Abbiamo chiacchierato con gli OvO, duo atipico che porta avanti un noise graffiante e ancestrale sin dal 2000, anno in cui si formarono a Ravenna. Bruno Dorella (batteria) e Stefania Pedretti (chitarra e voce) ci raccontano stralci della loro storia passata sui palchi di mezzo mondo, le loro scelte in campo musicale-estetico-etico e i progetti attuali all’insegna della contaminazione con altre scene artistiche.
Iniziamo dal posto in cui ci troviamo. Siamo a ZK [spazio occupato dal 2002 vicino Ostia] in occasione di Ostia Palusa [festival autogestito delle autoproduzioni, arrivato alla quinta edizione]. Le occupazioni hanno sempre fatto parte del vostro “radar”, ad esempio parlavamo prima di Torre Maura [altra occupazione romana], lì c’è la locandina di un vostro concerto del 2001 o giù di lì. Anche oggi siete qua, ma nel frattempo chiaramente avete fatto un percorso, è cambiata anche la vostra dimensione di gruppo nel senso che adesso siete comunque abbastanza riconosciuti tra gli amanti del noise e della musica estrema. Mi piace questa cosa che riuscite a tenere insieme le due dimensioni, cioè un progetto che va sempre più espandendosi ma senza lasciare indietro quella che era la dimensione da cui siete partiti Bruno: Anche a noi piace. Stefania: Pochi lo notano, infatti mi fa molto piacere questo inizio di intervista perché è una cosa di cui noi sinceramente siamo fieri. È una cosa bellissima che ieri eravamo a suonare prima dei Dillinger Escape Plan e oggi siamo qua allo ZK. Non perché adesso suoni prima dei Dillinger o nei locali o in situazioni molto più “ufficiali” allora non ti interessano più gli squat…alcuni lo fanno perché prima sono troppo sconosciuti per suonare nel localone e quindi utilizzano gli spazi più D.I.Y. come mezzo per andare da un’altra parte. Invece noi è perché ci crediamo e quindi il poter viverle parallelamente è una cosa che ci piace tantissimo
Infatti quello che ho pensato è che come è difficile incasellarvi musicalmente neanche vi siete legati troppo strettamente a una scena B: Sarebbe stato assurdo e falso, partire dagli squat perché ti facevano suonare all’inizio e poi rinnegarli appena arrivavano i locali. Tra l’altro la nostra storia è ancora più strana, comincia a essere lunghetta perché abbiamo 17 anni come gruppo. La cosa strana appunto è che all’inizio, nonostante noi come persone facessimo parte molto di più, a quei tempi, del mondo delle occupazioni, per questioni “culturali” di quell’epoca gli squat erano restii a farci suonare. Abbiamo cominciato a suonare anche nei locali, quasi da subito, proprio perché molti squat erano strettamente legati al discorso punk hardcore e non ci facevano suonare, mentre alcuni locali erano interessati. Abbiamo proprio insistito inizialmente per suonare nelle occupazioni. Poi le cose sono cambiate, abbiamo attraversato il momento felice in cui gli squat si aprivano a questi tipi di musica diversi, è stato un momento molto florido. Nel frattempo noi crescevamo e continuavamo a suonare anche nei locali. Adesso ci troviamo in questo strano momento per cui gli squat sono un po’ “fuori moda”, il cambio generazionale è sempre più limitato…ci sono addirittura gruppi punk hardcore che non vogliono suonarci, gruppi americani per esempio. Ormai non c’è più il fomento politico di dire “suono negli squat, quindi sono figo”, c’è invece il non voler rischiare la situazione tecnica non impeccabile eccetera. Per altri invece è anche una questione politica: mentre negli anni ’90 o agli inizi dei ’00 c’erano tanti gruppi che volevano suonare solo nelle occupazioni, adesso è il contrario. Ma non perché sono fasci! Perché gli fa strano…soprattutto questi gruppi americani identificano lo squat più col comunismo che non con l’anarchia e gli fa strano suonare in un posto esplicitamente comunista. Quindi ci sono questi corto circuiti…il bello di avere una storia lunga è anche di aver passato tante fasi storiche. S: Poi noi siamo stati proprio tra gli apripista del suono “altro” all’interno degli squat. All’inizio allo Zoro, un famoso posto a Lipsia, siamo stati tra i primi a portare questa musica per loro estremissima. Allo Zoro Fest i punk si allontanavano da noi e dicevano “oh mio dio, chi sono?!”. Nell’arco in realtà di pochi anni, fortunatamente, hanno fatto addirittura un festival di musica noise nel senso ampio del termine, proprio allo Zoro, è stato uno dei loro festival più importanti.
