Se potessi rubare cinque minuti a Caterina Caselli le farei ascoltare il disco d’esordio di questi giovani musicisti bolognesi; credo che l’underground italiano sia ricco di proposte valide e di gruppi sconosciuti che sfornano ottima musica e i Palco Numero Cinque fanno sicuramente parte di questo insieme; “Carta Straccia” è un bellissimo disco di Rock all’italiana con spruzzate di pop cantautorale che ammiccano a Lucio Dalla e soprattutto ai Marta sui Tubi. Gli arrangiamenti sono intelligenti e mai banali incrociando l’eclettica chitarra sempre alla ricerca di nuove sonorità con i loop di tastiera dal sapore vintage, tutto accompagnato da un ottimo lavoro di batteria che colora i brani con precisa follia; e la voce? Bellissima! Peculiare nei suoi acuti e davvero in grado di emozionare; sono sicuro che se passassero in radio canzoni come L’Infrarosso e soprattutto Il Cerchio Quadra diventerebbero le hit del momento. Insomma, un gruppo giovane ma già maturo che si rivela una bellissima sorpresa. Ripeto, consiglio ai produttori più attenti e a tutti quelli che amano la buona musica di ascoltare questo disco. Punto!
Al concerto del 6 Dicembre ho incontrato la band e gli ho posto alcune domande; ecco il resoconto dell’intervista con Federico (basso), Massimo (voce), Claudio detto “Cassa” (tastiere), Catch (chitarra).
Ciao ragazzi; cominciamo dall’inizio, raccontateci la vostra storia:
M: Allora, la formazione iniziale era composta da me e gli attuali chitarrista e batterista; avevamo anche una seconda voce ma questa formazione durò meno di un’estate; eravamo molto giovani ed era dura doverci organizzare per andare a suonare, quindi ci siamo sciolti; ma visto che avevamo voglia di suonare abbiamo cercato e incontrato Federico e Claudio e abbiamo formato un nuovo gruppo; all’inizio abbiamo cominciato con le cover soprattutto per la voglia di suonare; abbiamo cominciato facendo spettacoli alle feste della birra, ai matrimoni e anche alle feste aziendali.
C: Chiaramente le scalette erano “customizzate” a seconda dell’occorrenza; avevamo un archivio folto di brani; molti di noi, soprattutto nel mio caso e in quello del batterista, avevamo esperienza musicali precedenti; ho suonato anche il clarinetto in una banda; personalmente da bambino avrei voluto suonare musica con il computer, ma non avendo un computer, mio papà mi ha iscritto ad un corso di pianoforte e da lì ho cominciato; infine ho incontrato loro e ho davvero trovato la band con cui mi sento bene.
M: Per tornare alla scaletta, avevamo quattro ore di cover e a seconda dell’occasione sceglievamo cosa suonare. Suonavamo anche cover strane; non so in realtà quante band propongono per esempio “Nuvolari” di Lucio Dalla; abbiamo sempre cercato di suonare brani che provenissero dalla musica cantautorale italiana piuttosto che musica da ballo; abbiamo anche cercato di suonare il Rock classico e il rhythm and blues; però più classici d’ascolto che ballabili.
E quando avete cominciato a scrivere inediti?
M: In realtà siamo nati con l’idea di un progetto nostro; è stata l’esigenza di avere una scaletta da proporre all’esterno che ci ha rallentati; anche se tutte le serate che abbiamo fatto ci hanno aiutato ad autofinanziarci e a farci le ossa.
F: Anche se alla fine ci abbiamo preso gusto. Ci divertiva molto suonare e questo è un aspetto importante che ci ha fatto crescere molto; anche se ha rallentato il processo creativo.
M: Sì ci ha rallentato ma non ci siamo mai fissati degli obiettivi temporali; sapevamo che volevamo proporre musica nostra ma senza fretta o data di scadenza; ci siamo presi il nostro tempo, che è stato anche lungo, cinque anni; però circa un anno fa ci siamo resi conto che poteva essere il momento di incidere degli inediti; ci siamo messi sotto ad arrangiare i pezzi nuovi e siamo partiti.
