Il 24 novembre 2017 in occasione del suo concerto al Nero Factory di Bologna ho incontrato il bassista/violoncellista Matteo Bennici e abbiamo piacevolmente parlato dei suoi interessanti progetti futuri e di Solum il disco di cui si può leggere la recensione a questo link:
http://www.xtm.it/DettaglioEmergenti.aspx?ID=18543#sthash.CkkbbnwT.dpbs
Prima di affrontare le domande sull’attualità, vorrei che mi parlassi dei tuoi progetti futuri.
Allora, adesso sono alla fine della promozione di Solum che sforerà anche nell’anno prossimo ma preannuncio che sto già lavorando al disco nuovo. Non so quando sarà pubblicato ma la lavorazione è già iniziata, sia per la parte musicale che per la parte artistica, nel senso che ho deciso di non fare un semplice album di miei brani ma di associarli ad un progetto artistico a cui collaboreranno vari artisti che conosco; diciamo che mi sono dato con loro il requisito di conoscersi, rispettare un percorso, un linguaggio comune e anche la compagnia, nel senso che ci conosciamo; molti sono miei amici. Però abbiamo estrazioni diverse: ci sono dei fotografi, degli artisti installativi e dei fumettisti; svilupperemo un tema comune che poi sarà associato alla musica in una maniera incidentale; abbiamo scelto un argomento molto ampio; te lo anticipo: il troppo amore, l’eccesso di amore, trattato non in maniera psicanalitica o filosofica ma semplicemente come…è un tema molto effimero ma in realtà anche molto attuale e presente. Esiste un superamento del limite anche in amore e l’intento è quello di trovare un’accezione positiva, non di porre semplicemente un tema e analizzarlo sotto tutte le sue sfaccettature; agli artisti che ho contattato ho dato assoluta libertà dicendo di riferirsi solamente al tema. Stanno venendo fuori cose molto interessanti come il senso del possesso, della protezione. Insomma è un tema molto ampio che stanno affrontando in modo libero. Non parliamo solo di eccesso ma anche di grande quantità, che ha un approccio più positivo.
Quindi un insieme di fotografie, fumetti, installazioni accompagnate dalla tua musica?
In realtà questa cosa sarà stampata; dal punto di vista pratico l’intento è quello di fare un libro fotografico con dentro un cd o un vinile. Ci sto già lavorando? Diciamo “nì”, perché il lavoro di associazione delle idee ai brani lo devo ancora fare. L’ascoltatore che avrà in mano questa cosa avrà un doppio stimolo perché non mi piace guidare troppo le persone nell’ascolto e nell’interpretazione di quello che faccio. Io faccio musica e basta e potenzialmente la musica è una cosa molto astratta.
Venendo a questa tourneè?
Con i live chiuderò a primavera; stiamo organizzando una toruneè un pochino più nutrita. Poi vorrei fermarmi con questo repertorio e introdurre quello nuovo. L’altra novità è che nel nuovo progetto ci saranno altri musicisti, non sarò completamente da solo; almeno in registrazione, poi nei live è davvero prematuro dire come saranno; ci sarà sicuramente la batteria e un altro arco, violino o viola. Guarda a me piace molto questo progetto; lo faccio anche perché il primo disco è stato come un biglietto da visita, un modo di uscire e proporre la mia musica in modo diretto, dopodichè ho voglia di sfruttare questa esperienza solista per proporre delle mie istanze, come secondo me dovrebbero fare tutti. E’ bello però non riferirsi solo a se stessi quando si fa musica ma cercare degli argomenti, cercare dei temi e svilupparli; comunque è una proiezione del lavoro musicale ed è molto bello che vada a braccetto con l’arte visiva di cui sono amante.
Infatti in passato hai lavorato anche per il cinema e per il teatro, non ti sei limitato solo alla musica.
Sì. Ho iniziato con il teatro da ragazzino; a scuola seguivo i laboratori di teatro ma non mi andava molto di recitare e quindi ho iniziato a fare musica, a comporre con gli strumenti che avevo, con il computer, il campionatore e mi sono appassionato alla colonna sonora, alla sonorizzazione. Ho poi proseguito collaborando con tanti registi di teatro e poi anche con il cinema, soprattutto cortometraggi; con Racconto di guerra del 2003 abbiamo anche vinto il David di Donatello. E’ un film molto bello di Mario Amura girato a Sarajevo. E’ una storia tratta da un fumetto di Danijel Žeželj un fumettista croato che vive in Italia; è una storia post-bellica sugli sciacalli di guerra.
