Il concerto di Bologna del 29 ottobre, in occasione della presentazione del nuovo disco dei Protocol (gruppo fusion jazz creato da Simon Phillips mitico batterista degli Asia e dei Toto), mi ha fornito l’opportunità di incontrare il chitarrista Greg Howe per una breve chiacchierata
Buonasera Greg, ringraziandoti per la tua disponibilità vorrei cominciare parlando degli inizi: com’è nato il tuo amore per la musica? Allora comincio dall’inizio: sono nato a New Yotk City. Poi quando avevo due anni la mia famiglia si è trasferita nel sobborgo di Newark poi ci siamo trasferiti nel New Jersey quando avevo 4 anni. Quando avevo 18 anni i miei genitori si sono separati e sono andato in Pennsylvania con mio padre. Nel 2005 sono andato a vivere in California e dal 2009 vivo a Las Vegas. L’amore per la musica nacque in modo naturale; io e mio fratello amavamo i Beatles e abbiamo cominciato a suonarli insieme. Inizialmente, avevo dodici anni, suonavo la batteria ed ero abbastanza bravo a suonare semplici beat dei Beatles e dei Rolling Stones. Mio padre ci propose di prendere lezioni di musica; mio fratello decise quindi di prendere lezioni di batteria e io cominciai con la chitarra. Presi solo tre lezioni perché l’insegnante voleva che io imparassi a leggere la musica ma io riuscivo a suonare anche senza leggerla; ho cominciato ad imparare gli accordi; poi si è unito al gruppo un nostro amico che suonava la chitarra e mi ha insegnato tutti gli accordi; in più fece una cosa che non avevo mai visto fare: cominciò a suonare il bend; e io gli chiesi: “Cos’è questo?”. Per i successivi sei mesi mi sono esercitato solo sul bending e ho scoperto le scale pentatoniche, da solo, suonando ad orecchio. Così ho cominciato a suonare come chitarrista solista i pezzi dei Led Zeppelin, gli assoli di Jimmy Page e sorprendentemente non li trovavo molto difficili; poi ho ascoltato gli album dei Van Halen e mi sono innamorato del modo di suonare di Edward. Poi ascoltando i dischi di Coltrane mi sono appassionato al jazz. Ho amato Scofield, Malmsteen, Stevie Ray Vaughan e penso che tutti abbiano in qualche modo influenzato il mio stile che è un insieme di tutti questi stili
Hai appena citato John Scofield e in una recente intervista hai citato come fonte di ispirazione il pianista Michel Camilo. Qualche anno fa ho incontrato un tuo amico, il batterista Dave Weckl, e anche lui, parlando dei suoi artisti preferiti, ha citato questi due musicisti. Trovo molto interessante che un chitarrista e un batterista citino come fonte ispiratrice un pianista Nel mio disco intitolato “Five” ho suonato “Just Kidding” un brano di Michel Camilo. E’ un pianista molto ritmico e molto sofisticato. Sono sempre stato attratto da musicisti con una vena così ritmica. Originalmente come ti dicevo volevo diventare un batterista
Tra gli artisti con cui hai suonato vorrei che mi parlassi di uno dei più grandi di tutti i tempi: Michael Jackson Era onestamente, un genio. Un artista incredibile. Sono stato in tour con lui per sole cinque settimane. Non l’ho visto molto in quel periodo; lo vedevo solo pochi minuti prima degli show. Era una persona molto riservata e tranquilla ma nel momento in cui saliva sul palco si trasformava in un supereroe. Era interessante guardarlo lavorare. Ma la cosa sorprendente è che ascoltava tutto quello che succedeva. In quel tour ho sostituito la chitarrista Jennifer Batten perché sua mamma stava male e non ha potuto suonare per cinque settimane. Era interessante perché dovevo suonare partiture minimali, ritmiche. Per esempio in Wanna be starting something dovevo suonare solo pochi accordi e alla fine del concerto Michael venne da me e dopo aver cantato, ballato, volato, insomma dopo aver fatto uno show difficilissimo mi disse: “Hai fatto un ottimo lavoro ma nel secondo verso di “Wanna be starting something” potresti ritardare di un secondo l’attacco?”. Io ero esterrefatto; mi chiedevo: “Come ha fatto mentre faceva centomila cose sul palco ad ascoltare me?”. Incredibile. Lui ascoltava e sentiva tutto.
E cosa mi dici del tuo amico Victor Wooten, uno dei miei bassisti preferiti? Un bassista fantastico. Il fondatore degli Shrapnel Record mi consigliò di fare un disco con lui. In quel periodo il mio batterista era Dennis Chambers e completare il trio con Wooten sarebbe stato fantastico. Così nacque l’idea dell’album Extraction. Però tutti e tre eravamo in tour. Ehm…è andata così: era un martedì e io chiesi a Dennis di venire a casa mia il giovedì successivo per registrare qualche parte. Ma lui non è potuto venire perché è partito per un tour di sei mesi; ho chiesto al produttore di posticipare l’uscita del disco di sei mesi ma lui non accettò. Era una situazione molto strana; allora ho spedito i miei demo a Dennis e lui ha registrato la batteria e mi ha rimandato i demo; durante il mio tour, ho completato le registrazioni delle parti di chitarra mentre stavo negli alberghi e li ho spediti a Victor; lui è stato così bravo da registrare le parti di basso e me li ha rispediti dopo qualche mese; quindi ho perso molto tempo a remixare il tutto ma non riuscivo a trovare il giusto feeling. Mi sono reso conto che non potevo concludere il disco in questo modo; insomma dopo sei mesi di lavoro Dennis e Victor sono stati così gentili da rifare tutto da capo; ci siamo incontrati e in cinque settimane abbiamo ri-registrato il disco.
