Dal punk allo psych-jazz, passando per il garage psichedelico e per la World Music: è stato questo il tortuoso tragitto che vede oggi il batterista londinese Malcolm Catto a capo del collettivo londinese The Heliocentrics, che la scorsa estate ha pubblicato due dischi in quasi contemporanea: il jazzato, molto Sixties A WORLD OF MASKS, con la nuova cantante Barbora Patkova, e l’interamente strumentale THE SUNSHINE MAKERS, colonna sonora dell’omonimo film.
Il nome della band è chiaramente ispirata dal “sole” della Sun Ra Arkestra. E’ ancora così importante, Sun Ra, per gli Heliocentrics di oggi?
Credo che la caratteristica di Sun Ra è che lui non mai smesso di cercare nuovi suoni, era sempre in movimento. Fino alla sua morte ha provato cose nuove e credo che sia la cosa che lo rende unico rispetto ad altri musicisti jazz che tendono a restare incollati al loro stile e ad essere più tradizionali. Lui cambiava sempre… un po’ come Miles Davis. E credo che sia quello che cerchiamo di fare anche noi. Rimescoliamo sempre tutto, in modo da non fare in continuazione le stesse cose. Qualche volta, quando vedi una band che hai amato da ragazzino - per me potrebbero essere gli Alternative Tv, una band inglese che adoravo quando ero un ragazzino… comprai il loro primo album con i soldi della mia paghetta – sono andato a vederli qualche anno fa, e hanno suonato esattamente lo stesso set che facevano nel 1978… o anche 1977! Ed è stato bizzarro, perché band come loro e come i Wire, io adoravo queste band ma… all’epoca il principio era che bisognasse andare avanti, essere parte dell’epoca attuale e andare sempre oltre… non essere soddisfatti di quello che c’era in giro… Perché la musica, suppongo, deve rappresentare il tempo e il luogo. E sia il tempo che il luogo cambiano, giusto? Le condizioni sono cambiate, quindi credo che la musica in qualche modo debba riflettere questo fatto. Ricordo il secondo album degli Alternative Tv, chiamato 'Vibe It Up Senile Man': quell’album per un sacco di punk, ha confuso un sacco di gente quando è uscito. Perché loro cominciarono con un tipo di punk piuttosto in linea, ma poi uscì quell’album che era influenzato dalla musique concrete e da Genesis P-Orridge. Così mi sono messo a pensare: su quelle basi, 20 o 30 anni più tardi, avrebbero dovuto suonare del free jazz o chissà che cosa. E invece eccoli qui, che suonano le stesse identiche cose. E lo stesso si può dire dei Wire. Se esamini i progressi compiuti da Wire: nei primi tre album, c’era un’evoluzione costante. E sono andato a vederli recentemente, e suonavano come nel 78.
Nel tempo però hanno fatto qualcosa di diverso: negli anni 80 erano più elettronici.
Sì, un po’. Ma speravo che potesse accadere qualcos’altro. Ricordo una cosa che disse Dj Shadow una volta in un’intervista: non voglio fare musica per gente di 40 anni. Vuole fare musica che si attuale e che possa piacere ai ragazzi. Secondo me però è probabilmente più difficile fare musica per gente di 40 anni, perché hanno già sentito tante di quelle cose, e possiedono tutti i riferimenti. E quindi, uscirsene con qualcosa [che alle loro orecchie] sembri nuovo, è molto più difficile. Perché le cose che mi hanno davvero sconvolto, l’hanno fatto quando avevo tra i 16 e i 18 anni. Ma ora ci vuole molto di più, perché colleziono dischi, e ho ascoltato così tanta musica, posso fare confronti tra la musica di oggi e quella del passato, e tanta [musica moderna] non regge, sia dal punto dell’abilità strumentale che del concept. E credo che parte di ciò dipenda dal fatto che la musica a quell’epoca era un’industria, generava un sacco di soldi, e ora non lo fa. E forse la gente non ci mette più il mestiere e non ci perde più il tempo di una volta. All’epoca venivano dati dei grossi budget per [realizzare dischi], ma ora le band ricevono dei piccolissimi budget in confronto. Inoltre: per avere un disco d’oro, oggi, quante copie devi vendere rispetto a prima? E’ un campo di gioco completamente diverso oggi per un musicista. Noi, per esempio, non riusciamo a vivere di quello che facciamo. Siamo costretti a fare altri lavori per sopravvivere, non c’è altro modo. E’ un peccato, ma è così che va.
