I californiani Flamin’ Groovies sono una delle più amate cult bands di tutti i tempi, sia nella prima incarnazione “Sixties Garage” con Roy Loney alla voce che – soprattutto - nella seconda, dalle marcate influenze beatlesiane e stonesiane, caratterizzata dall’interazione vocale e strumentale tra il leader storico Cyril Jordan e il cantante/chitarrista Chris Wilson (sostituto di Loney). Dopo essersi sciolti negli anni Ottanta, di recente i Groovies sono tornati a esibirsi con tre membri originali della formazione Mk II (Jordan, Wilson e il bassista George Alexander): evento che ci ha fornito lo spunto per porgere qualche domanda a Chris Wilson, raggiunto telefonicamente a San Francisco durante una pausa dalle prove.
Come sei entrato a far parte dei Flamin’ Groovies, Chris?
E’ una lunga storia. Io vengo da Boston Massachussets USA, vengo dalla East Coast. Sono stato in bands fin da quando avevo 14 anni in Massachussets. Un mio amico andò a Hollywood nel 1971, alla fine degli anni 60, e mi ha detto: “Chrissie, quando hai la possibilità vieni sulla West Coast, perché lì faremo succedere qualcosa, sicuro…!” Perché Boston non era il centro dell’industria del disco, come a quei tempi era L.A.. Così’ un anno più tardi, nel 1971, sono andato a Hollywood a unirmi in una band con questi ragazzi… Erano in una band a Boston chiamata Prince & the Poppers… una fantastica pop band, questi ragazzi erano una grande band, avevano grandi canzoni. Il fatto è che essendo a Boston non c’erano tante case discografiche internazionali, non guadagnavano molti soldi… Ed è un peccato, perché erano una grande band. Ma eravamo solo ragazzini, eravamo teenager in quel periodo, capisci Francesco? Non sapevamo niente! Così, ad ogni modo, questi tipi sono andati a Hollywood, mi hanno detto, “Chris, raggiungici quando vuoi e faremo qualcosa insieme”.
E insomma, sei andato.
Certo! A gennaio del 1971 andai, presi un aereo con 200 dollari, la mia chitarra e una piccola valigia. Era la prima volta in tutta la mia vita nella West Coast: si stava sottozero a Boston, arrivo a Los Angeles dove ci sono 90 gradi con un’orribile atmosfera “marrone”, sai, lo smog era così tanto, uscivi fuori ed era come attaccarti a un tubo di scappamento di una Ferrari.. Comunque, con questi ragazzi non funzionò… Erano andati ai matti, prendevano troppo droghe e roba del genere. Ma un altro mio amico della band (era il bassista di Prince & The Poppers), Philip Tobuzzi, un tizio italiano, lui viveva a San Francisco, e lavorava qualche volta come autista per un altro amico di un’altra band del Massachussets che era il bassista dei Loose Gravel. E mi ha trasmesso il messaggio di questi tipi che gli hanno detto: “Trova Chris e facci parlare al telefono con lui”. Così, mi hanno telefonato al drugstore di Schwab (che era il posto dove andavano tutti, perché per 25 cents ti davano una tazza di caffè e potevi stare là per ore)… Insomma, è stata una coincidenza incredibile che abbiano scoperto dove mi trovavo… E mi hanno detto: “C’è una band a San Francisco chiamata Loose Gravel dove suona Mike Wilhelm dei Charlatans”… E io conoscevo i Charalatans, e ho pensato, “Mio dio, Mike Wilhelm!” E hanno detto: “Hanno bisogno di un cantante, e io so che tu, Chris, sei la persona giusta, so che puoi ricoprire questo ruolo”. E ho pensato: “Fico!” Hanno detto: “Guida fino al LAX, vai alla Pacific West Airlines, c’è un biglietto a tuo nome per San Francisco, Ti verrò a prendere io”. Ci siamo divertiti un sacco quella sera. Questi altri ragazzi (della band di Boston) poi sono proprio scomparsi nell’oscurità, non ci mai più parlato. E comunque: ho avuto un colloquio, un’audizione con Mike Wilhelm il giorno dopo. Era vestito in una maniera folle: aveva una lunga barba fino al petto, una tuta psichedelica verde, una giacca da motociclista tipo Hell’s Angels, stivalacci… Io mi sono detto: “Ma chi è ‘sto tipo?” Io a quel tempo ero un ragazzetto molto magro. […] Comunque: superai l’audizione e rimasi nei Loose Gravel per circa 8 mesi. Ma non riuscivamo più a lavorare perché Bill Graham aveva posto un veto sulla band. A lui non piacevano i Charlatans perché non erano come tutte le altre band come i Grateful Dead e inoltre non gli avevano mai leccato il culo. Così, avevamo perso tutto il lavoro e stavo sul punto di andarmene, per tornare alla East Coast. Facemmo un tour con i Flamin Groovies e Dan Hicks & The Hot Licks. Dan Hicks era stato il batterista dei Charlatans. Era: i Loose Gravel che aprivamo lo show e poi i Flamin Groovies e Dan Hicks (perché Dan aveva avuto un paio di grossi hit a quell’epoca). Eravamo tutti amici, era davvero divertente a quei tempi. Te ne potrei parlare per ore. Era un periodo fantastico per essere un musicista, ora quel cameratismo non c’è più ed è molto triste che sia così.