B: La prima volta allo Zoro Festival avevamo suonato in una stanzetta a parte, lontanissima da tutto, veramente un ghetto isolato; alcuni anni dopo eravamo headliner del festival. In quegli anni è cambiato qualcosa… S: C’è stato un cambio culturale e di generazione…del tipo: anche se sono anarchico non per questo devo ascoltare solo crust, posso anche ascoltare altro.
Cambiamo argomento, parliamo del vostro ultimo album, Creatura. A me è piaciuta tantissimo la profondità del suono, rispetto ad Abisso l’ho trovato ancora più avvolgente, con questo sporco di sottofondo. Un elemento importante è sempre l’aumentare dell’elettronica nei vostri dischi, secondo me questa cosa sta portando ottimi risultati. Volevo chiedervi cosa vi ha portato a fare questa scelta e quando dovete portarla nel live come ve la gestite questa complessità B: La scelta è stata dettata dal fatto che secondo me con Cor Cordium, l’ultimo disco senza elettronica, avevamo un po’ raggiunto quello che si poteva fare con la formula voce-chitarra senza sovraincisioni. Secondo me a un certo punto è diventato naturale di volerci un po’ espandere, volendo sempre rimanere un duo. Entrambi a un certo punto abbiamo iniziato ad ascoltare molta elettronica e c’è venuta l’idea che potesse diventare veramente organica all’interno della nostra musica. Le fusioni tra rock ed elettronica spesso sono un po’ forzate. Noi non essendo un gruppo rock standard già prima, avevamo le carte in regola per poter diventare un gruppo di rock ed elettronica non standard! La cosa che mi piace di come sta venendo questa commistione è che sembra quasi che non capisci del tutto cosa è suonato e cosa è campionato. Penso che stiamo affrontando il discorso in una maniera abbastanza interessante e originale, che a me non dispiace. Dal vivo bisogna un po’ organizzarsi, per suonare tutto dal vivo e non avere niente in sequenza - tranne una cassa dritta in un pezzo, Buco Bianco - bisogna lavorarci. Stefania ad esempio utilizza una loop station quasi come se fosse un campionatore in certi momenti, per perdere il meno possibile rispetto al brano originale. S: Studi una seconda volta. Soprattutto con l’ultimo, ma già anche con Abisso visto che era la prima volta e quindi mi chiedevo “oddio, adesso come facciamo queste cose qui dal vivo?!”. In Abisso avevo anche molte più chitarre sovraincise…Sono delle sfide interessanti, rendi tutto leggermente più semplice rispetto all’album, che finalmente possiamo rendere un po’ più complesso…sul disco manca l’impatto del live, che è un surplus notevole, allora ti diamo un altro tipo di surplus a livello sonoro e di profondità. Magari anche dal vivo c’è, dipende dall’impianto, però lì ci siamo noi molto fisici e quindi non fai caso a quello, mentre sul disco è fondamentale.
Già per essere un duo riuscite a far uscire una roba incredibile! Poi è giusto che ci sia una differenza tra il disco e il live, perché devono essere due fotocopie… S: Esatto. Agli inizi era diverso, davamo così tanta importanza al live che il disco era quasi solo un mezzo per fare i concerti. Poi invece abbiamo capito che nel separare le due cose non c’è niente di male. Ci abbiamo messo circa dieci anni per capire, soprattutto da parte mia, di dare prima importanza al suono e al disco e non solo al live. Ogni disco è una sfida, a volte devo andare proprio a decriptare quello che abbiamo registrato. Devo andarmeli a ristudiare i pezzi, sia con la chitarra che con la voce.
