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Green Day
Father of All Motherfuckers
2020
Reprise Records
di
Gabriele Batistini
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Una copertina con un unicorno che sputa arcobaleni ed un richiamo al celeberrimo “American Idiot” sullo sfondo: che siano tornati i Green Day? Il 7 febbraio 2020 è uscita l’ultima fatica di Billie Joe Armstrong e soci: Father of All Motherfuckers, per la Reprise Records.
Dopo diversi mesi di attesa dall’uscita del primo singolo e 4 anni dopo l’ultimo album “Revolution Radio”, i fan possono godersi le nuove 10 tracce e devo dire che nel suo complesso sono piuttosto piacevoli all’orecchio dell’ascoltatore medio anche se, ultimo singolo “Oh Yeah” alla mano, mi sarei aspettato tutt’altro prodotto. È però altrettanto vero che molti potrebbero storcere il naso di fronte ad alcune sonorità; sonorità che sostanzialmente hanno poco a che vedere col repertorio storico dei 3 californiani (abbiamo passato l’esame Uno!, Dos! e Tres!...).
Ma anche in questo caso c’è un aspetto da non sottovalutare. È normale che un gruppo durante la sua carriera raggiunga anche una maturità, ed i Green Day non sono certo esenti da questo passaggio. Ciò significa che un gruppo, col passare degli anni, tende a “ripulire” le sonorità che propone nelle proprie produzioni, talvolta discostandosi parzialmente anche dal suo genere preponderante. Infatti più un artista rimarrà “fedele alla linea” più sarà più facilmente apprezzato.
Ritengo che all’interno di questo album si assista, in maniera anche massiccia se vogliamo, a questo tipo di ripulitura, senza però snaturare del tutto lo stile che contraddistingue il gruppo. La title track “Father of All” e “Fire, Ready, Aim” sono sicuramente le trace più radiofoniche, adrenaliniche e punk dell’album e saranno sicuramente tra le prime suonate nei prossimi concerti (che toccheranno anche l’Italia il 10 giugno all’Ippodromo SNAI a Milano e l’11 giugno alla Visarno Arena di Firenze).
Certo ci sono tracce che effettivamente hanno poco a che vedere con lo stile Green Day tipo “Junkies on a High”, ma altre come “I Was a Teenage Teenager” oppure “Stab You in the Heart” hanno secondo me un’ottima impostazione e reinventano (soprattutto la seconda) vecchie sonorità in chiave assolutamente moderna.
Piuttosto apprezzabili anche le canzoni conclusive “Take the Money and Crowl” e “Graffitia”, ben concepite e probabilmente le tecnicamente più complete dell’intera produzione. Chi si aspettava un ritorno alle origini forse rimarrà un po’ deluso ma l’album non è affatto di scadente fattura, sia sotto il profilo tecnico che stilistico; il “viaggio” di un gruppo passa anche da produzioni come questa che secondo me si colloca tranquillamente alla Top 3 delle produzioni del nuovo millennio dei Green Day dietro solo ai colossi “American Idiot” e il concept album “21st Century Breackdown”, oggettivamente di un altro livello.
Mi auguro che “Father of All Motherfuckers” possa essere l’inizio per un nuovo ciclo e che porti il loro sound ad un nuovo livello di progettazione e produzione. Sostanzialmente ad un nuovo Punk.
Articolo del
12/02/2020 -
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