Intorno al ’63-’64, nei locali alla periferia sud di Londra, a contendersi la palma di campioni del nuovo rhythm’n’blues indigeno selvaggio e coinvolgente c’erano due gruppi: uno era quello che poi è diventato la Best Rock’n’Roll Band in the World ™, l’altro erano i Pretty Things. Ancor più bizzarro è il fatto che Dick Taylor, chitarrista dei Pretty Things, fino a poco prima era stato il bassista del primo gruppo, da cui era fuoriuscito sia per riprendere gli studi, ma anche perché preferiva suonare la chitarra, e nella “Best Rock’n’Roll Band” eccetera, tale ruolo gli era precluso dalla (ingombrante) presenza del suo amico Keith Richards: col senno di poi, una decisione balorda che ha reso il buon Dick Taylor, nel corso degli anni, una sorta di “Pete Best dei Rolling Stones” (perché è di loro che ovviamente si sta parlando). Eppure nel ’64 gli Stones e i Pretty Things (che Taylor aveva poi messo in piedi insieme al vocalist Phil May) erano allo stesso livello. Solo successivamente, quando Jagger e Richards iniziarono a proporre brani scritti in proprio quali Satisfaction e Get Off Of My Clouda mentre i Pretty Things continuavano a eseguire le cover blues e soul degli esordi, la distanza tra le due band divenne eclatante. I Pretty Things rimasero al palo, spesso (erroneamente) considerati solo una delle tante proposte r’n’b inglesi dei primi anni Sessanta, e neanche la pubblicazione, nel 1967, della prima rock-opera 'S.F. Sorrow' (qualche mese prima di ‘Tommy’ degli Who) li fece tornare in auge come avrebbero meritato. Di loro si tornò a parlare solamente nel 1973, l’anno in cui un David Bowie all’apice della fama glam pubblicò ‘Pin Ups’, un LP contenente cover dei brani da lui preferiti durante la sua post-adolescenza. Tra questi, ce n’erano ben due dei Pretty Things: Rosalyn e Don’t Bring Me Down. Così, grazie a Bowie, da allora in poi Dick Taylor e Phil May ebbero quantomeno un ininterrotto flusso annuale di denaro assicurato. E tuttavia - e aldilà di ciò che avrebbe potuto essere (e non è stato) - quello dei Pretty Things è un nome storico, legato agli anni epici e irripetibili della British Invasion. Ho avuto la fortuna di fare una chiacchierata con Dick Taylor e Phil May alla vigilia di un tour europeo e questo è il resoconto.
Che novità ci sono per la band? Cos’è successo di recente?
(Dick Taylor) La cosa principale è che abbiamo fatto uscire un album che sta andando molto bene, ha avuto recensioni estremamente positive. Si intitola ‘The Sweet Pretty Things (Are In Bed Now Of Course)’, che chiaramente deriva da una canzone di Bob Dylan. Di conseguenza abbiamo fatto un sacco di concerti, in particolare nel momento in cui è uscito. Tanti concerti, un sacco di cose promozionali… E in generale [in questi due anni] abbiamo continuato a fare le solite cose: tanti tour… E abbiamo partecipato ad alcuni ottimi festival, in particolare in Germania. In questo momento – il motivo per cui io e Phil siamo insieme oggi – è che abbiamo iniziato a scrivere canzoni per il nostro prossimo album. Dovremmo entrare [presto] in sala d’incisione.
La band è sempre la stessa degli ultimi tempi?
(Dick Taylor) La band è la stessa, sì. E contiamo di mantenere questa stessa band finché sarà possibile. Speriamo che durerà a lungo. E’ un’incarnazione molto buona dei Pretty Things.
Un evento importante degli ultimi anni è stata la pubblicazione del vostro box set onnicomprensivo, ‘Bouquet From A Cloudy Sky’. E’ tutto, o ci sono altre cose negli archivi che potranno essere pubblicate in seguito?
