, ma lei vive in America. E’ venuta in Inghilterra circa tre anni fa per fare un terrificante show televisivo chiamato “Celebrity Big Brother”. Così, quando ha abbandonato “la casa”, che è stato nel giorno esatto in cui David è morto, è venuta a passare due pomeriggi a casa mia. Abbiamo chiacchierato come vecchie amiche. Era da un po’ che non ci eravamo viste in carne ed ossa. Ma sai, lei vive laggiù e io vivo in Europa…
E mi hai detto che sei tornata in contatto con Tony Defries. Sì, dopo 30 anni… Quando abbiamo saputo che questo doppio album [WHAT MEMORIES WE MAKE] sarebbe stato pubblicato, lui ha iniziato a chiamare. In qualche modo è uscito fuori dal suo nascondiglio. Io non l’ho visto, cioè, voglio dire, non so che aspetto abbia adesso. Ma sembra uguale a come era all’epoca, al telefono. Abbiamo parlato un sacco al telefono. Ma dove vive? Negli Stati Uniti? No, da qualche parte in Sudafrica.
Domanda un po’ gossipara: hai avuto una relazione romantica con Tony Defries? Romantica, no. Voglio dire, in tutte le mie relazioni, l’amore è sempre l’ultima cosa in termini di importanza. Ci siamo divertiti, insieme. Ma non la definirei una storia romantica. E lo stesso con David. La gente mi chiede se siamo stati innamorati. E, voglio dire, ci siamo tenuti per mano per un po’ come dei giovani adolescenti. Ma non la chiamerei relazione romantica. Ci siamo solo divertiti come fanno i ragazzini. Non sono mai voluta diventare Mrs. Bowie, o Mrs. Defries, o la Mrs, di nessuno.
E' una domanda che ti ho fatto, anche perché tu hai sempre avuto delle belle parole per Defries, a differenza di altre persone che hanno ancora delle rimostranze nei suoi confronti.
La maggior parte di queste persone si è lamentata, e tutte le lamentele riguardavano i soldi. E quella era l’ultima cosa che mi interessava. La lotta di David con Defries era probabilmente legata a questioni di soldi. Altre persone si erano abituate ad ottenere delle cose tramite la Mainman, e quando tutto si è fermato si sono rivoltati contro di lui. Io sono sempre stata fortunata perché sono solita vedere la mia vita come un bicchiere mezzo pieno, non mezzo vuoto. E se c’è stata maretta tra due persone in passato, io non vedo quale sia il punto di stare a rimuginare sul periodo brutto. Cioè, si può dire che io ho una memoria selettiva. Ma funziona per me. Mi rende contenta. Quindi ricordo i bei tempi che abbiamo passato, non penso a tutti gli anni in cui non l’ho visto. Non ho nulla di brutto da dire su di lui. Ho avuto la possibilità di lavorare su due grandi e famosi Lp, con tanti musicisti eccezionali. Avevo un assistente, biglietti aerei di prima classe, avevo a disposizione ogni musicista con cui desiderassi lavorare, abbiamo fatto dei tour… Perché mi dovrei lamentare? Ed è ottimo che ora questi due album siano stati ristampati.
Contengono delle ottime canzoni. Mi piace molto in particolare, la tua versione di Stardom Road. L’avevo sentita da Marc Almond che chissà, forse l’aveva sentita da te. Abbiamo preso il te’ insieme con Marc dieci giorni fa, e ne abbiamo parlato. Ma l’originale è la versione più interessante, di questo gruppo chiamato Third World War. Marc non ha messo Stardom Road Pt.2 perché ha detto che non aveva spazio sull’album. Ma dovrebbero andare insieme (Pt.1 e 2), con quel pezzetto vertiginoso che arriva verso la fine. Però lui l’ha lasciato fuori. Ma l’originale è dei Third World War, questo gruppo underground sconosciuto e dimenticato, e credo che il tipo che l’ha scritta ha fatto un gran lavoro. Vorrei averla scritta io. Perché usare nei primi anni Settanta termini come “he’s got poofy eyes” – che significa “ha occhi da checca” – non si sentiva molto a quell’epoca.
Articolo del
11/12/2019 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|