Avete girato tantissimo appunto, più di 900 concerti, avete fatto tour un po’ dappertutto. Quale tour vi ha segnati di più? Ho visto che un anno fa siete stati in Cina… B: Io penso che quello che ci ha segnati di più sia sempre il primo. Il nostro primo tour all’estero è stato nei Balcani: Grecia, Turchia, Bulgaria e Macedonia, dove c’era la guerra civile nel 2001. Ci siamo beccati le frontiere, la Turchia in crisi con l’Italia per Öcalan e quindi difficoltà a farci entrare, la Grecia con le occupazioni vere: spaccare la porta di un posto, entrare, fare il concerto e uscire…la Bulgaria di allora, con i carretti di legno sull’autostrada…e appunto la Macedonia in guerra. S: Farti la strada e mentre guidi dici: “ma io ho appena visto un carro armato nel fossato!”, e anche le trincee…quello è il famoso tour dove dici: ok, dopo questo o cominci a fare tour per sempre, come infatti fortunatamente ci è successo, oppure continuiamo l’università e diventiamo io una psicologa e Bruno un professore di lettere…invece fortunatamente ha vinto la musica.
B: Però tra gli ultimi tour che abbiamo fatto questo di Cina e Vietnam è stato secondo me molto illuminante. Abbiamo voglia di esplorare posti che non abbiamo mai visto…in particolare il Sud-est asiatico ci attrae molto. Quindi sicuramente proveremo ad andarci ancora. S: A me poi particolarmente. Lui ci era già andato prima, era andato a suonare in Cina con i Bachi da Pietra e in Vietnam ci era stato in vacanza, mentre per me era la prima volta e sono rimasta super affascinata dalla situazione. Per persone come noi che facciamo tanti tour in Occidente - e nell’Occidente non includerei l’Est, neanche quello europeo: intendo fino alla Germania diciamo. Qui spessissimo trovi un pubblico annoiato o saccente, o peggio ancora crede di aver visto tutto nella vita. Quando varchi l’Est, già veramente quando arrivi in Repubblica Ceca o in Polonia…adesso anche loro cominciano ad essere più annoiati perché tanti gruppi vanno lì in tour. Ma per tanto tempo c’è stata proprio quella smania di voler vedere, di poter finalmente andare a un concerto o organizzarlo, poter finalmente sentire della musica nuova dal vivo. E da lì andando sempre più verso Est questo si amplifica. Quindi in Asia senti proprio questa passione, anche la voglia da parte degli organizzatori di poter creare qualcosa. Lì non ci sono precedenti, non sono già stati fatti prima concerti D.I.Y., magari è il primo o è la prima volta che c’è un gruppo italiano…è tutto molto più vergine, e quindi per noi che amiamo molto quel brivido un po’ speciale della prima volta, è veramente illuminante. E poi la gentilezza…se hai già fatto mille concerti, hai una persona davanti e il giorno dopo non ti ricordi neanche più che faccia ha. Loro invece hanno voglia di conoscere persone che arrivano da altre parti…è uno scambio culturale e di vita, che è il bello di andare in tour o di viaggiare.
