Hanno portato a termine l’album a loro dire più difficile della loro carriera a ranghi più che ridotti, verrebbe da dire decimati, a seguito della diserzione di ben quattro membri storici della band, che hanno preso strade diverse. Ma i Sabaton non sono guerrieri solo sul palco o in sala di registrazione, e anche quella di ”Heroes”, ora possiamo dirlo, è una battaglia vinta. L’album uscirà tra pochi giorni e qualche anticipazione ce la fornisce, in questa lunga chiacchierata, il simpaticissimo cantante della band heavy metal svedese, Joakim Brodén, grande appassionato di storia, come è evidente dai testi e dai concept delle sue canzoni, ma anche di musica classica, che il giorno prima si è goduto una Milano insolitamente rilassante e soleggiata in compagnia dell’amico e bassista Pär Sundström.
Benarrivati, come vi siete trovati qui a Milano?
Siamo abituati a pensarla come una città di lavoro, d’affari. I posti dove suoniamo di solito a Milano sono l’Alcatraz piuttosto che il Rolling Stones, che come sai sono zone piuttosto decentrate, non c’è molto da vedere in quei paraggi. Ieri però siamo stati fortunati, io e Pär abbiamo avuto il pomeriggio libero e abbiamo deciso di andare al Duomo, di cui avevo tanto sentito parlare … E una volta lì si può dire che non ci siamo più spostati! E chi si muoveva più?! Il sole che splende, una bellissima giornata, ci stiamo rilassando … Ecco, se proprio devo criticare qualcosa, la birra era molto cara, come essere in Norvegia o in Svizzera, più o meno, ma via, a parte questo devo dire che è stato un pomeriggio proprio piacevole! E non capita spesso di poterlo dire, quando passi intere settimane a fare public relation e promozione su e giù per l’Europa, con un clima non sempre così clemente, tutto il giorno a correre e a dare retta a tutti, manager, sponsor … Argh!
Raccontaci qualcosa del nuovo album, “Heroes”
E’ il primo album completo che realizziamo con la nuova lineup. Altra grossa novità è che, dopo un lungo periodo, sono tornato a suonare anche le tastiere. Al di là di questo, credo che sia in tutto e per tutto un album dei Sabaton, nel nostro stile. Io sono sempre stato quello più coinvolto nel processo di scrittura dei brani e quindi lo posso dire con certezza. Credo, inoltre, che le parti di chitarra siano le migliori che abbiamo mai registrato, e anche quelle di batteria. Hannes Van Dahl è un ottimo batterista, chiaramente lo era anche Dan (Mullback, ndr), ma con le chitarre direi che abbiamo fatto non uno, ma due passi avanti. Questo non per denigrare il nostro lavoro passato o i nostri ex compagni di band, sia chiaro. Abbiamo una lunga storia alle spalle. Abbiamo iniziato a suonare insieme quando avevamo circa 18 anni e, mettiamola così, non eravamo proprio i migliori musicisti in circolazione in Svezia! (ride, ndr) Siamo tutti autodidatti. Poi la nostra carriera è decollata e ci siamo ritrovati a gestire qualcosa di enorme, che io amo. Il lavoro di un musicista è quello di suonare, ed è ciò che io amo fare, e lo stesso vale per Pär. Ma ci sono band che in due anni fanno meno concerti di quanti ne facciamo noi in un paio di mesi o anche meno. Di colpo, ci siamo ritrovati ad essere in giro 250 giorni l’anno, e per alcuni di noi che nel frattempo avevano messo su famiglia, erano diventati genitori o semplicemente si erano resi conto di avere ambizioni diverse, forse è stato il caso di riorganizzare un po’ la propria vita.
Sei ancora convinto che essere in tour sia la parte migliore dell’essere un musicista professionista?
La seconda miglior cosa. Per quanto mi riguarda, la parte migliore è la composizione. Mi sento veramente me stesso quando sono seduto a comporre, a creare musica, con un pianoforte, una chitarra, un organo da chiesa, qualunque cosa! Quanto ai live show, posso dire che nove volte su dieci mi diverto da matti, e poi ci può essere quella volta che le cose non girano come dovrebbero … Come ad esempio il mese scorso. Mi ero beccato la salmonellosi, ero sul palco con 42 di febbre, non ero riuscito a mangiare nulla per giorni ed ero tipo: “Metal, yeah.” (corna metallare con lo sguardo perso e l’aria devastata). Insomma, ho cercato di essere il più professionale possibile, date le circostanze!!
