È intimo, è potente e squisitamente ricco. Appena uscito per il mondo, “Volevo Magia” ha la forza delle ali che reggono i cambiamenti atmosferici, assieme ai nervi ben saldi delle gambe che attraversano i deserti. Stiamo parlando dell’ultima fatica discografica dei Verdena: sì, quel trio di Bergamo che fa da sempre quello che gli pare.
Li abbiamo visti tentare azioni musicali mastodontiche tradotte in due volumi o un doppio disco, suonare in giro per infaticabili e lunghissimi tour e anche sparire dalla circolazione per sette lunghi anni, per lo meno come trio.
Ebbene, nonostante il sempiterno funambolismo nel mercato discografico, tutti gli allegati ad ogni possibile alternative rock etichetta a loro affibbiata nel corso dei venticinque anni di carriera, questa è una band che coltiva differenze, che le sa tradurre e ficcare nel tempo, intendendo con esso niente altro che l’umano percipere. Ancora una volta, infatti, si è felici di scrivere quanto i Verdena siano tre musicisti che sanno suonare, che sanno comporre, magistralmente arrangiare e che, checché se ne dica, hanno in pugno un’identità musicale invincibile.
Di già “Chaise Longue”, il primo singolo estratto che ha anticipato di soli due giorni l’uscita del disco, è un autentico manifesto delle loro intenzioni e intuizioni. Chitarre, batteria, percussioni e basso elettrico si incontrano per una festa in cui la melodia va in sposa alla sperimentazione, aprendo finestre sonore i cui paesaggi sono ricchi di sfumature e destrezze. Come in “Paul e Linda”, “Dialobik”, ma anche “Sino a Notte (D.I.)” e “Cielo Super Acceso” tra le tracce più forti del disco secondo la penna di chi scrive.
Di una forza che non è prepotenza, per quanto adrenalinica. Sono tracce pulite e sferzanti allo stesso momento. Si ha voglia di ballare coi fianchi e di agitare la testa. Sono ricche di contenuti ed alchimie sonore, una scoperta di strati continua, ascolto dopo ascolto. Sono seducenti ed anche sensuali, come tutto il disco del resto, come la Magia stessa. Un picco in discesa negli inferi è “Pascolare”, mina oscura che sa di metallo e che apre le porte a direzioni ancestrali e futuristiche. Possente nelle nervature ritmiche, devastante nei riff elettrici. Qui, pare quasi i Verdena siano capaci di rendersi postumi a loro stessi: “riposerai, ora sei nel gregge”, come canta Alberto.
Che questo pezzo duri meno di quattro minuti sembra uno scherzo, eppure è perfetto. Come non menzionare, poi, “Certi Magazine”, il primo stacco acustico nel disco ad evocare una certa e chiara nostalgia. Sembra vestita d’autunno: ha la freschezza del ritmo, le altezze di una ricerca sonora sottile e insieme le gocce di pioggia castane dei tasti bianco/neri e della voce di Alberto che qui si fa fragile fino al falsetto.
“Sui Ghiacciai” è un’altra acustica conquista agrodolce che vuole calore. Perfetta per introdurre la track-title la quale, a sorpresa, fa eco a “Bleach” dei Nirvana. Sembra quasi un omaggio con riverenza e firma d’autore: è puro punk-rock hardcore, gustoso e tutto da pogare. Scoprire che il risultato del brano, così com’ è nel disco, sia frutto di un momento goliardico tra Alberto, Luca e Roberta, mi fa sorridere e dichiarare che, in sostanza, i Verdena fanno quello che gli pare perché lo sanno fare quello che gli pare. Con coraggio sono cresciuti e noi con loro. Siamo dei sopravvissuti, tutti. Più o meno felici, più o meno frustrati. Rassegnati alla vita che non sa morire nonostante le perdite, nonostante le morti.
Questo disco è un capolavoro perché scioglie i nodi della complessità del tempo che cambia, della vita che scorre. Sette anni sono lunghi, sono secolari per l’arte nella contemporaneità. Eppure, tornano a cascate e non pesano più dentro l’arco dei 50 minuti in cui “Volevo Magia”. Come se la leggerezza di un volo traesse energia dall’intensità di una marea
Articolo del
26/09/2022 -
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