Quindi non sei più tornato a Boston…
No... dunque: stavo quasi per tornarmene a casa perché non riuscivo più a pagarmi l’affitto. Però Danny [Mihm], Cyril [Davies] e George [Alexander] vennero al mio appartamento e mi dissero: “Roy [Loney] ha lasciato la band e abbiamo sentito dire che tu stai lasciando i Loose Gravel”. E io ho detto: “Sì, perché non posso più continuare così”. E loro: “Ti piacerebbe… Ti stiamo offrendo di unirti ai Flamin Groovies come cantante”. Ho detto subito di sì!
Quello però era un brutto momento per i Flamin’ Groovies: senza più Roy Loney e senza un contratto discografico. Sì, e ci dissero che avevamo bisogno di realizzare un demo-tape per presentarci alle case discografiche. La nostra reazione è stata un po’… “Gesù Cristo, abbiamo già un certo repertorio…!” Ma forse perché io mi ero appena unito alla band.. Realizzammo una session ormai leggendaria nel salotto di Denny, che in seguito fu pubblicata dall’etichetta francese Skydog [con il titolo di GREASE, n.d.r.] Era il 1971, e la realizzammo nel salotto di casa di Danny [Mihm, il primo batterista, n.d.r.] vicino Ocean Beach a San Francisco. Ed era solo un registratore Akai a 4 tracce. Tutto dal vivo, tutto dal vivo, con 3 microfoni… tutto collegato a quei microfoni: le voci, le chitarre… Più dal vivo di così! Ci siamo divertiti come matti quel pomeriggio, era una splendida giornata mi ricordo… Comunque: quando poi abbiamo riascoltato tutto, siamo rimasti a bocca aperta. E a tutt’oggi, io penso ancora che siano alcune delle migliori registrazioni che i Flamin Groovies hanno mai fatto. Facciamo ancora dal vivo una delle canzoni, Let Me Rock, una canzone che io e Cyril [Jordan] avevamo appena scritto. E’ stata una delle primissime canzoni che abbiamo scritto insieme, dev’essere stato in agosto o settembre del 1971. E la facciamo ancora! Nonostante sia passato così tanto tempo…
Quel nastro lo utilizzaste per trovare il contratto con la United Artists?
Sì certo. Andammo alla United Artists perché lì c’era un tizio chiamato Andrew Lauder che era il capo dell’A&R per la UA a quel tempo. E lui era un grande executive, un pioniere, che ha fato firmare contratti a tantissimi grandi artisti, come gli Hawkwind e i Brinsley Schwarz. Era una persona molto influente. Cercò di farci firmare con la UA negli Stati Uniti, così scendemmo giù in macchina da San Francisco fino a Hollywood. Noi avevamo con noi questo nastro, GREASE, e, incontrammo questo tipo chiamato Morty Surf, che era il capo della A&R per la UA negli Stati Uniti. Arrivammo all’appuntamento con 5 minuti di ritardo e… entrammo e lui disse: “Ragazzi, siete in ritardo di 5 minuti: mettete su il vostro nastro!” Noi, mortificati, mettemmo il nastro…e dopo qualche minuto lui disse: “No no no! E’ troppo vago. Non capisco quello che cantate, non capisco quello che dite, è ancora troppo vago. Grazie lo stesso”. E noi: “Coosa? Vabbe’ amico, grazie anche a te e vaffanculo”.
