Una vita di viaggi mai realmente programmati, disavventure che lo hanno segnato a fondo, momenti in cui l'unica ancora di salvezza era la musica. Cosi Robin Proper-Sheppard parla di sé senza filtri, con una grande voglia di raccontarsi. Venerdì 6 Maggio 2016 al Covo di Bologna si è tenuto il concerto dei Sophia per la presentazione del nuovo disco; prima dello show abbiamo incontrato Robin Proper-Sheppard per una breve intervista. Ci ha accolti con molta disponibilità e una particolare voglia di affrontare i momenti positivi e quelli negativi della sua vita che lo hanno visibilmente commosso.
Buonasera Robin; vorrei subito chiederti perchè hai chiamato il tuo progetto musicale ‘’Sophia’’?
E’ il nome di un personaggio femminile di un film americano: in greco vuol dire “conoscenza” e ho pensato “che bella parola, c’è qualcosa di romantico”. Volevo trovare una parola altrettanto bella che significasse “non sapere” come nome della band ma il nome sarebbe stato orribile, così ho optato per Sophia, usandola come ironia del fatto che ci sono tante cose che non conosco.
Tutti qui sogniamo la California: tu hai fatto la scelta di vivere in Belgio. Perché ami l’Europa?
Non so se conoscete la prima storia dei God Machine; venimmo in Europa per lavorare con la band Happy Mondays come roadie ma il progetto non funzionò. Dovevamo fare solo un tour e poi tornare in America ma a Londra abbiamo avuto dei disguidi che ci impedirono di tornare a casa. Nel frattempo nacquero i God Machine e firmammo per la Fiction. Così rimanemmo nella capitale inglese. Poi la tragedia che penso conosciate: il bassista Jimmy Fernandez è morto e il progetto God Machine si è concluso. Sempre a Londra ho conosciuto la mamma di mia figlia. Non fu una scelta progettata quella di rimanere. Il colmo è che adesso non posso stare in Europa perché non ho il visto lavorativo, e dopo 16 anni sono dovuto tornare in California (da qui è nato l’omonimo brano dell’ultimo album). Quando sono tornato in America, però, non mi sono sentito a casa. Il legame che sentivo da lontano è scomparso quando sono arrivato: la mentalità, le usanze erano totalmente differenti dalle mie e non mi appartenevano più. Mi ha reso triste questo. Finito il tour di quest’anno, non posso fermarmi qui; penso che andrò in Marocco a fare surf perché non voglio tornare in casa.
Come nascono le tue canzoni?
Tra me e la mia chitarra, il computer e i miei strumenti. Le idee non mi vengono da fuori in quanto, viaggiando sempre, non conosco mai veramente ciò che mi circonda. Ciò che scrivo viene dalle mie emozioni e da quello che provo. Quando si viaggia tanto, come faccio io, si ha tantissimo tempo per riflettere e meditare sulle cose; io parlo dei miei pensieri.
E’ una band filosofica la tua, insomma...
Certo! Anche se i miei brani a volte sono molto semplici per essere considerati filosofici. Sono brani essenziali. Il contesto emozionale è fondamentale. Per questo, penso, di essere una persona adatta a viaggiare; non ho bisogno di una casa. Vivo nella vita!
In “There Are No Goodbyes” canti:
And tuck me away into your silence Where I will sleep Safe in the secrets that bind us
(Portami nel tuo silenzio, dove dormirò: salvo dai segreti che ci rendono ciechi)
Quanto è importante per una Rockstar il silenzio?
Spendo tanto tempo da solo, non sono mai a mio agio nel rumore. Sono cresciuto in California. A 12–13 anni avevo una vita da rocker. Ho smesso quando ne avevo 18. Il silenzio è davvero importante per me.
[ndr - Qui Robin si emoziona, e con la voce rotta e gli occhi lucidi ci racconta commosso come è nato l’album There Are No Goodbyes]
In quella canzone questi versi (e tutto l’album) parlano di una ragazza e questa è una delle mie strofe preferite. Parlare di “There Are No Goodbyes” mi emoziona sempre tanto e non so quanto abbia voglia di ricordare. Comunque era una riflessione su come mi sentivo io con questa persona che aveva la capacità di confinarmi in un silenzio dal quale non riuscivo a sfuggire.
Quando ho comprato il primo album dei Sophia, ho pensato: “Robin ha lasciato il rumore del rock, carattere principale dei God Machine, e la forza della chitarra elettrica ma il potere delle canzoni è lo stesso”. Il rumore non c’è più, ma i pezzi sono oscuri, intensi.
Non ho davvero deciso di smettere con le chitarre, ma è semplicemente successo. Così come il progetto Sophia. Non ho mai programmato veramente niente. All’inizio non vendevo molto. Nel primo tour dei Sophia venivano i fans del mio precedente gruppo e rimanevano delusi. Il primo tour fece sold-out, il secondo fu un fiasco ma c’erano nuove persone ad ascoltare Sophia, non più i vecchi ascoltatori dei God Machine. C’è voluto un po’ di tempo, ma penso che le persone abbiano accettato il mio nuovo stile. Ci sono fans che mi accompagnano da sempre, che non criticano come le cose vengono fatte ma accettano e abbracciano il fatto che è ciò che fa Robin Proper-Sheppard e penso di essere molto fortunato per questo: non ho un’audience grande ma tante persone credono in me e mi danno sempre un’occasione.
Nella copertina dell’ultimo album appare un’ancora illuminata. Che significato ha per te?
Per scegliere questa copertina non ho riflettuto molto; appena finito di scrivere “Unknown Harbours” il fidanzato di una mia amica ha disegnato l’ancora luminosa e combaciava perfettamente con il mio pezzo. Una di quelle coincidenze della vita. Non avevo idea di cosa fosse quell’ancora: sentivo solo che era perfetta. Inizialmente il manager non era convinto, poi mi chiamò un mio amico dicendo che, guardando l’ancora, gli veniva in mente qualcuno che attracca al molo per cercare casa e la luce ricorda ciò che illumina la nostra vita. Un amico francese mi ha chiamato chiedendo se finalmente tornassi a casa. Penso che le persone abbiano dato un significato sbagliato all’ancora: per me era semplicemente qualcosa che funzionava alla perfezione. Come la copertina di “There are No Goodbyes”: è una stanza vuota con il radiatore, non ha molto senso, ma abbinata alle tracce del disco combacia.
******************************************************************************** Dopo qualche altra riflessione filosofica sull’ancora, salutiamo Proper-Sheppard che ci regalerà un concerto coinvolgente ed emozionante; il brano strumentale Unknown Harbours ha accompagnato l’entrata dei musicisti tra il clamore degli spettatori. Il cantante, insieme alla band composta da giovani ragazzi belgi e dal suo batterista storico, ha attraversato la folla e, salito sul palco, ha aperto il concerto con Resisting. Il concerto è apparso come una riconciliazione con i God Machine; la malinconia dei brani dei Sophia è intervallata da parentesi dove protagonista è una potente chitarra elettrica che evoca l’alternative rock della band precedente. L’entusiasmo degli ascoltatori ha commosso Robin che ha ringraziato più volte il pubblico bolognese.
Articolo del
11/05/2016 -
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