Essere qui all’interno della Mostra d’Oltremare di Napoli equivale ad abitare in una vera e propria Città della Musica, con due palchi attrezzati e una magnifica arena, mirabile e sontuosa, la cui architettura si staglia sui margini di una rigogliosa pineta. Il programma si presenta quanto mai fitto, i tempi ci sembrano fin troppo serrati, il rischio di non farcela a vedere e ad ascoltare tutto, è reale! Ma proviamo ad essere duttili, ad entrare al meglio nella situazione. Superato l’Electro Stage senza troppi rimpianti, veniamo informati della defezione dei Liars, cosa che ci aiuta non poco a risolvere quelle minime percentuali di dubbio su quale concerto indirizzarci alle 21,00. La scelta cade sull’Arena Flegrea, dove Robert Plant & The Strange Sensation presentano dal vivo brani tratti da “Mighty Rearrenger”, ultimo album del gruppo, oltre a numerosi episodi della carriera solista del mitico “vocalist” dei Led Zeppelin. E così le note di “Tin Pan Valley” e di “Freedom Fries”, dedicata ironicamente a Tony Blair e a George W. Bush, guerrafondai di mestiere, si mescolano a citazioni di pregio, quali quelle di “Going To California” e di “Misty Mountain Hop”, scritta da Robert Plant a Bombay, durante un suo viaggio in India. C’è una gran voglia di blues nella musica del gruppo, di un ritorno alle radici, e proprio da un arpeggio acustico sapientemente bluesato nascono gli accordi che conducono poi a “Gallows Pole”, altro momento zeppeliniano, trascinante ed intenso come mai, assolutamente incapace di invecchiare, essenziale, basico e dirompente nella sua esplosione elettrica. Robert Plant si rivolge al pubblico, si dichiara felice di essere a Napoli e di trovarsi “in buona compagnia”, con riferimento agli altri “grandi vecchi” del Rock come Iggy Pop e Santana. Da lì a poco arriva l’esecuzione di “Morning Dew”, una “folk ballad” rivisitata da Plant e contenuta su “Dreamland”, il disco del 2002, seguita da “Mighty Rearranger” e da “Let The Four Winds Blow”. Ma il momento più atteso, quello più esaltante, si concentra sul finale, quando da un’ambientazione esotica rallentata ad arte, una sorta di blues del deserto, emerge isolato un canto che ci riporta alle parole di “Whole Lotta Love”. Un istante dopo il fragoroso innesto di quel “riff” che ha fatto la storia del Rock, ci porta gioia e consolazione, ci ricorda per quale motivo siamo venuti al mondo e perché riusciamo a sopportare ancora le tante nefandezze che accadono qui sulla Terra! Tutto il pubblico è in piedi e si lascia sconvolgere in modo individuale e diverso da quelle chitarre che hanno segnato un’epoca! L’intermezzo psichedelico che ricordavamo su disco, viene trasformato dal vivo in un omaggio alla musica africana ed echeggiano le note di “Sidi Mansour”, ma le chitarre elettriche tornano poi a farsi strada ed il sussulto tellurico conclusivo è qualcosa da ricordare! Sono quasi le 22,30, abbiamo giusto il tempo di attraversare trasversalmente l’area della Mostra d’Olteremare quando il grande fermento che avvertiamo intorno al Metropolitan Stage ci annuncia che é arrivato il tempo di Iggy & The Stooges, di nuovo in Italia, più uniti che mai, al punto da far rinunciare all’Iguana un qualsiasi rilancio della sua carriera solista. Non ci sono convenevoli, gli Stooges fanno fuoco subito e le note incandescenti di “Loose”, “Down In The Street” e “1969”, in rapida successione, proprio come su “Telluric Chaos”, il disco dal vivo registrato in Giappone, si riversano allo stesso modo della lava ardente del Vesuvio su un pubblico giovane ed entusiasta. Purtroppo però cominciano i guai con la “security”: Iggy intravede fra gli addetti al palco un muscolare giovane e tozzo, in tuta mimetica e con la sigaretta accesa. Allora blocca tutto e gli intima di smettere, suscitando una reazione irata e folle del soggetto in questione che comincia a menare su chiunque gli capiti a tiro. A dire il vero, i tentativi di catapultarsi sul palco sono molti, ma del tutto innocui, la reazione è a dir poco spropositata e selvaggia. Ogni volta che qualcuno viene riaccompagnato fuori, c’è il “macho man” sopracitato che ci aggiunge un carico di schiaffoni suppletivo, inutile e feroce. Iggy prosegue e le note di “I Want To Be Your