Chi ritieni che siano i “pari” degli Heliocentrics nella scena musicale attuale? C’è qualche nome che mi puoi fare?
C’è una persona nella nostra band, Kathy, la violinista, che suona per una band chiamata Vanishing Twin. Di recente hanno registrato nella mia sala, io ho prodotto un album per loro, hanno la stessa nostra impostazione, ascoltano allo stesso tipo di cose che ascoltiamo noi: la “library music”, post-punk… E ovviamente c’è anche l’influenza dell’hip hop per noi, perché abbiamo vissuto durante gli anni 90, e ci ha fatti appassionare nei primi anni 90.
La cosa che mi ha sorpreso è che tu non vieni dal jazz ma dal punk.
Be’ sì, di base. In seguito mi sono appassionato al jazz: è stata una progressione naturale.
Quando è accaduto? Nel senso: quando hai avuto la rivelazione che il jazz fosse la strada da seguire?
Credo che la prima volta sia stata… Perché mio padre era un musicista jazz, lui suonava il piano. Il punk per me era una ribellione nei confronti del tipo di jazz tradizionale di New Orleans, molto conservatore. E’ con quello che sono cresciuto quando ero un ragazzino, l’ho dovuto ascoltare un sacco. E… non lo odio, ma, sai, il fatto che piaccia a tuo padre…Ma a un certo punto, un mio amico mi ha fatto sentire AFRICA BRASS di John Coltrane, e quel disco aveva molto più da offrirmi. Aveva un mood, aveva una fantastica atmosfera… Ed è quella che ho sempre cercato nella musica. Per esempio, un’enorme influenza su di me l’hanno avuta gli Spaghetti Western. Le colonne sonore di Bruno Nicolai, Ennio Morricone.. E anche le colonne sonore dei film di Kurosawa. E poi, più in là nel tempo, 'Il pianeta delle scimmie' (mio padre mi portò a vederlo).
Quanto è importante per te collaborare con altri artisti?
La prima collaborazione è stata con Mulatu [Astatke] ed è avvenuta per puro caso. La persona che stava organizzando il suo primo concerto in 25 anni nel Regno Unito condivideva l’ufficio con uno che lavorava per la sede di Londra della Stones Throw Records (che è anche l’etichetta attuale degli Heliocentrics). Questa persona stava cercando una band che supportasse Mulatu. Il tizio della Stones Throw le ha fatto sentire un nostro disco, e lei quando l’ha sentito ha detto: ma chi sono? Lei era convinta che fosse un vecchio disco. Perché credo, musicalmente eravamo tutti influenzati dal funk, funk molto grezzo, piaceva a tutti noi suonarlo: il groove della musica africana e quell’intensità ci divertivano molto. Ad ogni modo: lei ci ha sentiti, ha scoperto che eravamo una band moderna e ci ha chiesto di fare da backing band per Mulatu. Così abbiamo suonato nel suo primo concerto nel Regno Unito per 25 anni. E andò talmente bene… Ricorderò sempre Mulatu mentre esce in scena e resta sbalordito nel vedere tutti questi giovani che lo applaudono. Non se lo aspettava proprio. E’ stato stupefacente vederlo, e noi eravamo parte di tutto questo. E’ andata talmente bene che non ho potuto fare a meno di chiedergli: “Che ne pensi di fare un album insieme?” E’ stata la nostra prima collaborazione. E da allora…
La collaborazione con Mulatu Astatke vi ha anche dato una certa fama.