Ho notato che, rispetto ai concept presenti in “Carolus Rex” e altri vostri album, questa volta nella stesura dei testi ti sei concentrato maggiormente su figure e personaggi riconducibili ai grandi conflitti del XX secolo, che non hanno ricevuto il riconoscimento che avrebbero meritato dalla storia…
Esattamente! Diciamo che, in “Carolus Rex “ che era incentrato su un determinato periodo della storia svedese, così come negli altri lavori precedenti, in cui ci siamo sempre focalizzati su scenari, diciamo così, più ampi, in ”Heroes” abbiamo voluto tributare un giusto riconoscimento a questi eroi moderni e dimenticati. Molto significativa, ad esempio, è la storia di Witold Pilecki, il soldato polacco che, grazie ai suoi tratti ebrei, riuscì ad ottenere dei documenti falsi e si fece rinchiudere, come prigioniero ebreo, ad Auschwitz, per poter testimoniare gli orrori compiuti dai nazisti nel campo di concentramento. Ora, quando ho sentito questa storia, la prima cosa che mi sono chiesto è stata: «Ma com’è possibile che nessuno a Hollywood abbia mai pensato di girare un film su quest’uomo?». Perché la sua è una storia così emozionante, forte … Ed è vera. Sarebbe meglio del 99% dei film di guerra che vengono prodotti attualmente. Eppure nessuno si ricorda di Witold Pilecki. I libri di storia non ne parlano. Pensa che noi ne siamo venuti a conoscenza dai nostri fan polacchi, che ci hanno suggerito di fare delle ricerche su quest’uomo. Si può dire comunque che una buona parte di quest’album sia venuto fuori da questa e altre simili iniziative dei nostri fan.
Da dove ti viene questo marcato interesse per la storia?
Beh, come dico spesso, ci sono già abbastanza canzoni che parlano di sbronze, scopate e draghi da uccidere. In realtà non avevamo l’obiettivo di scrivere di storia, io e Pär stavamo cercando un soggetto “forte” per un brano e abbiamo pensato al D-Day. Da lì è nata l’idea di costruire un intero album sulla tematica della guerra, e l’abbiamo trovato interessante non solo di per sé, ma perché quei testi significavano davvero qualcosa, avevano davvero un messaggio da trasmettere. Questo perché io me ne sto al di fuori della religione o della politica, ma penso che abbiamo davvero tanto da imparare dalla storia, da quanto è accaduto in passato.
Avete anche lavorato con il supporto di uno storico, vero?
Sì, uno storico professionista ci ha aiutato a verificare le nostre fonti e le notizie in nostro possesso sia per “Carolus Rex” che per “Heroes”. Anzi, per quanto riguarda “Carolus Rex”, a un certo punto era diventato lui stesso una fonte di ispirazione, in quanto proprio l’età imperiale svedese è la sua specialità, mentre invece per “Heroes”, come ti dicevo, il principale propulsore, almeno per una buona metà del materiale, sono stati i nostri fans.
Pur avendo sempre precisato di non portare nessun messaggio politico come band, siete sempre stati bersaglio di diverse strumentalizzazioni …
Infatti. A me personalmente, ripeto, non potrebbe importare di meno della politica o della religione, finché non si arriva agli estremismi. Odio qualunque forma di estremismo, che sia politico, religioso, alimentare, qualunque cosa. Portare le cose a certi livelli di pazzia, di fondamentalismo, non fa di te una bella persona. Però a un certo punto mi viene da pensare che la gente abbia dei problemi, perché deve per forza trovare un messaggio politico in tutto ciò che facciamo! E’ folle … E’ malsano. Ma perché non ci si può godere una canzone perché è bella e potente, invece di cercarvi a tutti i costi chissà quale messaggio subliminale? E’ assurdo, e la cosa più assurda è che questo succede per lo più con la musica. Voglio dire, Spielberg ha fatto un film sull’Olocausto, “Schindler’s List”, e nessuno, mi pare, lo ha mai accusato di simpatie naziste, giusto?! E allora perché un musicista non dovrebbe avere diritto a raccontare una storia?
Penso che il problema parta dai media, oltre che dalla gente.