Dog”, di “Tv Eye” e dell’ ”heavy blues” cadenzato di “Dirt” soddisfano una “audience” assetata di emozioni vere, di sensazioni forti. La violenza insita nella musica di Iggy è liberatoria, è catartica, quella del “macho man” della “security” è reale, è fascista! Arriva il momento più atteso, quello dell’esecuzione di “Real Cool Time” e di “No Fun”, e i fan più accaniti sanno che è proprio allora che l’Iguana invita la sua gente a salire sul palco. Di solito sono in sei o in sette a circondarlo sulla scena e ad accompagnarne il canto, questa sera invece è il delirio più assoluto. In molti approfittano del momento in cui il “macho man” viene redarguito a dovere dai suoi superiori; sono più di trenta quelli che danno l’assalto al palco, con Iggy che offre la sua mano ad una ragazza che resta a metà strada. E’ festa grande, è un party sfrenato, è il rock and roll delle origini messo in pratica, è cerimonia tribale, è rito orgiastico, difficile interromperlo, tornare alla normalità. Infine tutto si risolve con il ricorso al buon senso, ed entra in scena il sax di Steven Mackay che accompagna l’esecuzione di “1970 (I Feel Alright)” e gli spunti “free jazz” di “Funhouse”, al termine della quale Iggy si erge quale Sommo Sacerdote del Rock e rivolto alla folla declama "I AM YOU" quasi a voler azzerare ogni separazione fra pubblico e artista, così come deve essere, quando la musica è vera, quando l’approccio è sincero. E ancora “Skull Ring”, una fantastica “Little Doll” ed il “reprise” di “I Want To Be Your Dog”. Al termine della sua esibizione Iggy è stravolto, trova giusto il tempo di omaggiare di qualche sputo il “macho man” sotto palco e di esibirsi in una serie di grida laceranti e di ululati selvaggi che hanno ben poco di umano. Quando poi una ragazza in prima fila lo fissa impaurita, Iggy, a modo suo, si spiega con un laconico “back to the jungle, babe!” Fantastico! Alla “track list” viene aggiunta “Electric Chair”, poi l’Iguana di Detroit si dilegua nel “backstage” dove ad attenderlo c’è il “macho man” che vuole vendicarsi, ma pronta un’automobile con il motore acceso lo porta subito in albergo. Storditi, confusi, ma infiammati da un furore sacro, restiamo indecisi fra una resa dei conti immediata con l’energumeno del servizio d’ordine che ha seminato odio e violenza per tutto il concerto e una rilassante tisana alle erbe, rappresentata da un ritorno all’Arena per l’esibizione di Carlos Santana. Differenza di età e condizione fisica precaria rendono più percorribile la seconda ipotesi, ma quando raggiungiamo l’entrata il concerto è già iniziato da quasi mezz’ora. Riconosciamo le note di “Smooth” e il suono inconfondibile della chitarra di Carlos che riesce ancora a far muovere e danzare migliaia di spettatori, in una atmosfera di certo più rilassata rispetto a quella che abbiamo appena lasciato. Le canzoni di Santana, come al solito accompagnato da una formidabile band e da un “vocalist” accattivante e potente, sono tratte da “All That I Am”, l’ultimo suo album solista. E’ quanto mai evidente la virata radiofonica e commerciale , verso il “mainstream”, del suo rinomato “Latin Rock”, ma trascurare l’importanza del mistico Carlos Santana nella storia del Rock, sarebbe un grave errore. E ce ne accorgiamo al momento dell’esecuzione di una straordinaria “Soul Sacrifice” potente ed impetuosa quasi come se fossimo ancora al Festival di Woostock! Sulle note melodiose ma ricche di ritmo di “Dance Storm Into The Night” si chiude anche la “performance” di Santana, che trova il modo di ringraziare il pubblico caloroso ed entusiasta, e di omaggiarlo per la conquista del titolo ai Mondiali di calcio, eseguendo alla chitarra le note di “Seven Nation Army” dei White Stripes, dando vita a quel famoso “popopo-popopopo” che echeggia da settimane nelle strade delle nostre città e che turba da tempo il sonno del buon Emanuele Tamagnini, capo redattore di “Nerds Attack”, che immaginiamo chiuso nel bagno di casa con una cuffia in testa con l’opera omnia di Samantha Fox, pur di non ascoltarlo ancora!!! Che serata, ragazzi! Holy Shit! Sono le 2,00 del mattino, ma avrei voglia di ricominciare tutto daccapo!!!
Articolo del
19/07/2006 -
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