“We're surrounded by debris of the past And it's too late to cause a change in the tides So we slip into a hopeless sea of regret as I stare Through the haunted maze in your eyes Right through where I remain for all time” - Ohms
A quattro anni dall'evocativo Gore, nell'anno del ventennale della gemma seminale White Pony, che presto vedrà la sua evoluzione in una ristampa di brani remixati da vari producer dal titolo Black Stallion, tornano i Deftones con l'album Ohms. Il disco contiene la dicotomia che sta alla base del titolo (l'Ohm è l'unità di misura della resistenza elettrica), una polarità strumentale e vocale che converge nell'equilibrio delle parti ritmiche. Ohms è infatti un flusso continuo di strutture cangianti, che alternano sapientemente sonorità più marcatamente ruvide e aggressive a paesaggi melodici più cinematici e soffusi. L'album vive di nuovi incantesimi sonori e di riferimenti stilistici al passato della band, di cariche violente e morbide sperimentazioni. Avvalendosi della produzione di Terry Date, già produttore degli album Adrenaline del 1995, Around the fur del 1997, il già citato White pony del 2000 e Deftones del 2003, Ohms oscilla in questo vortice di sonorità stratificate, come un ibrido in balia di crossover, post-hardcore, stoner, shoegaze e nu-metal.
L'ascolto si fa più intenso se si segue questo link (https://www.deftones.com/ohmsvisualtracklist) e si scoprono via via le tracce attraverso le carte della Lotería messicana (un gioco da tavola simile al bingo che ha nella figura del cantador il suo punto di forza). Ogni carta è associata a un brano del disco e rinvia a dei visual video di grande impatto. Genesis dà il via a questo gioco di opposti, con un tappeto sintetico edificato da Frank Delgado e la voce graffiata di Chino Moreno che scava con aggressività sulle macerie della rinascita. Fantasmi vocali più suadenti su un incedere ritmico più oscuro fanno capolino in Ceremony e Urantia. Error gioca su saliscendi ritmici, mentre The Spell Of Mathematics apre la strada a visioni più oscure che in Pompeji si trasformano in digressioni sonore cinematiche, brutali e ataviche su derive auliche accompagnate dal canto dei gabbiani. La ferocia esplode in This Link Is Dead, Radiant City e Headless. La titletrack chiude il cerchio, legandosi al tema del cambiamento climatico e dell'ambiente, su onde di distorsioni.
Potente e onirico nella sua esplosione di suoni, Ohms restituisce in musica il bianco e il nero pixelato del suo artwork, opera di Frank Maddocks (lo stesso di White Pony), con quegli occhi che ci guardano e ci conducono all'interno di un labirinto di possibilità tanto oscuro quanto ipnotico. Un album figlio dei nostri tempi, soprattutto dal punto di vista contenutistico, costruito sulle giustapposizioni, su poli che si attraggono creando un interessante equilibrio sonoro. Un luogo ideale in cui gioia e dolore, luci e ombre, evidenza e mistero, passato e presente, si fondono e si confondono costruendo qualcosa di unico, nel magma di una libertà compositiva assoluta. L'Yin e lo Yang portati al perfetto bilanciamento.
Articolo del
25/09/2020 -
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