Incontri Dente a un bar e lo riconosci per la folta capigliatura ma, soprattutto, lo riconosci subito dai modi rilassati e scanzonati, tali e quali a quelli che riproduce nella sua musica. L’occasione è l’uscita del suo nuovo album, 'Canzoni per Metà', un nuovo capitolo della saga creativa del cantautore di Fidenza. Un disco fatto tutto “da solo”, un altro modo di fare le cose dopo alcuni anni passati insieme ad altri compagni di ventura. 'Canzoni per Metà' è un “libro musicale” di racconti brevi e una sfida al linguaggio tradizionale della musica italiana. Dente, da tempo in giro con il suo tour, ci ha raccontato i dettagli di questa nuova avventura.
Dopo “Almanacco del giorno prima” hai fatto con CANZONI PER METÀ una bella giravolta… Come mai dopo un disco molto arrangiato – corposo – hai voluto farne uno più scarno e minimalista?
Volevo fare un disco fatto in casa. E quindi, volevo fare un disco da solo, suonarlo tutto io, e registrarlo in casa. E l’ho fatto, che è questo disco qua, che è uscito. Però riascoltandolo non mi piaceva tanto, era troppo lo-fi diciamo. Io in casa non è che ho uno studio di registrazione, ho proprio le cose minime per registrare dei demo. Come operazione era un po’ troppo esagerata. E quindi sono andato al 360 Music Factory che è uno studio di Livorno, si trova sopra al Teatro delle Commedie di Livorno, e l’ho registrato con Andrea Appino degli Zen Circus. Mi ha fatto proprio il “tecnico registratore”, quindi esattamente come lo volevo fare
Hai cambiato anche approccio discografico? Diciamo che l’ALMANACCO è uscito con casa discografica Sony, e questo invece esce con distribuzione Sony. Alla fine… è la stessa cosa. Fondamentalmente la Sony non ha messo il becco sulle questioni artistiche. La cosa che mi fa molto ridere – e che mi fa incazzare, contemporaneamente – è che molta gente in questo Paese guarda prima le etichette che ci sono sui dischi e poi ascolta le canzoni. Invece dovrebbe essere il contrario. E quindi dicono: ah, sì…. Mi ricordo quando è uscito l’altro disco, l’ALMANACCO, che dicevano: “eh sì, adesso ha fatto questo singolo che passa in radio, chissà Sony cosa gli ha detto di fare, gli avrà sicuramente cambiato le cose, adesso non mi piace più Dente perché è diventato commerciale”. Quel disco l’ho realizzato io in campagna. L’ho fatto con chi volevo io, come volevo io. Poi loro l’hanno semplicemente preso e hanno fato la promozione e la distribuzione. E anche questo disco l’ho fatto esattamente allo stesso modo. Cioè: sono andato in un posto come volevo io…
Cioè totalmente indipendente?
No no, lo volevo poi distribuito da Sony. Perché la distribuzione major comunque è importante: senza quella lì non arrivi ….cioè, non arrivi nei negozi.. Avere una distribuzione forte è fondamentale.
Quando fai i pezzi come li registri in demo?
Ho uno studiolo in casa, ho due microfoni e un po’ di strumenti… Però l’unica idea che è rimasta tra l’idea di farlo in casa e quella di farlo in studio, è che ho suonato tutto io. Quindi anche in studio mi sono trovato a dire: ok lo voglio suonare tutto io questo disco. Però in studio, a differenza di casa mia, c’erano un sacco di cose. C’erano le batterie… insomma, c’era un sacco di roba con cui giocare. E quindi, ho giocato con un sacco di roba in più. Ed è uscito questo disco.
In questa formula “cantautore solitario” ti sei sentito più libero rispetto al gruppo?
No, devo dire di no. E’ un’altra modalità, semplicemente un altro modo di fare le cose. Gli altri dischi, per esempio, quando avevo fatto i demo dell’ALMANACCO, li avevo fatti già arrangiati. Mi ricordo Invece tu, che poi è stato il singolo dell’ALMANACCO, quando ho fatto il demo a casa, è praticamente uguale identico alla versione che poi è uscita. Semplicemente con gli strumenti “finti” perché l’avevo fatto a casa, e l’ho arrangiata così. Alcuni pezzi li avevo lasciati, nei demo, più liberi, magari chitarra e voce, e ho detto: poi li arrangiamo insieme con la band. Questa volta invece li ho arrangiati tutti da solo con l’idea di suonare poi tutto da solo.