Non c’è dubbio. E parliamo dei media cosiddetti “mainstream”, perché non ho mai avuto questi problemi con la stampa specializzata, con le riviste di musica. In Svezia, in particolare, dato che la storia imperiale narrata in “Carolus Rex” è per lo più associata all’estremismo di destra e al razzismo, si era scatenato un putiferio. Mi chiedevano se fossi razzista, capisci?! Ehi, bello, mi veniva da rispondergli, guarda che mia madre è di origini polacche, e se fossi un estremista nazistoide e nazionalista, per quello che è il loro punto di vista sarei un essere subumano, uno zero indegno di considerazione. Inoltre, e non tutti lo sanno, Carlo XII alias “Carolus Rex” fu un grande fautore dello scambio interculturale, visse per due anni in Turchia, portò in Svezia parole, cibi e culture nuove. Ecco, quando lo spieghi ai giornalisti, ti rispondono: «Ops, non lo sapevo». E allora, sai che c’è? Che i giornalisti dovrebbero informarsi e documentarsi un po’, prima di sparare stronzate. E, ripeto, sono sempre e solo i mainstream media. Queste cose non mi succedono se parlo con un giornalista musicale, non necessariamente rock o metal, ma un giornalista che si occupi di musica e faccia il suo mestiere. Altrimenti, devono per forza infilarci dentro la politica, sempre. Se parli di sesso, denaro o politica, loro hanno in mano un titolo da sbattere in prima pagina, sai cosa voglio dire. Beh, ragazzi, mi dispiace, ma non troverete nulla di quello che cercate nei Sabaton. Nei Sabaton troverete musica, voglia di raccontare storie, di stare su un palco e di divertirsi. Punto. D’altra parte, mi farebbe piacere sapere che le mie canzoni e le mie tematiche possono costituire per qualcuno uno spunto per riflettere su quanto accaduto.
Giusto! Senti, mi accennavi al fatto che avete un rapporto molto bello e speciale con i vostri fan … Decisamente sì! OK, d’accordo, lo dicono un po’ tutti, siamo molto vicini ai nostri fan, li amiamo, blah, blah, blah, ma nel nostro caso, ecco, è vero … per davvero, tanto che sono i nostri fan stessi, come ti dicevo prima, a ispirare molto del nostro materiale.
Qual è stata la cosa più folle che un fan abbia mai fatto per voi?
Ehm, a dire il vero ce ne sono state parecchie … (risate, ndr) Non so, per dirne una in particolare, c’era questo ragazzo che lavorava nel settore delle vetrerie artistiche, e aveva preparato questo bellissimo set di bicchieri con i nostri nomi impressi a sbalzo nel vetro, una cosa stupenda, davvero molto raffinata. Insomma, questo tizio si è presentato alla porta del backstage con il regalo da consegnarci e noi, contentissimi, l’abbiamo ringraziato, l’abbiamo invitato nel backstage a bere una birra, e lui: «No, no, davvero, grazie, ma non vorrei disturbarvi». E’ sgusciato via e non l’abbiamo più rivisto. OK, evidentemente era uno molto timido! A volte sono cose così, tranquille, altre volte un po’ più, come dire … Ecco, ad esempio, una volta, nella Repubblica Ceca, mi hanno lanciato sul palco un perizoma con un numero di telefono e … Beh, sai, all’epoca ero single, così ho detto «OK, non l’ho mai fatto prima, perché non provare?!». Così ho mandato un SMS …
Wow!! E com’è andata?!
Beh, ti posso solo dire che mi sono divertito parecchio!! (risate, ndr)
Va bè, torniamo seri … Quali sono secondo te i pro e i contro dei social media e della condivisione musicale, vista anche la relazione molto stretta che avete con i fan?
Ovviamente ci sono i pro e i contro come in tutte le cose. Non è un mistero che il music business sia in una fase decadente, ma non penso che la soluzione sia far causa alle persone che scaricano musica illegalmente. Piuttosto, ai manager vorrei dire di assicurarsi di produrre buona musica, e poi vedrete che la gente la comprerà. La gente vorrà averla. Ultimamente si sta diffondendo questa assurda romanticheria per la quale tutto sarebbe stato più bello e migliore una volta, e non parlo solo della musica, ma della vita e del mondo in generale. Ma dove? Ma quando?! Ma in che mondo vivete? Come potete dire che non stiamo meglio oggi rispetto anche solo a 50 o 60 anni fa? Alcuni mi rispondono che la guerra era più onesta. La guerra? Ma state scherzando? Avete idea di cos’era la guerra nel secolo scorso? Distruggere, devastare e violentare ogni cosa sul tuo cammino, ecco cos’era! Non sto dicendo che la guerra sia migliore oggi, intendiamoci; ma quanto meno, se al giorno d’oggi un soldato la fa sporca, vedi il caso di Guantanamo, grazie a Internet e ai mezzi di comunicazione tutto il mondo lo viene a sapere in breve tempo e si possono prendere provvedimenti, che non sempre vengono presi, ma almeno nessuno può più dire: «Non lo sapevo». Vogliamo parlare della salute? Cinquant’anni fa, avere il diabete significava essere condannati a morte, mentre oggi non è più così. Non venitemi a dire che le cose erano migliori in passato! Tornando alla musica, certo, si può essere amanti del vinile, degli artwork storici … Ma non potete venirmi a dire che il sound era migliore allora, per il semplice fatto che non lo era! Considera come si lavora in studio di registrazione: che gloria c’è a dover ripetere decine e decine di volte lo stesso brano o la stessa parte come si era costretti a fare quando la registrazione avveniva in analogico? Nessuna. E’ un grande spreco di energie e di ispirazione, te l’assicuro. D’altronde, a noi interessa suonare bene e impeccabilmente le nostre canzoni dal vivo, cercando di aggiungere di volta in volta un tocco personale, qualcosa di diverso che renda quell’esecuzione unica e irripetibile, ed è quello che cerchiamo di fare.
