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Lo scorso nove novembre, con un breve, fulminante concerto nella sempre evocativa palestra Visconti dell’Arci Bellezza di Milano, è stato presentato l’ultimo album di Nove, al secolo Marco Manini, L’eremita, attivo nella scena milanese anche con Materazi Future Club e Les Enfants. Già noto per il precedente lavoro Nove canzoni che non ricordo di avere scritto (2020), in cui brillavano l’irruenza vocale e proto-punk di “Bonatti” e la brevissima, rumorosa invettiva volutamente autoironica e antilavorista de “la scuola fa schifo, il lavoro fa schifo”, soprattutto L’indie fa schifo.
Pezzi spinti ancora più in velocità nel live da new wave decostruita, tutto improntato sull’adrenalinica tensione di basso e batteria, anche per l’assenza del primo chitarrista, improvvidamente infortunatosi.
Ma dapprima Nove si era presentato in solitudine sul palco, proprio come l’Eremita, la carta numero IX degli Arcani Maggiori dei tarocchi, l’anziano saggio coperto del suo mantello con cappuccio, sorretto al bastone, qui accompagnato dalla chitarra a tracolla, oltre che dalla proverbiale lanterna, per scandagliare nel proprio passato esistenziale e in questi bellicosi tempi oscuri.
L’emblema della solitaria ricerca interiore, lontano dal mondo, immerso nelle visioni soniche che periodicamente ci dona. Per noi evocando da un lato il profetico bastone di san Patrizio, forse appartenuto a Gesù, rintracciato dal nostro sublime artista totale e folle Antonin Artaud, dall’altra il Diogene di Sinope che attraversava un’Atene assolata con la sua lanterna accesa alla continua ricerca dell’essenza dell’uomo, di un’umanità eternamente incomprensibile, beffandosi di tutti i poteri costituiti.
Così Nove si presenta come una sorta di bislacco, solitario crooner metropolitano, dall’attitudine ieratica, dalla postura irridente, ferito da vecchie speranze/abbracciato a una lacrima di cielo non ci casca più, ci canta, proprio ne L’Eremita che apre il live e chiude un disco che riesce a coniugare il pop sbarazzino di Mi piace (la gente tutta sbagliata), le sardoniche cantilene col falso rap di Vivo e Felice felice, come il lamento straziato di Canzone disperata contro la guerra e la beffarda richiesta che “adesso tu mi prometti che non lo farai Mai più”.
In mezzo il pezzo che potrebbe essere una piccola hit generazionale, con melodico fondo emo-wave da mandare e urlare nella fine nottata di una festa universitaria, sussurrando la mattina presto alla radio, in macchina, Parte di te, come invito a non dimenticare mai sé stessi, perché so che c’è una parte di te che non vuol dire mai di no/che vorrebbe ballare/che vorrebbe soltanto ballare/che ti chiama, grida forte/e ti ricorda chi sei.
Sempre dalla parte dell’Eremita che con bastone, lanterna, chitarra e il suo fare ciarliero ci accompagna e sostiene con le sue storie, le nostre, in questa notte infinita
Articolo del
29/12/2025 -
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