(Dick Taylor) Mah, ci sono ancora un paio di pezzi che sono rimasti fuori e che potranno vedere la luce. Ma l’unica cosa che non siamo ancora riusciti a ripubblicare tra le nostre incisioni “ufficiali” sono i brani incisi sotto il moniker Electric Banana. Perché gli editori che li avevano pubblicati, la DeWolff Music, non ci vuole vendere i diritti delle canzoni. Quindi siamo un po’ bloccati al momento. Ma chissà, la speranza è che un giorno sarà possibile. E quello è un bel po’ di materiale…
Negli ultimi 20 anni è cresciuto l’interesse, anche da parte delle giovani generazioni, per le band del British Boom degli anni 60. Voi vi siete accorti di questo rinnovato interesse?
(Dick Taylor) Sì, hai perfettamente ragione. Il pubblico che abbiamo adesso è davvero bello, perché ci sono ovviamente i vecchi fans, ma in più c’è un sacco di gente giovane interessata alla musica dei Sixties. Incontriamo anche tante giovani band che nei nostri confronti mostrano una reverenza quasi imbarazzante. Ma è bellissimo, è davvero fantastico. Un sacco di gente che è influenzata dalla musica di quel periodo. E credo che uno dei vantaggi che abbiamo, è per via del fatto che non abbiamo mai davvero avuto un successo enorme. Per molti versi, per noi è una cosa positiva, perché quando la gente ascolta gli album, pensa: “Questo è davvero qualcosa di speciale…[…]” E oggi, credo che ci dia una sorta di vantaggio. E poi anche il fatto che il livello in cui facciamo i tour: siamo ancora accessibili perché suoniamo in club di piccole dimensioni, cosicché tanti giovani possono venire a vederci.
Sì, una delle cose belle di un concerto dei Pretty Things è che siete allo stesso tempo una band “storica” ma avete un rapporto molto stretto con il pubblico.
(Dick Taylor) Sì, penso che sia incredibilmente importante, perché… Comunque siamo tutte persone no? Perché non incontrare di persona la gente che ti viene a vedere? Perché no? Sono i nostri fans. Anche perché poi ritornano ai nostri concerti, e c’è sempre più gente.
I Pretty Things furono una delle poche band a effettuare in maniera convincente la transizione dall’epoca dell’R’n’B alla psichedelia, in particolare con gli album ‘Emotions’ e ‘SF Sorrow’. Non credi però che quei dischi non siano sufficientemente considerati?
(Dick Taylor) Molte persone vengono da noi e ci dicono: “Oh io ce l’ho, ‘SF Sorrow’…” E’ un album che hanno sentito in tanti. Sembra essere piuttosto ben conosciuto, adesso. In effetti, recentemente Phil e io abbiamo dato un’occhiata a alcuni pezzi [di quel disco] che saranno inseriti su un album compilation di “greatest hits” dei Pretty Things di prossima uscita. Sarà un “greatest hits” ma non rifletterà necessariamente le vendite dei dischi, ma più i pezzi che a noi piacciono davvero. Ed è molto interessante guardare al numero di “views” su Youtube dei nostri album. E ovviamente ‘SF Sorrow’ ha un numero enorme di “views” su Youtube. Ma anche gli album degli anni 70, come ‘Savage Eye’ e ‘Silk Torpedo’ hanno un sacco di “views”. Quindi stiamo faticosamente cercando di decidere quali canzoni inserire nell’album di “greatest hits” in questo momento.
Tra un annetto arriverà anche il 50° anniversario di ‘SF Sorrow’. State pensando a qualcosa di speciale per l’occasione?
(Dick Taylor) Sì, speriamo di farlo. In effetti abbiamo già fatto, qualche tempo fa, 4 o 5 concerti dedicati esclusivamente a ‘SF Sorrow’. E sono sempre andati molto bene. Quindi abbiamo già fatto delle ottime prove generali. Quindi sono sicuro che se qualcuno vuole fare una promozione del 50° anniversario, sono assolutamente sicuro che la faremo.
