«C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione bocca di rosa né l'uno né l'altro lei lo faceva per passione.»
Anch’io mi occupo di Musica e di Libri solo per passione e la mia passione mi conduce a guardare oltre le canzoni, le storie o gli artisti; da grande estimatore dello scrittore americano David Foster Wallace è mio desiderio conoscere più a fondo il suo modo di scrivere, il suo approccio alla parola. Ho quindi contattato Martina Testa, direttore editoriale di minimum fax e traduttrice di alcuni suoi libri per avere l’opinione di una profonda conoscitrice:
Ciao Martina; hai conosciuto i libri di Wallace quando hai cominciato a tradurli o lo conoscevi già?
Ho conosciuto David Foster Wallace prima che cominciasse a essere pubblicato in Italia grazia alla segnalazione di un mio amico, Christian Raimo (oggi anche editor e scrittore). Il primo suo libro che ho letto è stato "A Supposedly Fun Thing I'll Never Do Again"; l'ho amato molto. Quando io e Christian abbiamo saputo (credo fosse il 1998) che a Minimum fax cercavano qualcuno che traducesse alcuni saggi di quella raccolta ci siamo candidati e abbiamo fatto una prova di traduzione. La prova ha convinto l'editore e quindi abbiamo tradotto parte del libro che è poi uscito col titolo "Tennis, tv, trigonometria e tornado". Di lì a qualche mese ci hanno assegnato anche quel breve saggio sulla musica hip hop che Wallace ha scritto col suo amico Mark Costello e che si intitola "Il rap spiegato ai bianchi". Nel frattempo io ho cominciato a lavorare a minimum fax anche come editor e redattrice, mentre Christian non ha intrapreso una vera e propria carriera da traduttore; altri due libri di Wallace, "La ragazza dai capelli strani" e "Verso Occidente l'impero dirige il suo corso" (che negli Stati Uniti formavano un libro solo, "Girl with Curious Hair") li ho tradotti io da sola.
Cos’hai provato le prime volte che lo hai letto? E’ stato amore a prima lettura?
Sì, è stato amore a prima lettura, mi è piaciuta la complessità del suo stile unita a una grande lucidità di pensiero e alla capacità di colpire anche a livello emotivo. Insomma, leggendo lo ammiravo tecnicamente, trovavo della verità in quello che diceva e mi emozionavo. Tutto quello che chiediamo ai nostri scrittori preferiti, insomma.
Come hai approcciato il suo particolarissimo modo di scrivere?
Ho approcciato David Foster Wallace nello stesso modo in cui approccio qualunque autore, nel senso che il processo mentale che faccio quando traduco è sempre quello: cercare di capire il 100% del senso che lo scrittore ha messo nella frase (non solo il significato delle parole, ma anche il registro, il valore fonico, eventuali rimandi extra-testuali, ecc.) e riprodurlo in italiano nella maniera più fedele. Per me le cose che sono più faticose da tradurre sono le cose scritte male, cioè quelle in cui non si capisce bene cosa volesse dire l'autore (ad esempio, quando lavorando in casa editrice mi è capitato di dover tradurre in inglese delle frasi di recensori italiani, sono spesso impazzita perché il testo di partenza era scritto in maniera sciatta, farraginosa, sibillina); nel caso di Wallace questo problema ovviamente non c'è, perché la sua lingua è sempre molto precisa e controllata e nulla è lasciato al caso. Il problema è quello della ricchezza, cioè il fatto che in genere nei suoi testi le scelte consapevoli sono talmente tante, a livello di lessico, costruzione della frase ecc., che riconoscerle tutte e soprattutto riprodurle tutte in italiano è difficile. Ma uno si mette lì e con pazienza ci prova meglio che può. C'è da dire che Wallace ha una voce così riconoscibile che dopo che l'hai letto un po', dopo che l'hai tradotto un po', cominci ad avere dimestichezza con certe sue idiosincrasie e il tutto ti suona più familiare e tradurlo diventa un po' più facile. (Questo peraltro è vero di tutti gli scrittori con una voce molto riconoscibile). Insomma a priori, a livello di metodo, non c'è nessuna differenza fra tradurre Wallace e tradurre qualunque altro scrittore. Poi nella pratica è un processo particolarmente complicato: per esempio tocca ricorrere più spesso alla consulenza di madrelingua o di persone che conoscano linguaggi specifici (già solo per le cose che ho tradotto io, che sono una piccola parte della sua opera, ho dovuto interpellare esperti di tennis e di altri sport, di cinema, di tv, di ingegneria elettronica, ecc. ecc.), perché la precisione e l'originalità del suo linguaggio mettono a dura prova anche chi l'inglese americano lo conosce bene. Questa difficoltà era ancora maggiore per chi l'ha tradotto più di una dozzina d'anni fa, quando in rete c'erano meno materiali, meno strumenti, ecc. che potessero venire in aiuto.