Sì, è vero, ci ha aiutato. Ed è servita anche a lui, perché l’abbiamo messo in contatto con un diverso tipo di pubblico. Credo che lasciato libero di agire in proprio, la sua musica sarebbe meno attraente dal punto di vista della cultura giovanile, dato che non possiede i riferimenti musicali che noi abbiamo conferito al suo sound. Cose che ci hanno forgiato, come l’hip hop, il drum and bass e questi generi moderni che ci piacciono. Così, dopo questa cosa, ci siamo resi conto che è possibile imparare molto da questi vecchi musicisti. Come ci è accaduto anche con Lloyd Miller: lì eravamo 16 musicisti, era un caos! Ma a me è sempre piaciuta la cacofonia, mi è sempre piaciuta l’idea che tu possa creare un sound enorme e poi scendere improvvisamente di tono. Ma devi essere organizzato per farlo bene, altrimenti è solo rumore.
In questo nuovo album siete cambiati di nuovo. Avete anche, per la prima volta, una cantante.
Di base, siamo sempre stati alla ricerca di un cantante. Per un periodo abbiamo avuto Andy Joseph, un poeta, che faceva spoken word. Ci siamo resi conto, credo, che la cosa che facciamo meglio è la rhythm section. Perché è quello che di base eravamo, quando abbiamo formato gli Heliocentrics: la rhythm section dei Soul Struts, che era una band funk con i fiati e l’organo Hammond. Funk dei tardi anni Sessanta. Così siamo sempre stati alla ricerca di qualcosa che potesse essere al centro dell’attenzione, al di fuori del ritmo, ma il problema era che un sacco delle persone che abbiamo provato non era in grado di improvvisare. Quando partivamo per la tangente, non erano in grado di restare al passo. Però poi abbiamo incontrato Babs, tramite la mamma del miglior amico di mio figlio, Giulia [Di Patrizi]. Le avevo detto casualmente che avevamo problemi nel trovare un cantante e lei ha detto: “Ma lo sai che nella chiatta accanto alla mia [sul fiume Lea, a Hackney, n.d.r.] c’è una ragazza, che canta in cima alla chiatta, che è davvero brava?” Ho chiesto a Giulia di darmi il suo numero, l’ho chiamata ed è venuta, e si chiama Barbora. E’ venuta alle prove e abbiamo capito subito che aveva un tale senso ritmico da poter improvvisare.
Ha anche trasferito alla band un certo sound un po’ Sixties, alla Amy Winehouse. E questo album, in effetti, è anche molto psichedelico.
C’era già parecchia psichedelia sul nostro primo album, e anche sul secondo album 13 DEGREES OF REALITY. Perché è una cosa che mi è sempre piaciuta, fin da quando avevo 15 anni. Sai, facevo parte della scena del revival psichedelico negli anni 80.
Ti sei fatto un po’ tutte le scene…!
No, solo il punk e questo psichedelico. Ma ero più dentro la scena garage. Ho suonato in un gruppo di Sixties Garage durante gli anni 80. Abbiamo anche inciso un disco, ma è terribile, ha un suono orrendo. Ho suonato in alcune band indie, un po’ psichedeliche, jazzate, con un sacco di influenze differenti. Perché in queste band – come in questa - c’era gente che aveva passioni discordanti. E a me piace molto questa cosa. Mi piace molto quando non sei sulla stessa lunghezza d’onda degli altri. Gli altri [musicisti] apportano alla musica qualcosa a cui tu non avresti mai pensato. Ma vedi, il problema negli anni 80 è che la musica mainstream di quegli anni era terribile. Per questo io mi sono rivolto al passato per trovare qualcosa di meglio, e ho trovato cose come i Velvet Underground, Captain Beefheart, i Mothers of Invention, e un sacco di quelle strambe band psichedeliche come gli United States of America.
Ma quella roba non era mainstream nemmeno negli anni 60 e 70…
Vero, vero. Assolutamente. Ma negli anni 80, per il fatto che la musica all’epoca era così brutta… Cioè, i primi anni 80 sono stati buoni. Io sono un grande fan dei Birthday Party. Poi c’erano gli Psychedelic Furs, Echo & The Byunnymen… Io compravo i loro album. Pensa che sono andato a vedere I Birthday Party sedici volte.
Articolo del
31/05/2018 -
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