Mi hai fatto venire in mente una domanda che non so se sia appropriata, hai detto: “Forse avremmo continuato a fare l’università, io sarei diventata una psicologa e Bruno professore”, cosa che non avete fatto. Com’è per voi che siete musicisti, senza essere ovviamente grandi nomi, riuscire a campare? Vivere senza rinnegare la scelta di essere musicisti e di dedicare il proprio tempo alla musica… B: Penso non sia mai stato facile come oggi perché tanto oggi anche chi fa dei lavori che non gli piacciono fa fatica a campare. Se me l’avessi chiesto negli anni ’90, quando bene o male sembrava ci fosse una possibilità di carriera per tutti, ti avrei detto che era una scelta difficile. Comunque la gente pensa che fare il musicista sia rose e fiori ma in realtà la maggior parte dei musicisti sono come noi. Sono quelli famosi che sono l’eccezione. Ma il 99% dei musicisti è più o meno nelle nostre condizioni, anche chi suona generi molto più commerciali del nostro. È gente che comunque deve suonare tanto per campare e fa fatica…noi siamo messi così. È una scelta molto consapevole di cui veramente non mi sono mai pentito una volta. Non ho nessun dubbio su questa cosa. Mentre appunto oggi vedo che chiunque alla nostra età o meno fa una gran fatica a tirare avanti con qualunque tipo di mestiere, anche il meno interessante o affascinante. S: Questa scelta ci ha reso anche un po’ più smart, nel senso che siamo due persone che non danno importanza a quelle frivolezze della vita come tanti altri, che se anche guadagnano come noi o poco di più al mese pensano di non avere soldi. Perché comunque hanno certe esigenze che in realtà ti ha insegnato il consumismo ad avere e di cui puoi fare assolutamente a meno nella vita se vuoi. Non c’è bisogno di comprare un vestito da 100€, vai al mercato e trovi le cose a 1€, o comunque ti dai delle priorità nella tua esistenza su come spendere i soldi, o impari a metterli un po’ da parte. Quindi sei in tour e li metti da parte e poi dopo non sei in tour e li spenderai e poi vai di nuovo via…devi essere un po’ più furbo forse. B: Sicuramente facciamo una vita più semplice della maggior parte delle persone.
Con la vostra musica avete fatto anche altre cose, la avete utilizzata per uno spettacolo teatrale [Aeneis V di Lenz Rifrazioni] e avete musicato alcuni film, l’ultimo è stato Frankenstein [di James Whale]. Come vi siete vissuti questi progetti? Secondo me, anche se la pratica di musicare i film si è un po’ diffusa, riuscire a far interagire la propria musica con altre cose è molto bello… B: Per noi è bellissimo. Anche la questione di suonare durante i film, è vero che sta diventando un po’ di moda però è bello. A parte che permette, come gruppo, di uscire dal tran-tran disco-tour disco-tour per forza, e questo secondo me è già molto importante. Per un gruppo come noi che esiste da tanti anni, è importante avere delle valvole di sfogo per uscire dalla routine. Non dimentichiamoci che, se abbiamo scelto di fare questo nella vita, è anche per evitare una vita routinaria. Io penso che a un certo punto possa diventare una routine anche la vita del musicista, se non riesci ad uscire dal binario. Diversificare è molto importante anche artisticamente, io non so che cosa è giusto o efficace a livello di carriera…penso che la nostra carriera andrebbe studiata per dire: “Non fate questo se volete essere famosi!”. Abbiamo un’integrità artistica che teniamo molto in considerazione. Io mi guardo ogni mattina allo specchio e non ho niente da recriminarmi. Quindi penso che l’eclettismo, il saper cambiare le coordinate nel gruppo sia un bene, anche se appena esci un po’ da quello che dicevi prima qualcuno può aver qualcosa da ridire…il fatto che gli OvO facciano anche teatro o cinema può spiazzare alcuni, ma per noi come artisti è una cosa giusta. S: Il nostro pregio e difetto è proprio che non siamo in una scatoletta… B: …e mettercisi da soli sarebbe assurdo! S: Ancora di più, ci dà la possibilità di poter facilmente incastrarci ad altro, perché magari se facessimo street hardcore, beh musicare il Frankenstein facendo hardcore, potrebbe essere un po’ complesso…magari no, verrebbe da paura! Una cosa affascinante è che come OvO abbiamo un’estetica di grande impatto e quando siamo sul palco si pensa al nostro aspetto, mentre il bello della sonorizzazione è che noi ci mettiamo da parte come impatto estetico-scenico, diamo le spalle al pubblico e sonorizziamo veramente il film. Non facciamo un nostro concerto con lo sfondo del Frankenstein, creiamo qualcosa di diverso, non sentirai un pezzo dei nostri album…e siamo ai margini. Quindi quello che le persone vengono a vedere è il Frankenstein, musicato dagli OvO. Forse ti dimentichi anche che noi siamo lì perché quello che guardi è il film e ascolti un certo tipo di musica, molto diversa da ciò che c’era negli anni ’30…sta piacendo tantissimo questa sonorizzazione. Per quanto riguarda il teatro, c’è capitato solo una volta con OvO…al contrario che con i film, il fatto di essere noi anche un po’ performativi aveva permesso al regista e agli attori di avere noi sia come sfondo sonoro sia di poterci utilizzare all’interno di piccoli segmenti della scena. Quindi c’era Bruno che entrava e suonava con un’attrice e io che duettavo con la voce con altre attrici. Io poi sono ancora più caduta in amore col teatro, Bruno con il cinema ancora di più, con i Ronin e altri progetti…tutti e due siamo caduti in amore con queste due scene con altri nostri progetti, magari meno con OvO.