Due aspetti dei libri di Wallace mi fanno pensare che sia uno scrittore unico al mondo: la profondità con cui “vede” e capisce il mondo e la quasi perfezione nel modo di esprimersi, nella scelta delle parole. Condividi questa mia classifica o ci sono altri aspetti che ti affascinano di più?
Sì, in pratica ho citato proprio questi aspetti parlando delle cose che mi avevano colpito alla prima lettura. Ripeto che oltre a questa capacità di penetrazione della realtà e di elaborazione stilistica lui ha anche, o almeno io in lui trovo anche, la capacità di colpire il lettore a livello emotivo, di farlo ridere o di commuoverlo: insomma spesso la sua scrittura ha anche un impatto molto diretto; su di me, almeno. Altri lo trovano uno scrittore cervellotico e freddo.
Il libro postumo “Il Re pallido” mi sembra “molto pallido”, nel senso che rispetto ai libri precedenti mi sembra poco incisivo; pensi che David avrebbe potuto dare ancora molto alla letteratura o pensi che avesse ormai dato il meglio di sé?
Non ho letto "Il re pallido" quindi non posso dire nulla sulla qualità di quel libro. E per rispondere alla domanda "avrebbe potuto dare ancora molto alla letteratura?" ci vorrebbe la palla di cristallo. Le sue cose che io preferisco sono state scritte quasi tutte prima del 2000, ma non penso che questo significhi che non avrebbe potuto creare dei capolavori in futuro. Magari nella non-fiction, dove secondo me si trova la sua produzione migliore.
Uno dei miei racconti preferiti e quello del pianeta Trillafon in cui si parla di depressione; anche nel suo libro più significativo “Infinite jest”, si affronta questo argomento; quando appresi la notizia del suicidio di David Foster Wallace rimasi molto addolorato ma non stupito; cosa pensi delle sue splendide pagine dedicate a questo argomento? Pensi che fossero in qualche modo un grido d’allarme?
Il racconto sul pianeta Trillafon non l'ho letto; c'è "La persona depressa" in "Brevi interviste con uomini schifosi", ma mi sa che non l'ho mai letto tutto; e c'è un racconto sul suicidio anche in "Oblio", "Caro vecchio neon", se non sbaglio, ma anche di quello mi sa che ho letto solo qualche pagina. In "Infinite Jest" si parla molto di depressione, e di fatto quelle sono le uniche pagine di Wallace sull'argomento che ricordo di aver letto e certo, sono molto forti e mi hanno colpita; ma in "Infinite Jest" c'è talmente tanto altro! In realtà io nelle mie letture di Wallace il tema della depressione non l'ho mai sentito così centrale (rispetto a temi come l'entertainment, la pubblicità, la tv, il capitalismo avanzato in Occidente o anche solo il tennis). Infatti quando ho saputo che si era suicidato non ci ho creduto.
Qual è il suo libro che ti è piaciuto di più?
Non li ho letti tutti, ma il mio preferito è "A Supposedly Fun Thing I'll Never Do Again", che in italiano è stato sdoppiato nella raccolta "Tennis, tv, trigonometria e tornado" (traduzioni della sottoscritta, di Christian Raimo e di Vincenzo Ostuni) e nel saggio "Una cosa divertente che non farò mai più" (traduzione di Francesco Piccolo e Gabriella D'Angelo).
Qual è il suo libro che ti è piaciuto di meno?
Fra quelli che ho letto, "Tutto e di più": ma è ovvio, è un testo molto difficile, molto tecnico, faticoso. Ci ho provato ma l'ho lasciato a metà.
Qual è il suo libro che ti ha più divertito?
Ovviamente il reportage "Una cosa divertente che non farò mai più", fa molto ridere.
Qual è il suo libro che ti è costato più fatica?
"Verso Occidente l'Impero dirige il suo corso": è un libro pieno di riferimenti letterari esterni, rimandi interni, sperimentalismi... Ho fatto molta fatica a districarmici, ma è stata una di quelle sfide che alla fine un po' ti esaltano pure.
Quale altro grande scrittore traduci?
"Traduco", al presente indicativo, come a dire "abitualmente", nessuno. Non c'è nessun "grande scrittore" di cui io sia l'unica voce italiana (meno che mai di Wallace, che è stato tradotto almeno da una decina di altre persone). Fra gli scrittori su cui ho lavorato, probabilmente rientrano ormai per unanime consenso nel canone dei "grandi" Cormac McCarthy (di cui ho tradotto un paio di romanzi, "La strada" e "Non è un paese per vecchi" e un testo teatrale) e Kurt Vonnegut (di cui ho tradotto solo una raccolta di saggi per minimum fax, "Un uomo senza patria" e un'altra in uscita a breve sempre per minimum fax). Ho anche tradotto un romanzo di Jennifer Egan, "La fortezza"; e uno di Elizabeth Strout, "Amy e Isabelle", due autrici che hanno vinto il premio Pulitzer per la narrativa e che quindi magari meritano il "grande" anche loro.
Molte grazie Martina. Il tuo punto di vista è sicuramente competente e prezioso.
Articolo del
03/11/2014 -
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