Il libro che hai pubblicato per Bompiani, Favole per bambini molto stanchi, ti ha dato un po’ più di sicurezza a lanciarti in un’operazione di questo tipo? Perché poi il libro è andato anche bene…
E’ andato benissimo. Meglio dei dischi, devo dire. Ha venduto più dei dischi. Probabilmente mi ha un po’ legittimato a fare una scelta di questo tipo. Perché non lo voleva pubblicare nessuno quel libro. Tutti dicevano: è un libro strano, è un libro che non sappiamo dove mettere…. Non è poesia, non è narrativa, non è un libro per bambini, che roba è? Non si capisce cos’è… Quindi tutti gli editori erano molto titubanti. Dicevano: no, è bello, però non sappiamo dove metterlo, grazie… Scrivi un romanzo, per piacere, e il romanzo te lo pubblichiamo, qualsiasi romanzo sia. E’ una ruffianata, è l’utilizzo del nome per pubblicare qualche cosa… Però io invece volevo pubblicare questo libro. E Bompiani l’ha pubblicato, e ha funzionato molto bene. Quindi mi sono anche detto: vuoi vedere che quando faccio le cose come dico io, e le cose che faccio io senza pensare a dover fare un romanzo per essere pubblicato – perché loro vogliono un romanzo – ma io invece voglio fare le favole corte, e poi funzionano. E quindi: vuoi vedere che quando faccio di testa mia magari le cose funzionano. E quindi forse mi ha legittimato anche a fare un disco di questo tipo dove c’è molta testa mia, diciamo tutta testa mia.
Che percentuale di “esperienza autobiografica” in quello che succede nei tuoi testi?
Eh, direi il 98 per cento. Cose pensate e cose successe. Poi, il 2 per cento che manca, sono l’obbligo di fare delle rime, a volte. (ride) E le congiunzioni.
Questa storia che “i cantautori non vendono più”? Nel 2016 è difficile, anche sul piano esistenziale-monetario, essere un cantautore?
E’ difficile perché ci continuano a paragonare a quelli degli anni 70. E quindi è difficile tenere il confronto con questa gente. Ma non artisticamente parlando. Sono un po’ stanco di quelli che dicono: sì bravo, però De Andrè… sì bravi, però De Gregori… Allora: i cantautori degli anni 70 hanno lasciato sicuramente un patrimonio incredibile nella storia della musica italiana. Però son passati 40 anni e il nostro Paese è completamente diverso da 40 anni fa. E quindi, non ha nessun senso secondo me fare dei paragoni tra quello che scrivevano loro – che vivevano il loro tempo – e quello che scriviamo noi – che viviamo il nostro tempo. Cioè: non possiamo parlare come parlavano loro. Perché negli anni 70 si parlava anche al bar in modo diverso da come si parla oggi al bar. I tempi son cambiati. In mezzo c’è Internet, che è una cosa che non esisteva. Ci sono i telefoni cellulari… Siamo nella fantascienza degli anni 70 noi oggi. Quello che noi viviamo quotidianamente, negli anni 70 era fantascienza. Quindi: basta con ‘sta cosa. Poi quella canzone lì (Canzoncina) è stata molto travisata, di questo disco. Tutti quanti mi dicono: ah, i cantautori non vendono più… E’ molto ironica, c’è molta gente che non coglie l’ironia. Poi fra l’altro, è anche la citazione di una canzone di Willie Nelson – Sad Songs And Waltzes - non è manco mia. Proprio il testo di Willie Nelson. Lui dice esattamente quello che dico fino a quel punto. E poi dice: “non ti preoccupare perché non la sentirà nessuno, perché le canzoni tristi e i valzer quest’anno non vendono”.
Hai allargato i tuoi ascolti al Country?
Eh ma non so che cos’è, forse gli ascolti che ho fatto. Ma non so… Io tra l’altro ho fatto anche un periodo di grandissimo ascolto country. E’ il genere che mi ha fatto comprare il primo strumento musicale quando ero piccolo. Ho insistito con mia mamma perché mi comprasse un banjo dopo aver ascoltato un disco della Nitty Gritty Dirt Band, UNCLE CHARLIE AND HIS DOG TEDDY, che è un disco bellissimo. E c’è un sacco di banjo, quindi io m’ero imtrippato col banjo….Chiaramente poi l’ho abbandonato.
Tornando al discorso su come si sostiene un artista oggi: una volta mi hai raccontato che il tuo punto di svolta è stato quando hai firmato un contratto di edizioni con la EMI.
Quella volta l’editore mi aveva semplicemente salvato la vita, perché non ci avevo un soldo in tasca, e lui mi aveva pagato le edizioni, che per me è una roba incredibile, il fatto che qualcuno mi desse dei soldi perché avevo scritto delle canzoni. E ovviamente non è una cosa che mi ha slavato la vita, è una cosa che mi ha permesso di sopravvivere per altri mesi… Ero veramente con le pezze al culo, quindi arrivano questi e mi danno dei soldi per le edizioni – che non sapevo nemmeno bene che cosa fossero le edizioni – quindi mi son preso sti soldi pechè ci avevo i debiti… Mi hanno salvato la vita.
Però è stata l’entrata in un circuito professionale, anche.
No, non so quanto sia contato sull’entrata in un circuito professionale. Forse sì, forse il fatto di essere considerato da questa gente, ti fa pensare di essere in un ambito professionale,forse ti senti un professionista. Non lo so… Però non è che mi sento un professionista perché la EMI mi ha bonificato dei soldi.