Che differenza c’è (se c’è) tra comporre musica per un disco, per una piece teatrale o per un film per il cinema?
Eh, ci sono molte differenze. Per me sicuramente. Diciamo che, banalmente, ci sono una serie di esigenze da soddisfare nella colonna sonora, quindi bisogna essere calzanti, anche se a volte si ha la libertà di proporre qualcosa di più azzardato o di più trasversale, però bisogna sempre calzare con le richieste. C’è un forte aspetto di diplomazia e di programmazione. Mentre quando lavori alla tua musica godi di un eccesso di libertà; almeno io ho la sensazione di dover proporre me stesso; non parlo di immagine ma da un punto di vista musicale, sei tu che proponi a qualcun altro una parte di te stesso. Sicuramente le due cose si uniscono quando faccio tesoro dell’una nell’altra. Quindi la mia musica è molto cinematografica; nella colonna sonora si ha più l’impressione di lavorare, di raggiungere degli obiettivi; nell’altra si cerca più se stessi, ci si guarda un po’ dentro.
Infatti quando ascoltavo il tuo disco ho trovato molti riferimenti alla cinematografia; ho anche scritto nella recensione che mi sono sentito proiettato dentro ad un documentario che parlava di deserti e nei momenti più incalzanti dentro ad un documentario sulla spedizione di Lawrence d’Arabia. Ma soprattutto il disco più che un film o un’azione mi ha evocato delle “immagini”.
Questo è proprio il mio intento, non lo nascondo. Uno dei miei scopi è di creare mondi con la musica; quello che mi piace quando ascolto la musica degli altri o quando scrivo la mia è di creare mondi, anche se sono mondi di due o tre minuti; nelle mie canzoni ci sono riferimenti alla musica del medio oriente e quindi è naturale che ci si immagini un deserto. Mi piace indirizzare l’ascoltatore ma mi piace anche lasciare libertà nell’interpretazione. Credo molto nella musica strumentale e nel togliere qualcosa alla parola e lavorare molto di più sull’immagine a livello musicale. E non è solo la suggestione ma un lavoro capillare, di velocità, di direzione e di densità; laddove tu immagini un deserto magari anch’io immaginavo un deserto ma magari diverso dal tuo, e questo è fighissimo, molto molto molto bello. La mia è quindi musica documentaria, salvo che è un documentario “tuo” personale.
Anch’io ho notato riferimenti alle melodie orientali accompagnate da ritmiche africane. Come hai sposato questi due mondi tra loro molto differenti?
Cerco molto questa commistione; nella musica ho davvero tante passioni; la musica africana è assolutamente il faro del ritmo. Anche in certe scelte più “avanguardistiche” che faccio, il riferimento è comunque quello: il ritmo è una cosa incisiva, presente, non è uno strumento da utilizzare, è uno stato d’animo, un vestito che indossi. La melodia invece è una grande ricerca; chi fa un tipo di lavoro come il mio deve andare a cercare il più possibile al di fuori della musica occidentale. Amo moltissimo le melodie mediorientali di aria islamica o di lingua araba, dall’Afghanistan alla Libia; compro dischi di tutto il mondo, dall’Etiopia al Congo, e li ascolto come se ascoltassi il rock occidentale.
Tornando alle immagini, parlami della bellissima copertina del disco.
Nella foto, il cavallo sta uscendo da un palio toscano non quello di Siena ma uno dei tanti pali toscani. E’ una foto di Alessandro Baldoni, secondo me uno scatto capolavoro. Alessandro è un ragazzo che conosco da qualche anno, originario dell’Amiata, un caro amico e un fotografo incredibile. Quella è stata la copertina del mio disco dal primo all’ultimo momento; non c’è mai stata nessuna scelta da fare; quando l’ho vista, ancora non avevo il disco ma quella era già la copertina. Il cavallo senza sella sta uscendo dal palio. L’aspetto centrale di quello scatto non è tanto il cavallo ma la sua fuga e soprattutto il fazzoletto di terra, centrale nella foto, che è il suolo che in latino si dice appunto “Solum” che permette il balzo al cavallo. E’ un momento impressionistico assoluto, molto poetico e molto dinamico. C’è tutto: il movimento che è la melodia, la fondazione del suolo che è il ritmo e poi c’è l’animale che per me è molto importante. Il soggetto è già “fuori” e bisogna rincorrerlo con l’immaginazione. Rappresenta un gesto di liberazione. Insomma l’ho trovata assolutamente perfetta per il disco.
Articolo del
19/01/2018 -
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