Così poi nel ’72 andaste a incidere in Galles negli studi Rockfield con Dave Edmunds. E lì registraste tre delle vostre canzoni più famose: Slow Death, You Tore Me Down e Shake Some Action.
Sissignore. Il motivo fu che con Cyril, prima che io entrassi nei Flamin Groovies (ero ancora nei Loose Gravel) a volte ci incontravamo alla casa di un nostro amico a San Francisco, per sentire qualche disco nuovo. Eravamo un gruppo di musicisti, ci trovavamo insieme per fare, be’, le solite cose… ci bevevamo un po’ di buon vino, ci sniffavamo un po’ di roba buona, e ci dicevamo: “Hey, ascolta questi tizi, è un bel disco che ho appena sentito”… Perché eravamo musicisti! Eravamo tutti musicisti ed eravamo davvero interessati alle ultime uscite che potevano turn you on, capito? Perché a noi piaceva davvero tanto il rock and roll… e Dave [Edmunds, n.d.r.] aveva appena avuto un grosso hit nel 1970 con I Hear You Knocking. E restammo a bocca aperta quando scoprimmo che l’aveva realizzato tutto da solo, suonando ogni strumento e facendo sia da ingegnere del suono che da produttore. Ci dicemmo: “Porca vacca! Questo è un genio! Dobbiamo conoscere questo tipo…” E io avevo visto la band con cui suonava Dave, i Love Sculpture, tempo prima… Forse i Groovies avevano pure fatto un concerto con i Love Sculpture al Fillmore nel 67 o 68.
Una delle canzoni incise in Galles con Edmunds è Slow Death che in effetti però è di Roy Loney. Come mai?
Non è che Roy Loney ci ha “dato” quella canzone. Cyril aveva scritto quella canzone con Roy. Intendo dire, Roy non si era inventato quel favoloso riff di chitarra che poi, in effetti, è “tutta” la canzone. E credimi, quel riff è piuttosto unico. […] Roy non ha nemmeno scritto tutte le parole. Ha solo contribuito a parte del testo e all’atmosfera generale della canzone. Per parte mia ho modellato la mia performance vocale sul brano alla performance che avevo visto fare a lui. Io sono un tipo molto camaleontico. Posso prendere delle sfumature e riprodurle. Che è poi quello che ho cercato di fare con Slow Death. E penso di aver fatto un bel dannato lavoro…
In quei mesi nel Regno Unito suonaste spesso dal vivo. Addirittura, il 21 giugno di quell’anno faceste da support band per David Bowie e gli Spiders from Mars. Com’è stato?