Comunque la voce più consistente delle entrate sono sempre i tour.
Sì, quello lì sì. Perché i dischi come si diceva, non si vendono più, e che è una grande verità. Perché comunque con 3000 copie vai primo in classifica, che è una tristezza. Tutte le volte che pubblico un disco, la prima settimana di uscita, che è quella dove vendi di più, sono sempre meno quello venduti. Anche se arrivi nelle alte, Top 10, comunque hai venduto poco. Perché magari uno arriva in Top 10 vendendo 800 copie oggi come oggi. C’è una tristezza inenarrabile. Gente che esce da Sanremo, per una settimana vende 1500 copie. La settimana diopo Sanremo. Il disco fisico sta morendo, e lo sappiamo. E nel giro di 4-5 anni non lo stamperemo neanche più. Oggi è un oggetto, chè la gente si ascolta la musica sul computer – che non hanno più i lettori Cd tra l’altro – quindi si ascoltano la musica sui computer tramite Spotify o iTunes – e poi si comprano i dischi per avere la firma sul disco, per avere il disco a casa, per vederlo, per vedere il libretto. Perché è un “oggetto d’arte” diciamo. Il vinile infatti in questo senso è diventato più figo, perché è un oggetto d’arte vero.
Le percentuali di Spotify?
Sono infime. A meno che tu non fai 10, 15, 20 milioni di ascolti di ogni brano, allora puoi pensare che stai guadagnando dei soldi. Ma se ne fai anche 1 milione, come ho fatto io, no. Non hai proprio… Non è una cosa che ti può far dire: ok, sto facendo i soldi con la musica. L’unica cosa che resta sono i concerti.
A proposito, ora hai una nuova band.
Sono i Plastic Made Sofa. Ho cambiato tutta la band e ho preso questi ragazzi che sono una band già esistente, di Bergamo. Fanno tutt’altro, loro, perché fanno del rock psichedelico in inglese molto bello. E così, io ho cercato un pochettino – avendo chiuso, temporaneamente o non so – con la mia band precedente per via di impegni diversi, quindi abbiamo deciso di non suonare più in questo tour – ho cercato un po’ di band in giro… Volevo una band già esistente di modo che si conoscessero già, che fossero già affiatati…
Della scena attuale c’è qualcosa che ti è piaciuto?
Quello di Niccolò Fabi non l’ho ancora sentito, però mi hanno detto tutti che è bellissimo. La nuova onda romana devo dire che mi piace: Calcutta, Motta… Colapesce mi piace, anche Di Martino mi piace molto. Tutti questi mi piacciono. Fanno cose secondo me di valore.Mi piace moltissimo Massaroni Pianoforti che è un cantautore del nord. Deve uscire un disco a breve. Massaroni voleva che gli producessi il disco ma poi non ce l’ho fatta perché stavo registrando il mio.
La tua etichetta, Pastiglie, potrà essere il marchio per altri artisti oltre a Dente?
No. Non credo proprio. Per adesso è solamente mia. Massaroni Pianoforti te lo consiglio, è molto bravo. Lui è di Voghera. Ha aperto anche un po’ di miei concerti e credo che ne aprirà anche di questi nuovi che faccio. E’ molto molto bravo. Niccolò Carnesi ha fatto un disco bellissimo, molto molto bello. Insomma, credo che tutta questa gente faccia delle cose molto belle.
Ti piacerebbe di più vincere il Tenco o avere un “tormentone” – un “classico”, diciamo?
Forse mi piacerebbe di più vincere il Tenco. Mah, dal ’75 in poi i “tormentoni” non si ricordano più. I tormentoni degli anni 60 ce li ricordioamo ancora ogg. Il tormentone del 2003 nessuno si ricorda qual è. Quindi: mi piacerebbe fare una canzone che resta nella storia, certo. Mi piacerebbe. Ma un tormentone che se ne va in un’estate..
Senti, a proposito di operazioni: quella di Curriculum, spezzettato su Facebook, la rifaresti?
Non la rifarei perché l‘ho già fatta. Comunque sì sì, è molto bella, ha funzionato, ha funzionato di brutto. Quel pezzo lì fatto 13 volte, è stata molto figa quella cosa.
Idea tua?
Mia e di Francesco Imperato che è il regista, che mi ha seguito poi a fare tutta la cosa. E’ un po’ difficile capire che video fare di una canzone che dura un minuto, ma ci siamo inventati questa cosa qua che ha funzionato… e credo che non l’avesse fatta mai nessuno prima. Con il lancio di un singolo in diretta. Sappiate che quando i vari Vasco Rossi, Jovanotti, Ligabue, lo faranno, il primo l’ho fatto io. Ricordatevi di dirlo (ride, ndr).
I singoli li scegli tu?
Sì, io sono la mia etichetta discografica. Io ho come referente me stesso, che è una cosa meravigliosa.
Articolo del
10/02/2017 -
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