Anche se stasera suonerete i brani dei Protocol, il gruppo di Simon Phillips, vorrei parlare dell’altro tuo disco appena uscito, Wheelhouse. Cosa vuol dire il titolo? Wheelhouse è un termine che vuol dire confort zone; se un bassista jazz va a suonare in una metal band, suona un genere che non è nella sua Wheelhouse; se invece suona in una jazz band, allora è nella sua Wheelhouse.
La suggestiva foto in copertina invece, dov’è stata scattata? E’ molto bella E’ davvero un posto strano. Il fotografo mi chiese di andare in un posto fuori Las Vegas; in mezzo ad un campo, in mezzo al nulla, c’è questo strano posto che sembra un enorme roulette. E’ terrificante perché nessuno sa perché nel mezzo del nulla ci sia questa mega roulette. Però è un luogo molto intrigante.
Che differenze ci sono, se ci sono, nel modo in cui hai composto questo disco rispetto ai precedenti? Non ci sono reali differenze perché non ho un metodo; non ho mai avuto un metodo per comporre; qualche volta faccio jam con amici, a volte mi sveglio con in testa un’idea precisa per una nuova canzone e la scrivo; qualche volta suono la chitarra da solo e trovo l’ispirazione giusta. Però le canzoni migliori sono nate nella mia testa quando non avevo la chitarra in mano. La chitarra a volte è un limite perché quando le mie dita sono sul manico tendo a scrivere canzoni improntate sulla chitarra ma quando non ho la chitarra in mano la canzone nasce più libera.
Questa è una domanda che pongo spesso a chi compone musica strumentale: come scegli il titolo di un brano che non ha parole? E’ una domanda strana; a volte una canzone è ispirata idealmente da una situazione e quindi il titolo nasce da lì; ma non sempre è così; ogni tanto ascolto la canzone finita e mi chiedo: “quale titolo le sta meglio?”. Un altro esempio; nel disco dei Protocol c’è un brano che si chiama “Pentangle”; è in 5/4, quindi il titolo è nato dal ritmo, dalla struttura della canzone. Di solito quando scrivo un album lo intendo come se fosse la colonna sonora di un film e mi chiedo; questa canzone in quale scena del film sarebbe? In quale ambiente girerei questa scena? E da lì nasce il titolo della canzone
Nel disco non c’è una vera band che ti accompagna ma differenti musicisti che si alternano ai vari strumenti: Richie Kotzen, i bassisti Rochon Westmoreland e Kevin Vecchione, i batteristi Gianluca Palmieri e Pepe Jimenez. Come mai non hai scelto un’unica line-up? Sarò onesto con te: avevo una rock band, i Maragold, e questo disco dovevo pubblicarlo insieme a loro; avevo composto il disco pensando alla presenza della cantante; però non andavamo più d’accordo; allora ho chiamato un cantante uomo, un cantante con una voce spettacolare ma non abbiamo trovato il giusto accordo commerciale; allora ho rivisto tutto il materiale del disco e ho visto che poteva funzionare anche senza la voce; sono comunque tornato in studio e ho convertito alcune parti che dovevano essere cantate in strumentali. Poi ho contattato alcuni musicisti che vivono a Las Vegas per semplicità; per esempio, ho chiamato il mio vecchio amico Vecchione e gli ho detto: “Hey Kevin, perché non vieni a casa mia che registriamo qualche brano?”. E’ stata una scelta anche di comodità
L’ultima domanda: so che la canzone "Shady Lane" ha una storia particolare; me la racconti? "Shady Lane" è una canzone che io e mio fratello abbiamo scritto tanti anni fa ma che non abbiamo mai registrato. Penso sia una bellissima canzone. Ho chiesto al mio carissimo amico Richie Kotzen di cantarla, lui ha una voce incredibile e quindi l’ho inserita nel disco
In questo tour i Protocol suonano nell’ordine tutto il nuovo disco Protocol IV; i Protocol sono un gruppo formato da Simon Phillips (Asia , Toto), da Greg Howe, dal bassista Ernest Tibbs e dal tastierista Otmora Ruiza. La band si rivela molto affiatata ed ispirata, con Simon Phillips a fare da chioccia, un maestro indiscusso che dirige la band dentro e fuori dal palco; anche durante il soundcheck, quando hanno provato più volte uno stacco complicato, Simon Phillips ha spesso interrotto la band per dare consigli Ecco la scaletta: 1) Nimbus 2) Pentangle 3) Passage to Agra 4) Solitaire 5) Interlude 6) Celtic run 7) All things considered 8) Phantom Voyage 9) Azored
Articolo del
03/11/2017 -
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