Una mia curiosità: non vi ha mai contattato nessuno per realizzare un musical, un film o qualcosa di simile da ‘SF Sorrow’ nel modo in cui è accaduto ad altri concept albums dell’epoca, come ‘Tommy’ o ‘Arthur’?
(Dick Taylor) A un certo punto è venuta da noi una ballerina classica canadese chiamata Lynn Seymour. Voleva realizzare un balletto sulla base di ‘SF Sorrow’, ma la cosa poi non è decollata. Sarà accaduto negli anni 80. Ricordo che siamo andati a casa sua con Phil. Lei era molto eccitata da questa idea, ma purtroppo non è venuto fuori nulla. Quindi, sì, siamo stati contattati, ma fino ad ora… Forse qualcuno per il 50° anniversario deciderà che è una buona idea.
Phil, puoi dire qualcosa su Pete Tolson, che è morto poco tempo fa e che è stato un importante membro dei Pretty Things negli anni 70?
(Phil May) Io sono stato davvero fortunato, perché ho suonato con due dei più originali e dotati chitarristi… Io li metterei nella top 3 o top 4. Credo che con Dick Taylor e Pete Tolson, ho suonato con due chitarristi davvero fantastici. E’ interessante che David Gilmour abbia detto che quando guarda Dick non riesce a capire quello che faccia sulla tastiera della chitarra e come lo faccia… E poi Pete Tolson, lui è stato uno degli Dei della Chitarra. Sono stato un privilegiato a suonare con questi due tipi, hanno portato qualcosa di unico che non era la tipica chitarra rock.
Attualmente con i Pretty Things suonate anche qualche canzone degli anni 70, dell’epoca in cui eravate sotto contratto con la Swan Song dei Led Zeppelin?
(Phil May) Facciamo qualcosa… Ma a me non piace particolarmente suonare le canzoni di ‘Parachute’, perché quello era una sorta di progetto a due tra me e Wally. E dato che Wally non c’è più… Facevamo Cries From The Midnight Circus, la facciamo ancora di tanto in tanto. Ma dato che Wally non c’è più, non è più la stessa cosa. (E non c’è più neanche John Povey). In realtà poi non facciamo nient’altro degli anni 70. Facevamo un paio di canzoni da ‘Cross Talk’… Ma le cose si sono evolute, sono arrivate nuove canzoni e altre sono state eliminate [dalla scaletta]. Di base, quando mettiamo in piedi la setlist, anche se cerchiamo di rappresentare tutti i 52 anni [di carriera] dobbiamo realizzare una setlist che funzioni nel complesso. Anche se sono canzoni di epoche differenti. La canzone successiva, anche se è stata registrata 20 anni prima, deve incrociarsi con quella che abbiamo appena suonato. E’ la prima considerazione, ritengo, piuttosto che cercare di rappresentare ogni aspetto dei nostri 52 anni. E’ per far funzionare il set, per quella sera, per la gente che sta di fronte a noi.
Una mia curiosità: guardandoti sul palco, ho notato una tua somiglianza nelle movenze con Mick Jagger. Chi ha imitato chi?
(Phil May) Non lo so… Credo che derivi dal fatto che entrambi abbiamo percorso la stessa strada come lead singer, osservando gente come Elvis…. Quel tipo di coreografia. Io non ho mai ballato sul palco, mi sono sempre mosso a tempo con la musica che stavo cantando. E Mick Jagger è la stessa cosa, per il fatto che interpretiamo le canzoni non solo con la voce ma anche con il corpo. Io non so ballare per niente! Anche fuori dal palco… Quindi quello che faccio è totalmente improvvisato. Io penso che Mick abbia cominciato allo stesso modo, ma adesso ha un palcoscenico così grande, e credo che debba fare anche qualche passo di danza, perché ha tutto quello spazio in cui deve fare su e giù. Ma credo che nessuno di noi abbia seguito l’idea che andava di moda quando abbiamo cominciato, di cosa doveva fare un cantante sul palco. Ci ispiravamo ai cantanti blues, che non facevano tutti questi balletti, il focus era sulla musica.
