Note di piano ci prendono per mano e ci conducono in un luogo oscuro e profondissimo, a metà strada tra la realtà e il sogno, tra la terra che calpestiamo in questa vita e quella dove saremo liberi di volare nella prossima. Sono le note di Annie, brano che dà il titolo al secondo lavoro del toscano Fabio Pocci, alias Phomea, che è anche il primo long-playing e anche concept album per l’artista, che si libera dal suo passato come membro di alcune band (S.U.S., Sparflatz) e si dedica ad un lavoro solista intimo ed introspettivo, dedicato a sua madre.
La delicatezza di una carezza che però proviene da un’entità extracorporea, il vortice di pensieri e sensazioni che ne derivano… da questo momento privato sembrano svilupparsi poi i brani di questo disco, nove in italiano e due in inglese. Se Antony & The Johnsons decidesse di scrivere un disco con gli Afterhours probabilmente verrebbe fuori qualcosa del genere: vibrante e soffice ma ugualmente rock e diretto, elegante e introspettivo ma ugualmente graffiante ed elettrico.
Le canzoni, come si è detto, sono tutte legate ad Annie Denise Couture, madre di Fabio e musa ispiratrice delle tematiche, ma in realtà il disco si presenta come un viaggio a ritroso nel tempo, tra i ricordi che non hanno sempre come protagonista il rapporto madre-figlio ma anche esperienze, incontri, feste di paese… facendo di Annie non solo un album musicale ma anche un vero e proprio album fotografico, in cui le istantanee del passato, un po’ sbiadite, tornano a vivere nella voce sofferta, nelle chitarre a volte sommesse e altre volte distorte, nei ritmi che si fanno a volte sostenuti, in preda al condensarsi delle emozioni provocate dalla memoria, e altre volte rallentano per sugellare meglio un attimo importante, un piccolo gesto.
Quello che conquista maggiormente di questo disco è la sua autenticità: si può sentire l’anima di Phomea in ogni singola nota, senza camuffamenti o strategie ragionate a tavolino per creare un certo effetto o un certo genere, per questo è anche difficile parlare di un solo genere musicale: si può parlare di cantautorato grunge, si può parlare di indie rock, si può parlare di alternative folk, perché ciascuna di queste definizioni può essere pertinente ma solo fino ad un certo punto.
Piuttosto che impantanarci nell’arduo compito di dare definizioni, quindi, nel caso di “Annie” è molto meglio lasciarsi andare all’ascolto in maniera naturale, apprezzando pezzo dopo pezzo la sincerità di questo artista e sperando che non ci faccia attendere altri sette anni (quanti sono intercorsi tra il suo ep precedente, “La stessa condizione” e questo lavoro) per farci assaporare altri episodi della sua musica così appassionata e intensa
Articolo del
15/06/2019 -
©2002 - 2023 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|