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Colleen Green
Cool
2021
Hardly Art
di
Andrea Salacone
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Una giovane artista che apre l’esordio ‒ una cassetta autoprodotta, intitolata “Milo Goes to Compton” per esplicitare l’omaggio ‒ con la rilettura di “Good Good Things” dei Descendents è quantomeno degna di attenzione.
La cover, a dire il vero, era terribile, e intanto è passata una decina di anni, ma Colleen Green si è tenuta occupata e ha pubblicato diversi singoli e alcuni album, ultimo dei quali “Cool”, uscito di recente sull’etichetta Hardly Art.
Il disco non produce trasformazioni radicali, né stravolge formule consuete; tuttavia, per freschezza e spontaneità si rivela un’opera estremamente godibile, che ravviverà queste giornate piovose.
Nonostante testi che certo non sprizzano gioia, spesso le melodie sono allegre, create da intrecci di chitarre elettriche, basso e batteria semplici ma efficaci, arricchiti da soavi armonie vocali (“Someone Else”, “I Wanna Be a Dog”, “You Don't Exist”, “It's Nice to Be Nice”).
Il debito nei confronti dell’indie americano è spesso considerevole; riff distorti, coretti angelici e sei corde scampanellanti potranno ricordare gruppi come i Pixies o i Pavement. Quando i toni si incupiscono, invece, (“Posi Vibes” e “Highway”) l’album si apre a sonorità di stampo new wave anni Ottanta.
Intriganti anche “How Much Should You Love a Husband?”, quasi un brano da girl group in versione irrobustita, e “I Believe in Love”, ballata sghemba e ipnotica che rimanda al post rock.
Solo “Natural Chorus” e lo strumentale “Pressure to Cum” non convincono appieno. Si tratta, però, degli unici due momenti deboli di un album altrimenti davvero delizioso
Articolo del
29/11/2021 -
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