Ciao Orlando; ho letto che nel 2012 hai già percorso il Cammino di Santiago per rispondere ad una domanda non semplice: quante crisi personali ci sono dentro una Crisi Globale? Hai trovato una risposta? Questa fu la mia domanda di partenza ma ovviamente non aveva un interesse statistico o numerico (quante sono? Decine? Centinaia? Migliaia?) ma qualitativo. Ero certo di trovare delle crisi personali, ma che qualità avessero queste crisi personali ero curioso di vederlo, di testimoniarlo. Quali storie avevano alle spalle? Cosa dicevano di noi tutti, della nostra epoca? Beh, in quel viaggio ho incontrato crisi terribilmente comuni a crisi del tutto eccezionali con incredibili vicende personali alle spalle, ma tutte avevano un minimo comune denominatore: un’intensità che viene dalla messa in gioco e del denudamento di se’. La risposta poteva già stare lì, ho poi compreso. Nel fatto stesso di affrontare la crisi camminando. Perché in fin dei conti, un legame antico e strettissimo unisce l’individuo sulla strada all’azione salvifica: dalla produzione di senso simbolico, alle relazioni, all’orientamento, all’economia di vita, alla cosmogonia, come ci ha insegnato Le vie dei canti di Chatwin. In ogni caso, tantissimi pezzetti di quelle crisi personali hanno finito per comporre le canzoni del mio From Orlando to Santiago.
Come si esce individualmente da una crisi globale? Credo che il punto non sia uscirne: impossibile per definizione, essendo questa crisi “globale”, quanto piuttosto il fatto di non chiudersi all’angolo come un pugile. Ma quando ci si chiude nell’angolo? Quando non si vedono o non si immaginano alternative. Per me la crisi si può ridimensionare solo a patto di ricreare delle comunità, quali che siano: visibili o invisibili, strutturate o destrutturate, solide o liquide.
Dopo quattro anni sei tornato su quelle strade; cosa ti ha spinto a rivivere la medesima esperienza? Beh, non si è trattato affatto della medesima esperienza. Il viaggio del 2012 fu una ricerca artistica. Che cosa cercavo? Prima di tutto ispirazione. Volevo spostarmi dalla mia crisi personale, sorvolarla e osservare dall’alto quelle di tutti gli altri che si erano messi in Cammino, come me, per interrogarsi e possibilmente risolversi. E differenti sono state le modalità: nel 2012 mi feci viandante tra i viandanti, lungo 800 km a piedi e 40 giorni di Cammino. Parliamo proprio di un’esperienza antropologica, senza esagerare. Un tipo di esistenza che inevitabilmente ti cambia. Invece quello appena passato è stato un tour promozionale e sentimentale, per riportare l’album su quella rotta per Compostela che l’ha visto nascere. La particolarità di questo nuovo viaggio è stata che tutta la tournée si è basata sulla Sharing Economy (BlaBlaCar per spostarsi e Couchsurfing per la logistica). Da lì il nome “From Orlando to Santiago – Sharing Tour”.
Quali differenze motivazionali ci sono tra un concerto in un club o in un teatro rispetto ad un concerto nelle case private? Le motivazioni possono essere anche le stesse, ma ciò che davvero segna la differenza sono le condizioni ambientali in cui performer e pubblico si trovano insieme. Club, teatro, case o appartamenti sono contesti completamente diversi che cambiano la natura di ciò che si fa. L’ambiente plasma il contenuto quasi al pari dell’artista. Venendo al mio caso, quando ho progettato questo Sharing Tour c’erano alcune questioni per me chiarissime. La prima era che lo stesso Cammino di Santiago, la più incredibile e trasversale esperienza di sharing economy, doveva essere condiviso in maniera conviviale e intima. Questo tour promozionale doveva avere un marcato accento di condivisione. Doveva passare in secondo piano il fatto che, in fin dei conti, portassi all’attenzione un prodotto. Mentre in primo piano doveva emergere un’esperienza, la sua trasmissione e la condivisione tra me e il pubblico. E quale contesto migliore delle case private, in cui poter suonare senza orpelli, senza amplificazione, senza veli e con gli spettatori a pochi centimetri?