Come fate con gli altri progetti, vi alternate? Visto che tu Stefania hai ?Alos e tu Bruno Bachi da Pietra e Ronin… B: OvO è l’unico che non si ferma veramente mai. Ovviamente quando siamo in tour con gli altri progetti OvO rallenta un po’, però non si ferma mai completamente. Mentre gli altri gruppi hanno periodi di pausa, io li chiamo “maggese”…non so se hai studiato alle elementari la tecnica agricola, per cui una parte del campo se ne sta a riposo per un po’. Gli OvO no, perché per sua natura è un gruppo che suona tanto, gira…il nostro concetto di gruppo è un po’ quello di non fermarsi mai. S: Si, poi con ? Alos in realtà è diverso, non essendo un gruppo ma essendo io che decido per me stessa, quindi a seconda delle disponibilità…con OvO andiamo quasi sempre in tour, quindi nei buchi che ho con OvO prendo le date per ?Alos…la settimana prossima faccio la curatrice al Santarcangelo Festival e quindi dico a Bruno: “Mi dispiace però per quei dieci giorni gli OvO non suonano perché faccio quest’altra cosa che è importante per me”. : Comunque si impara a farlo. All’inizio è un po’ difficile ma poi si impara. S: Come impari a fare i tetris per far entrare gli ampi sui furgoni, trovi spazio per tutto…
Non so se volete dire due cose sul vostro immaginario e sul vostro lato estetico, come l’avete chiamato anche voi. C’è questa cosa per cui tu Stefania sei organica con ?Alos, mentre tu Bruno ti cali in progetti molto diversi… B: Stefania è più olistica nel suo immaginario, mentre a me piace entrare in un progetto e quasi isolarlo dagli altri. A me piace molto anche fare il gregario ad esempio. Mi piace avere progetti in cui io eseguo, suono e basta, mi faccio anche un po’ da parte. Mentre Stefania ha una presenza e un’estetica talmente forte…è talmente un personaggio che segna molto le cose in cui entra, non si resta indifferenti. S: L’estetica degli OvO ormai la vedo e non la vedo, è completamente fusa insieme…poi pensandoci, so che l’estetica non è solo sul palco, con i nostri vestiti…ad esempio nel tour dopo Abisso ci chiedevano come mai vi siete tolti le maschere…questa scelta aveva shoccato tutti: tolte le maschere, Bruno seduto, mio dio cosa succede negli OvO?! Quindi a volte penso all’estetica solo in questo senso, ma in realtà è qualcosa di molto più ampio, è un immaginario come dicevi tu. Quindi negli OvO l’estetica è anche la scelta della copertina, perché c’è quel tipo di disegno, il videoclip e gli attori che scegliamo…è un discorso molto più ampio che a volte mi dimentico io stessa. È così ampia l’estetica OvO, ed è tutta organica, tra la scelta dei vestiti, delle maschere o della copertina che fai e ancora di più il videoclip, che è una cosa di cui non parliamo mai nelle interviste perché nessuno ci pensa ma in realtà fa moltissimo parte dell’estetica sia visiva che musicale. Il videoclip esprime quello che voleva darti anche l’album. Noi poi non è che ci affidiamo a un regista che decide come fare il video, sono io che scelgo il regista di solito. E il regista lo scegli per rendere al meglio ciò che tu esprimi col suono e che io ho nella mia mente. Quindi è molto complessa la parte relativa all’estetica…poi a livello mio personale, come diceva Bruno, ho un forte impatto per cui sono anche facilmente attaccabile. Proprio perché io ho sempre dato una grande