C: Qui abbiamo le due colonne portanti della nostra produzione, il chitarrista per gli arrangiamenti e Massimo per i testi; e questo è doveroso dirlo; partendo dai loro spunti, noi abbiamo poi condito le canzoni.
Ho letto brevemente sul vostro sito il significato del nome; volete spiegarmelo meglio?
M: Il palco numero cinque era un palchetto che all’Opera di Parigi veniva riservato a questo famoso Erik, un fantasma; quando cambiò la gestione del teatro non credevano a questo fantasma che in realtà era un angelo che adorava la musica ed era in grado di dare e prendere talento; questo palco gli era sempre stato riservato e quando hanno provato a toglierglielo e a darlo a qualcun altro si è arrabbiato; diciamo che ci siamo presi questo palco, questo spazio per poter vivere la musica dal nostro punto di vista, per quello che è riservato a noi.
E’ stata ispirata dal libro o da uno dei tanti film successivi?
Catch: Sarebbe bello dire che è nato dagli Iron Maiden ma non è vero (ride) (NdI: si riferisce alla canzone “Phantom of the Opera” tratto dal primo disco della band inglese)
M: No, in quel periodo in cui cercavamo il nome, avevo appena finito di leggere il libro di Leroux e questa proposta ci piacque e abbiamo deciso di adottarla.
Mi fa piacere che sia nato da una citazione colta; vi piace leggere, amate il cinema o il teatro?
M: Sarà scontato ma la mia opera preferita è “Il Ritratto di Dorian Gray”, è l’unico libro che secondo me raggiunge la perfezione estetica; anche se uno scrittore preferito non ce l’ho.
C: Per me la musica è stata l’ispiratrice principale; per quanto riguarda il cinema mi hanno appassionato le colonne sonore dei film di Kubrick; quella di “2001 Odissea nello spazio” mi ha sempre appassionato. L’estetica applicata al cinema che lui riusciva a dare mi ha sempre conquistato; associare delle colonne sonore così particolari alla fase di montaggio mi ha sempre colpito; ecco perché ascolto spesso le opere di Morricone o di Williams; il mio film preferito infatti è ET (NdI: la cui colonna sonora è appunto composta da John Williams) perché mi ha sempre aiutato a capire la musica; la parte visiva mi fa penetrare nella storia e la musica ne diventa il tessuto, il legame principale; è una delle potenze della musica.
Catch: Il film che mi ha cambiato la vita invece è stato “Quadrophenia” degli WHO. La storia di questo ragazzo che insegue un sogno ma si rende conto che questo sogno è fittizio, povero di ideali; e questo mi ha particolarmente segnato.
Oltre al disco, è molto bella anche la copertina; come l’avete concepita?
M: Per la copertina abbiamo contattato diversi studi grafici per scegliere quello che meglio capiva le nostre idee; avevo questa idea di fare una copertina che condensasse le figure usate nelle nostre canzoni e che avesse uno sfondo opaco, vintage, satinato; poi ci piaceva l’idea della carta: volevamo stamparla su cartoncino; anche per riprendere il titolo del disco, “Carta Straccia”; ci siamo incontrati in un caffè con i due ragazzi dello studio “AAArte grafica” e abbiamo avuto una chiacchierata di una mezz’oretta; dopo una settimana ci hanno presentato tre progetti sulle nostre idee e tutti e tre avevano centrato perfettamente le idee che volevamo veicolare; tra queste abbiamo scelto la copertina che onestamente ci piace molto.
Per concludere, parlateci dei vostri progetti presenti e futuri:
C: Guarda, il mio motto è “No illusioni, no preclusioni”.
F: A parte questo suo motto, adesso vogliamo goderci questo primo disco, promuoverlo e suonarlo; comunque questo album è un piccolo traguardo dopo tanti anni di cover ma è anche un punto di partenza verso il secondo album; però adesso lasciateci godere questo primo disco. Almeno fino alla fine dell’estate cercheremo di suonarlo più che possiamo.
Articolo del
11/12/2014 -
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