L’anno scorso abbiamo perso David Bowie, di cui tu eri stato molto amico negli anni 60. Quando è stato importante lui per la leggenda dei Pretty Things e quando, al contrario, voi siete stati importanti per lui?
(Phil May) Penso che David all’inizio seguisse non solo noi, ma un sacco delle band che provenivano dalla nostra scena. Con noi si è fatto le ossa e in una modalità “di seconda mano”, si è appassionato al blues attraverso le varie band che gli piacevano: probabilmente la Graham Bond Organization, gli Yardbirds… Ma quando David è decollato prendendo la sua strada, non credo che fosse più influenzato dai Pretty Things. Noi siamo stati solo il suo punto di partenza. E non credo che noi siamo stati influenzati da Bowie in seguito, perché eravamo quasi come due treni su binari differenti. Le nostre carriere ovvaimente sono state molto differenti. Ovviamente lui è stato incredibilmente importante per la scena musicale, ha realizzato dei dischi fantastici.
Voi apprezzaste le due cover dei Pretty Things fatte per ‘Pin Ups’?
(Phil May) Rosalyn e Don’t Bring Me Down. Sì, è stato un grande omaggio.
Negli anni 60 quando avete iniziato c’erano tantissime band nel vostro giro. Pensi che ci siano altri gruppi – oltre ai Pretty Things – che non hanno oggi la giusta considerazione e che bisognerebbe riscoprire?
(Phil May) A me piacevano molto gli Spooky Tooth. Hanno ottenuto anche un certo grado di successo. E mi sono sempre piaciuti i Soft Machine. E Robert Wyatt.
L’ultimo album ‘The Sweet Pretty Things (Are In Bed Now Of Course)’ è un ritorno al vostro suono dei Sixties, a metà tra l’epoca R’n’B e quella psichedelica. Anche il materiale su cui state lavorando adesso è nella stessa vena?
(Phil May) E’ difficile dirlo fino a quando… Sai, a volte proviamo le canzoni nello studio e risultano completamente diverse da come le avevamo pensate. E penso che sia molto importante, perché se io e Dick, qui, producessimo dei mix definitivi, quale sarebbe il punto di registrarle nuovamente? Deve esserci un fattore di evoluzione quando altre persone vengono coinvolte. Ovviamente il nostro produttore, Mark St. John, Jack, George e Frank. Loro danno il loro input e si spera che la cosa possa evolvere. Perché non siamo solo io e Dick, l’idea è di farlo con tutta la band e buttare giù qualcosa. Sì, noi facciamo dei bozzetti, tutti noi li facciamo, e alcuni di questi alla fine hanno una buona riuscita e altri no. Registrare [un disco] è così.
Gli anni 60 non se ne vogliono proprio andare eh? Come mai secondo te?
(Phil May) Penso che la risposta sia ovvia. E’ per via della qualità, basta che pensi al songwriting. Pensa – non so – a Carole King, e alle cose che sono uscite a quel tempo. E’ straordinaria. C’erano diversi filoni e tipi di strumentazione, influenze orientali e africane… E anche, pensa alle personalità. Oggi sono una specie di prodotto in serie, non mi pare che siano persone “reali”. Una come Dusty Springfield, oggi sarebbe messa al bando perché non era in linea… Non potrebbe mai essere modellata per diventare la “perfetta celebrità”. Quindi, probabilmente non riuscirebbe a fare i dischi che fece. La maggior parte della gente dei Sixties aveva nasi dalla forma strana, non perfetti. Però facevano della musica fantastica.
Voi registrate ancora come negli anni 60.
(Phil May) Registriamo live, anche se di solito io la voce la incido in seguito. Se capita che siamo tutti nella stessa stanza, io canto live ma poi devo ricantare perché nel mio microfono entrano troppi suoni. Ed è esattamente lo stesso modo in cui registravamo negli anni Sessanta.
Articolo del
07/04/2017 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|