Come veniva scelta la scaletta da eseguire sera per sera? Tutto il concerto era strutturato a partire da parole-chiave – tipo hashtag - scritte su bigliettini che finivano nelle mani del pubblico. Ogni biglietto con una parola diversa, scritta in francese quando suonavo in Francia e in spagnolo quando suonavo in Spagna. Ogni parola scandagliava un aspetto del Cammino. Perché è lì che ti misuri con temi come #vocazione #chiseitu #lastrada #radici. Ad ogni parola corrispondeva una canzone diversa e qualche racconto. Dunque la riposta alla tua domanda è che ogni sera veniva fuori una scaletta differente (e quasi irripetibile).
Quante persone mediamente partecipavano all’evento? Dalle 6-8 alle 25-30 persone.
Immagino che la maggior parte degli spettatori non conoscessero le tue canzoni. Qual’è stata la reazione generale ad uno spettacolo di questo tipo? Proprio per il giochino di cui sopra, il pubblico ha sperimentato un’identificazione e una curiosità incredibili. Se ci pensi è un meccanismo simile a quello dell’I Ching. Voglio dire, la parola-chiave che ti toccherà in sorte potrebbe essere molto significativa per te spettatore. E ti assicuro che quasi sempre è stato così. Ho visto reazioni davvero sorprendenti.
Secondo te l’house concert ha un futuro? Mi sembra in atto un’uscita della musica dai suoi contesti abituali, sia in termini di produzione che di consumo. Ancor più che una strategia di sopravvivenza è proprio una questione evolutiva. In un momento in cui la musica non ha più nessun ruolo e nessun centralità, ciò che conta è veicolare contenuti musicali attraverso media/contesti/forme che non sono più quelli strettamente e formalmente musicali.
Quante persone si riescono a raggiungere in un tour come il tuo di dodici date? Chiaramente il potenziale di persone raggiungibili è molto più basso che quello della rete. Però ti porto il mio esempio (che non è detto possa valere per altri): il successo dello Sharing tour e della formula-concerto cui ti accennavo prima è stato tale che molti spettatori ne hanno parlato ad amici, conoscenti, organizzatori e ora credo che dovrò trovare un periodo per rimettermi sulla strada. Magari con uno Sharing Tour 2017.
Quali sono le differenze dell’approccio italiano rispetto a quello dei francesi o degli spagnoli? Mediamente all’estero ci sono più curiosità e rispetto. Più abitudine al consumo culturale anche nei termini di un piccolo concerto di un cantautore sconosciuto.
Hai in programma un altro tour come questo? Oppure un tour più “classico” nei club o nei teatri? Uscite più istituzionali ne ho già fatte nel 2015: club, circoli arci, teatri, festival. Quel che è certo è che in occasione della pubblicazione nell’anno nuovo del mio libro, ultimo tassello del progetto From Orlando to Santiago, tornerò in tour.
Recentissimamente è morto Dario Fo e hanno conferito il premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan; come commenteresti questi due fatti geograficamente lontani ma emotivamente legati tra loro? Sono entrambi ALFABETO se non del contemporaneo almeno del ’900 ed è per questo che sono stati insigniti di un premio che non deve essere letto come premio letterario tout court, come lo Strega, il Goncourt etc. Quando il tuo linguaggio “diventa” letteratura (pensiamo al Mistero Buffo) non solo in termini bibliografici ma anche in termini di immaginario condiviso, allora vuol dire che vale più di centinaia di brillanti romanzi. Per dirla con David Gray, Dylan poi è come i Beatles o la Tour Eiffel. Sono talmente grandi che non li vedi neanche più.
Articolo del
18/10/2016 -
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