Fu fantastico. Mi ricordo una recensione di quel concerto del New Musical Express, di una giornalista che naturalmente non era venuta per noi, era venuta per Bowie. E scrisse: “La prima band a suonare sono stati i Flamin’ Groovies, e sono stati assolutamente favolosi, mi sono piaciuti tantissimo. Anche se, ovviamente, ero venuta per vedere David”, ah ah ah … Quella sera conobbi il suo manager, Tony DeFries, e poi feci la conoscenza di Bowie. E devo dire che io pensavo di essere magro… ma Bowie era l’essere più magro che avessi mai visto. E la sua stretta di mano… era come tenere in mano un pesce morto. E i suoi occhi erano due cavità nere, come due pisciate sulla neve… La cosa buffa è che noi ci mettemmo a vedere il concerto dal lato del palco, e lui aveva questi due grossi roadies giamaicani, della sicurezza, che vennero da noi e ci dissero: “No no, Mister Bowie non vuole che ci sia nessuno a guardare ai lati del palco”. “Che cazzo amico, noi siamo nella band”. E loro: “Non fa differenza, non fa differenza”. E iniziano a spingerci fino a farci tornare al nostro camerino. E Danny Mihm il nostro batterista, un tipo robusto di Washington DC – a cui piaceva far casino – gli dice: “Hey ragazzi, tenete le mani a posto”. Ma noi l’abbiamo trattenuto: “No Danny, non vale la pena, stai tranquillo”. Così siamo tornati nel nostro camerino, e dopo un po’ abbiamo sentito quasi come un’esplosione di grida, era una di quelle canzoni in cui David faceva quei grandi crescendo… E Danny fa: “Fanculo, voglio andare a vedere”. Abbiamo aperto la porta, e avevano impilato delle sedie pieghevoli fin quasi alla cima della fottuta porta. Danny è andato e ha spinto via tutte queste sedie che sono volate fino a sopra il palco e … ha quasi ucciso il batterista! Ha colpito il batterista mentre stava suonando, Dio mio…! E comunque… I nostri fan erano lì, e noi avevamo fans più cattivi e più grossi [di quelli di Bowie]…
Però i due singoli pubblicati dalla UA [Married Woman e Slow Death] andarono male e voi tornaste a San Francisco con le pive nel sacco. A questo punto però ci fu l’incontro con Greg Shaw, il giornalista e discografico della Bomp Records, con cui pubblicaste il 45 giri You Tore Me Down. Lui è stato anche il vostro manager? Perché comunque è stato una figura importantissima per voi.
Hai davvero ragione a dire questo. Ma non solo per noi. Greg Shaw è stato basilare, e pienamente al centro della musica di quei giorni. Ed è stato importante per tantissime band. Greg era davvero un tipo favoloso, era un mio grande amico. Dio lo benedica, gli volevo davvero bene. E’ stato anche il nostro manager per circa un anno. A quell’epoca, a un certo punto si ammalò, e dovette calmarsi per un po’: era diabetico, e aveva anche qualche altro problema di salute. Ma Greg è stato un vero pioniere, e un vero eroe dedicato al rock and roll a ogni livello. Ci ha dato una grande opportunità: ha pubblicato un nostro singolo [You Tore Me Down su Bomp nel 1975, n.d.r.] che poi ci ha fatti notare da Seymour Stein della Sire Records. A quell’epoca Stein era coinvolto nella società di edizioni di Greg Shaw e Greg, ricordo, ci disse: “Voi, ragazzi, dovreste incidere per la Sire”. Così ci incontrammo con Seymour e, be’, Seymour era un grande fan di rock’n’roll… e anche un fan dei Flamin’ Groovies, a quanto pare. Il nostro incontro fu davvero divertentissimo, cosicché firmammo per la Sire Records, tipo il giorno dopo. Ma Greg è rimasto vicino a noi per alcuni anni. Comunque tipi come lui non restavano “fissi” con una band, perché gli piaceva prendere una giovane band in difficoltà e dargli una voce. E questo è quello che fatto per un sacco di anni. Greg era davvero una persona meravigliosa, davvero un tipo fico. La mia attuale ragazza, Lori, ha lavorato con Greg per molti anni. Era davvero una splendida persona, e ha reso un incredibile servizio alla causa del rock’n’roll.
Dopo aver firmato con la Sire, nel ’75 siete tornati al Rockfield dove avete realizzato SHAKE SOME ACTION. Un Lp leggendario soprattutto (ma non solo) per via della title-track, incisa peraltro tre anni prima. Come mai era rimasta nel cassetto tutto questo tempo? Forse perché aspettavate di trovare una “vera” etichetta con una buona distribuzione?
No, non fu una decisione conscia. E’ stato solo che quando abbiamo avuto la possibilità di pubblicare un album, abbiamo pensato: “Nessuno ha mai ascoltato questa canzone, a parte qualcuno [ai concerti del 72] in Inghilterra, e qualche collezionista negli States. Facciamo conoscere questa canzone!”
Stai dicendo che non avevate realizzato che Shake Some Action fosse un tale capolavoro? E’ stata una delle più grandi – forse 10 – canzoni degli anni 70 e voi non ve ne eravate accorti?
