Ve l’immaginate un disco scritto e cantato da Fabrizio De André e Lucio Battisti? No, non è fantamusica: la possibilità che i due collaborassero c’è stata davvero. Lo ha rivelato Dori Ghezzi, per un quarto di secolo compagna di Fabrizio De André, durante la presentazione del suo libro “Lui, Io, Noi” nella piazzetta di Porto Cervo. Per carattere, Dori, pratica e positiva, è propensa a guardare al futuro ma sull’incontro musicale che avrebbe cambiato il corso della musica italiana, emulando la coppia Lennon-McCartney, ha un forte rammarico: “Rimpiango di non aver fatto in modo che Fabrizio facesse un disco insieme a Battisti”, afferma Dori Ghezzi, “avrebbero fatto qualcosa di straordinario”.
I tempi coincidevano, si poteva fare o almeno provare, spiega Dori. La notizia è una bomba perché negli anni Settanta il mondo di De André era agli antipodi di quello di Battisti. Erano anni plumbei e con troppi pregiudizi ideologici. I cantautori erano visti dai giovani come filosofi in grado di dare loro le risposte sulla vita; Battisti che i testi non li scriveva e cantava solo d’amore nei versi di Mogol era considerato un ottimo musicista ma disimpegnato. Da qui la leggenda che tutti compravano i suoi dischi ma molti li nascondevano sotto il braccio, nel fascio dei giornali; una leggenda avvalorata da un comunicato delle Brigate Rosse nel quale citavano in modo inconsapevole un verso di Lucio molto in voga: “le discese ardite e le risalite”.
In realtà, le cose non stavano così. Fabrizio De André, pur avendo sempre dato maggiore attenzione ai testi, in musica era curioso e pronto ad innovare: se prendete i suoi tredici album vi renderete conto che ogni lavoro apre e chiude un discorso musicale, passando da un’orchestra con ottanta elementi in “Tutti morimmo a stento” al rock della Pfm per approdare all’etnico di Creuza de ma che avrebbe dato una bella scossa alla musica italiana degli anni Ottanta. Per quanto riguarda Battisti, la sua irruzione sulla scena musicale fu pari alla forza di un ciclone, una sorta di rivoluzione come se fossero nati i Beatles italiani.
Di Battisti, Dori era grande amica e racconta: “Avevamo con Lucio una complicità di gusti musicali che ci ha uniti nel tempo. Spesso mi faceva ascoltare i suoi dischi in anteprima ma anche di altri che lo avevano entusiasmato”. Battisti alla fine degli anni Sessanta frequentava la casa di Dori. “Da fratello s’interessava con affetto della mia vita privata, mi dava consigli o mi sconsigliava disapprovando alcune storie che avevo avuto nel passato. Un giorno sentì parlare di me e Fabrizio e mi domandò se fosse vero. Io gli risposi: me lo chiedo anch’io perché non avevo la certezza che Fabrizio fosse una realtà. Con quel suo modo brusco mi disse: “A sentire i pettegolezzi tutti dicono che per lui sarai una botta e via e invece penso che non sarà così”.
L’amicizia con Battisti sarebbe durata nel tempo e una volta – siamo a Gibellina nell’autunno caldo del 1969 – Dori è sul palco e canta Casatschok, il suo primo grande successo, quando da dietro compare Battisti che improvvisa un accompagnamento con un trombone. Il mondo di Battisti sfiora quello di De André anche perché ci sono diverse persone che li accomunano. Il primo è Giampiero Reverberi, straordinario compositore che alla Ricordi arrangiò molti dischi sia di De André che di Battisti; poi tutti i musicisti che sarebbero diventati Pfm e che suonarono in studio con tutti e due; con Fabrizio è memorabile la registrazione della “Buona novella” prima del tour in comune e con Battisti tutte le canzoni da hit parade, da “Balla Linda” a “Anna” con quella sequenza micidiale di Franz Di Cioccio che, alla fine del pezzo, imprime sulla batteria settantadue colpi in sequenza.
Storie diverse ma anche molti punti in comune: entrambi riservati, tutti e due decisi ad andare contro i luoghi comuni e soprattutto a non farsi mettere i piedi in testa dalle case discografiche. Fatto sta che in quegli anni i due si sfiorano ma i progetti musicali e di vita sono troppo diversi. De André si trasferisce in Sardegna, fa l’agricoltore, scrive solo quando sente di avere qualcosa da dire. A Tempio la casa è aperta a tutti mentre Battisti si chiude a riccio prima di ritirarsi dalle scene. E questa è una grande differenza tra i due. A metà degli anni Settanta telefonai a Fabrizio dicendogli che stavo attraversando una crisi che lui aveva già passato, alludendo alla sua recente separazione. Mi rispose testualmente: “Ho attraversato tante di quelle crisi che sicuramente la tua coinciderà con una delle mie, vieni a Tempio e ne parliamo”.
Il cantautore che aveva scritto già autentici capolavori e i primi quattro concept album era pronto a mettersi sullo stesso piano di un ragazzo poco più che ventenne. Lucio, invece, si negava e a coloro che lo riconoscevano per strada chiedendogli se fosse Battisti, rispondeva: “Magari”! Fabrizio per la sua curiosità musicale e la necessità di confrontarsi aveva molti collaboratori, spesso diversi per attingere nuova linfa vitale; Battisti si affidava ai testi di Mogol e dopo a quelli di Panella. Ma c’è un momento in cui la collaborazione tra i due potrebbe ancora realizzarsi: dopo il divorzio da Giulio Rapetti, il gran Mogol, Lucio Battisti pensa che potrebbe rivoluzionare la sua musica vestendola coi testi di un cantautore doc. Ovviamente mira in alto e potrebbe essere il momento giusto ma è solo un’idea che rimarrà tale. Battisti sceglierà di continuare a far musica sui testi surreali di Panella: cinque album per sperimentare nuovi flussi sonori. Per i segni del destino che nel mondo della musica sembrano più evidenti, Lucio e Fabrizio moriranno a distanza di quattro mesi l’uno dall’altro. “Ormai se lo staranno facendo loro il disco insieme”, dice Dori Ghezzi, “chissà se un giorno riusciremo a sentirlo”
Articolo del
29/08/2019 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|