importanza all’estetica, nel passato alcuni giornalisti avanzavano critiche forti contro di noi o contro di me, perché dicevano: “In quel modo non valorizzi il tuo suono”. In realtà non è così, puoi dare importanza all’estetica anche perché è un certo tipo di estetica, un’estetica di rottura: come lo siamo nel suono. Voglio far riflettere mostrando un messaggio di critica alla società e a tante altre cose. Proprio per il mio modo di essere è capitato che registi di teatro mi hanno chiamato, proprio perché come musicista ho una certa estetica e quindi riuscivo in quel modo a trasmettere certi tipi di rottura e di liberazione a delle donne mature in Azdora [progetto teatrale creato dal regista Markus Öhrnmagari]…sei quella miccetta per cui anche altre persone intorno a te prendono fuoco e fanno qualcosa. Quindi l’estetica non è individuale e autoreferenziale, spero: è un modo di essere e puoi esserlo anche tu se vuoi, ovviamente nel tuo modo personale
A proposito di questo avevo la curiosità del tuo plettro! S: Ahah, anche ieri ai Dillinger me lo chiedevano… B: Qualcuno mi ha detto: “Ma che cos’ha Stefania, una scheda telefonica?!” S: La scheda telefonica non so neanche come è fatta! È nata in modo talmente naturale, non è studiato a tavolino, è una questione di ricerca sonora. Per me riguarda proprio il suono, non in senso intellettuale ma di come le mie orecchie vogliono percepire qualche cosa. Ma è anche questione di comodità: il plettro lo trovo così piccolo e scomodo e poi non emette un suono che mi piace. Quindi già agli inizi degli OvO, io giravo con tanti più aggeggi da usare sulle corde, e avevo iniziato con questo simpatico flauto di Pan per bambini…era proprio una ricerca andarlo a prendere. Quando lo trovavo da qualche parte ne prendevo molti! Poi c’è stata un’evoluzione in altre forme di flauto per bambini. E poi quando sono andata a vivere in Germania ho trovato nelle sezioni dell’oggettistica per la scuola, nella zona delle squadre, quest’altro oggetto che ho scoperto da poco dovrebbe servire a fare le equazioni o calcolare il pi greco…e ho trovato questa forma che era proprio l’ideale per me, è come un plettro gigante. E poi è trasparente, non era voluta questa cosa, ma ogni singolo si crea un suo immaginario incredibile! C’è chi dice che suono con pezzi di vetro, ognuno si fa i suoi trip, a me piace un sacco! Per me è una cosa comoda, e poi nel corso degli anni abbiamo visto che, collegato con il mio essere ancestrale, in varie zone dell’Asia si utilizza un oggetto di forma simile per suonare strumenti a corde.
B: Sono oggetti molto femminili, ci sono donne che suonano strumenti a corde in diverse culture, anche africane e latino-americane, con questi plettri triangolari e irregolari molto grandi. Tornava tutto ecco. S: A volte è bizzarro che se si vogliono analizzare alcuni miei aspetti, come magari la questione della voce, anche lì si crea sempre un immaginario infinito: ma che lingua userai, la strega del bosco…ognuno si fa i suoi trip, che è bello. Noi diamo degli input e poi lasciamo aperte delle porte…c’è chi si spaventa di queste porte aperte, per cui potremmo non piacergli, ed altri invece che proprio perché gli lasci queste porte aperte si creano delle cose fantastiche
Articolo del
16/07/2017 -
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