Tornando a “Heroes”, quali sono i brani a cui sei maggiormente affezionato?
Beh, è un po’ come se mi chiedessi a quale dei miei figli voglio più bene! No, in realtà non c’è un brano al quale sono più legato di altri, ma perché “Heroes” è, credo, il nostro album più forte dall’inizio alla fine. Mi piace il fatto che non ci siano punti deboli, è estremamente potente in tutte le sue parti e mantiene anche un senso di oscurità che è una cosa per noi un po’ insolita. Non è il genere di album che alterna pezzi forti ad altri un po’ lasciati al caso, e non è neanche, come poteva essere il caso di Primo Victoria, un album che contiene quel brano in particolare che viene subito individuato come potenziale hit e che rischia di cannibalizzare tutti gli altri. Si mantiene su alti livelli dalla prima all’ultima canzone.
Come mai avete scelto due artwork diversi per la copertina?
In realtà, perché ci piacevano tutti e due e non riuscivamo a decidere! (risate, ndr) Potremmo dire che uno ha un’ispirazione più propriamente bellica, è una scena di battaglia che richiama anche il titolo, “Heroes”, appunto. E’ strano, perché nessuno nasce eroe. In guerra come nella vita, quello che fa l’eroe, il momento che decide l’eroismo, può essere questione di pochi secondi. Un attimo che cambia tutto, che può decidere della vita o della morte di qualcuno. E infatti il secondo artwork, quello con la bandiera, vuole celebrare il sacrificio dell’eroe. E’ sempre a tema bellico, ma, diciamo, più malinconico e intimista. Il fatto di non avere un management ci consente di avere assoluta libertà nelle nostre scelte artistiche, musicali e commerciali. Se chiedi di noi a qualcuno della Nuclear Blast, la nostra etichetta discografica, probabilmente ti risponderà che siamo la migliore band con cui abbia mai lavorato, oppure la peggiore, non ci sono vie di mezzo. Questo perché, in una grande label, sono i manager a decidere l’ambientazione del video, il regista, come si deve fare, mentre noi … Nossignori. Noi facciamo tutto per conto nostro. La cosa più importante per noi è sentirci a nostro agio con quello che facciamo. Non credo esista un’altra band delle dimensioni dei Sabaton, che faccia tutto in autonomia, in assenza di un management. Per quanto riguarda l’amministrazione, è Pär ad occuparsi di tutto, mentre per quanto riguarda la linea artistica e musicale sono io. E soprattutto, siamo noi in persona a rispondere a tutti i messaggi dei fans. Ogni singola e-mail, capisci? Quante band lo possono dire? Magari non saranno le risposte più lunghe e articolate del mondo, può essere anche solo un semplice «Grazie» o «E’ stato bello conoscerti, speriamo di tornare a suonare presto nel tuo Paese». Ma è importante. E ci consente anche di avere il controllo sulle critiche e sul feedback negativo, oltre che su quello positivo, cosa che probabilmente perderemmo se ci fosse il filtro di un manager. In realtà, permettiamo che ci siano determinate persone ad aiutarci, ma, se non sono membri della band, devono per lo meno viaggiare con noi, condividere le nostre stesse esperienze. Queste sono le regole. Chi non vive le mie giornate, non ha diritto di dirmi quello che devo fare o come lo devo fare. Può essere un gran casino, alle volte, ma ti assicuro che alla fine ne vale la pena!!!
Una regola aurea che tutte le band dovrebbero tenere presente! Non è sempre così, lo sappiamo, ma il fatto che non sia impossibile, anche una volta arrivati ad alti livelli, ci lascia credere che nel metal ci sia ancora quel qualcosa di vero che la musica pop, forse, ha perso per sempre. Intanto, un grosso in bocca al lupo ai Sabaton e … La parola agli eroi!
Articolo del
14/05/2014 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|