Andrea Cauduro è un musicista di formazione classica, ha studiato chitarra e composizione laureandosi in conservatorio, focalizzando la sua attenzione sulla musica contemporanea e sugli sperimentalismi delle avanguardie storiche.
Non disdegna incursioni in territori più convenzionali come il folk e il rock, con i cantautori Stefano Crialesi e VonDatty. Nel 2017 realizza First Date, seguito di Tales il primo disco del 2015, entrambi autoprodotti. Sempre nel 2017 collabora con la compagnia di danza contemporanea MORSE eseguendo musiche dal vivo per la performance PostProduzioneDUO nell'ambito del Festival Interplay di Torino.
Andrea presenterà il nuovo disco il 30 maggio a Roma, al San Belushi e prima di questo appuntamento gli abbiamo chiesto alcune cose sulla sua musica e sul nuovo lavoro in studio
Andrea, come ti sei avvicinato a questo stile musicale cosi interdisciplinare? Il mio approccio alla musica e, in special modo alla chitarra, è sempre stato trasversale. Ho cominciato da autodidatta e dopo qualche anno sono entrato in conservatorio. Li ho ricevuto una formazione accademica però ho sempre mantenuto un approccio istintivo allo strumento che mi ha portato ad apprezzare la musica sperimentale e le avanguardie musicali del ‘900, da John Cage al gruppo di improvvisazione “nuova consonanza”. Poi ho scoperto il mondo underground che mischiava rock sperimentale, rock psichedelico degli anni ’60 e musica colta moderna. Ad oggi sono molto legato alla scena underground italiana e in modo particolare alla musica di Stefano Pilia, Paolo Spaccamonti, Claudio Rocchetti e molti altri.
Hai citato molti musicisti di nicchia o comunque poco conosciuti al grande pubblico, qualche riferimento per noi comuni mortali? Sono cresciuto con il mito di Syd Barret. Il primo disco dei per me è stato fondamentale. Poi, sempre per citare chitarristi, Jimmy Page e i primi quattro album dei Led Zeppelin sono stati il mio libro di studio e lo sono tutt’ora. Poi Ritchie Blackmore dei Deep Purple, Stevie Ray Vaughan. Il blues e la psichedelica sono sempre state le mie fonti di ispirazione
Quali sono stati i passaggi che ti hanno portato alla creazione di questo album Negli ultimi anni ho cominciato a suonare musica folk e rock con alcuni cantautori ma contestualmente ho sentito il bisogno di fare musica “mia”. Nel 2015 ho registrato e autoprodotto il mio primo lavoro, Tales. Riascoltandolo ora sento che di base c’era un compromesso tra quello che volevo suonare e quello che invece suonavo con i cantautori con cui lavoravo e lavoro anche ora. Quindi era come se fossi andato in tilt, preso tra la voglia di suonare ciò che sentivo e gli steccati imposti da altro tipo di musica. Di conseguenza per creare questo secondo album, dal nome First Date, mi sono liberato di tutte queste paure e di questi compromessi
Perché hai chiamato il secondo album “First Date”? Questo nome ha due anime. Da un lato vuole essere evocativo e dall’altro vuole essere ironico. Anche se la musica che faccio può sembrare “seriosa”, in realtà sono un tipo molto ironico e mi piace giocare con i vari significati delle parole. “First Date” è una raccolta di brani nati in un periodo emotivamente instabile, dunque il titolo vuole essere un ricordo di quel periodo, ormai superato per fortuna, ma anche un auspicio per l’inizio di un nuovo periodo più favorevole. Un primo appuntamento, quindi!
Nei titoli dei brani ci sono dei riferimenti a luoghi molto distanti fra loro, li hai visitati veramente? Come dicevo prima, l’album è un richiamo a luoghi visitati ed esperienze vissute in passato. Nel brano Once I saw a mermaid in Budapest ci sono degli inserti sonori, stramodificati, che ho registrato a Budapest. Nel brano Dance me to the end of the Spain si sente il suono di un treno che ricorre nel brano e che ho registrato a Valencia. Il finale del brano è infatti un omaggio alla musica spagnola. In Vanna ci sono dei suoni modificati che ho registrato a Genova. Questo concetto dell’utilizzo di suoni reali registrati in giro e poi modificati o filtrati è un aspetto della musica sperimentale che mi ha sempre interessato molto. Ho una libreria di suoni registrati di circa 20 ore. In vacanza non porto la macchina fotografica ma un registratore. (Chi scrive lo può confermare!)
Ci sono dunque richiami a molti stili differenti, come il richiamo al Miles Davis del 4 brano, qual è il tuo background per il disco? Essendomi slegato da alcuni preconcetti musicali, come dicevo prima, quando ho cominciato a scrivere non avevo un progetto ben preciso. Ogni brano infatti ha uno stile differente. I brani Ada e Vanna, che rispettivamente aprono e chiudono l’album, sono legati al corrente musicale dell’ american primitivism che richiama ambienti rurali, folk e country. Poi ci sono riferimenti più velati, come quello che hai colto, legati al blues e alla malinconia.
So che oltre alla musica, segui altri progetti, ce ne puoi parlare? Oltre alle collaborazioni con i cantautori, lavoro con una compagnia teatrale. Anche per loro ho realizzato varia musica di scena. Questo percorso negli ultimi anni mi ha dato molto perché fare musica applicata riesce a darti una prospettiva nuova. Più di recente ho cominciato un’altra collaborazione in un teatro per cui faccio il tecnico luci e il fonico. Anche se queste attività sembrano slegate dal mondo musicale in realtà sono state fondamentali nel darmi un approccio poliedrico che secondo me è fondamentale per cercare di fare arte e non intrattenimento.
Quindi pensi che il musicista sia uno che deve saper affrontare varie situazioni differenti tra loro Come dicevo prima, il tipo di musicista che preferisco e che vorrei essere è un musicista che abbia un approccio poliedrico a questo mondo e che sappia adattarsi alle mille situazioni diverse. Ovviamente tutto ciò va fatto rimanendo fedeli a se stessi, senza piegarsi alle logiche del mercato. Preferisco suonare davanti a 20 persone che sappiano cosa stanno ascoltando piuttosto che suonare una musica in cui non mi riconosco davanti a 2000 persone. Ovviamente non sono un asceta e so che il contatto con il pubblico è fondamentale, chi produce qualcosa lo fa per farlo ascoltare, leggere o vedere.
Come definiresti la tua musica? Una volta un nostro amico comune mi disse “tu fai tutti suonetti da pazzo”. Devo dire che questa definizione mi è piaciuta molto, perché come accennavo prima, l’ironia e specialmente l’autoironia sono fondamentali
Articolo del
28/05/2017 -
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