Ti ringrazio tantissimo per quello che dici. Mi piace sentire queste cose, voglio dire, io adoro quella canzone. Ma se ripenso alla sera in cui l’abbiamo scritta… mi pare che l’abbiamo scritta al Rockfield [nel ‘72] in questa fattoria favolosa in mezzo al nulla, inebriati da whisky ed erba. Io non avrei mai pensato allora… Quando noi scriviamo canzoni – come la maggior parte dei musicisti che conosco, e tutti i maggiori musicisti di questo secolo – non pensiamo a quello che il futuro può portare. Si tratta del tuo “bambino”, è quello che cerchi di proporre al tuo pubblico per trasmettere il tuo punto di vista sull’amore, sulla perdita, sulla favolosa frenesia del rock’n’roll, e poi l’energia, la celebrazione, ma anche la il senso di perdita e la più tremenda depressione…. E’ tutto quello che è, comprende tutte queste cose. E comunque la maggior parte dei musicisti che conosco, i miei amici songwriters – ne conosco tanti anche importanti, ho incontrato tanti pezzi grossi – tu fai quello che fai, nella speranza che … Come diceva mio padre: è come gettare spaghetti contro il ventilatore, nella speranza che qualcosa resti attaccato al muro.
Purtroppo per i Groovies, però, non eravate molto in sintonia con i tempi. I vostri tre Lp di quegli anni (SHAKE SOME ACTION, NOW e JUMPIN’ IN THE NIGHT) per quanto di altissimo livello, avevano un suono Sixties mentre in tutto il mondo si stava diffondendo il Punk.
Be’, aspetta un attimo: qualcuno ci ha definito i “padrini del Punk”, allo stesso livello degli Stooges! Ah ah ah… A parte gli scherzi, noi non abbiamo mai voluto essere altro che una band a cui piace suonare. A differenza di molte di queste band punk, con cui mi è capitato di esibirci nel corso degli anni. Non farò i loro nomi, perché in genere i loro nomi sono citati più del nostro. Ma noi abbiamo conosciuto questi tizi quando erano dei ragazzini mezzi incasinati. Non sto parlando di gente inglese, sto parlando di musicisti americani. Non posso parlare per tutti quelli che sono in una band, ma… Devi saper suonare per essere un musicista professionista. Ovvero: devi passare ore e ore a imparare il tuo strumento, e devi affinare il tuo lato creativo. Devi imparare a cantare bene, capire come ottenere un equilibrio.
E oggi? Ci puoi dire qualcosa della nuova formazione dei Flamin’ Groovies?
La formazione è composta da me e da Cyril Jordan, poi ci sarà George Alexander, il bassista originale. Come sai, Cyril e George sono stati i due membri fondatori della band, anche prima che arrivassero Roy Loney e Jimmy e tutti gli altri. Alla batteria c’è Vincent Penalosa, un nostro amico di San Diego, che in precedenza ha suonato nella band di Cyril, The Magic Christian. Per quanto riguarda la setlist, mah, per esempio qui [in America] facciamo alcuni show in cui suoniamo nella sua interezza l’album SHAKE SOME ACTION. Sembra lungo, ma in realtà sono solo 45 minuti di musica in totale. Abbiamo anche delle nuove canzoni che potremmo incorporare nel set. Faranno parte del nuovo album che speriamo di far uscire [prima o poi].
State registrando adesso?
Sì, abbiamo inciso 6 pezzi. Io ho vissuto in Inghilterra, a Londra, per trent’anni [dove ha fatto parte anche dei Barracudas, ndr], ma adesso sono tornato negli States, dalla mia ragazza Lori, che vive in Oregon vicino Portland. Magnifico posto, se ti piacciono sia le montagne che il mare.
E avete anche un film in ballo, giusto? “The Incredible Flamin' Groovies Movie”…
Sì, si tratta di un documentario sulla band. Lo stanno preparando due film-maker di New York, William Tyler-Smith e Kurt Feldhun, due ragazzi di Brooklyn. Sono stati insieme a noi per gli ultimi due anni, on the road, nelle nostre case, in varie parti del Regno Unito. C’è un programma Kickstarter su Internet. Sarà un film isterico, e ci sono ore e ore di concerti, più di 5 ore… che loro hanno religiosamente filmato. Ci farà apparire con tutti i nostri pregi e difetti.
Articolo del
14/02/2017 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|